“Nothing grabs people’s attention like just fucking Ned Stark-ing a character, right?”
Così recita una sorta di parodia di Shonda Rhimes al tavolo degli sceneggiatori della fittizia serie “Wichita”, ideata da Judd Apatow per fare da sfondo alla sua ultima serie targata Netlflix “Love”. E non c’è niente di più vero. Fin da quando ognuno di noi avrà memoria, la morte di un personaggio importante in una serie tv è da sempre un escamotage ricorrente, se non abusato, per scioccare lo spettatore e, al tempo stesso, far parlare dello stesso show arrivando anche a chi non lo segue ancora. I motivi possono essere molteplici: dalle beghe contrattuali e liti sul set tra gli attori e la produzione (Grey’s Anatomy, Lost), a chi ne fa un vero e proprio marchio di fabbrica (il direttamente citato Game of Thrones, The Walking Dead); dal più “semplice” plot twist di trama che insieme preme sull’impatto emotivo verso i fan (il caso di Arrow, sempre Lost), fino alle circostanze più tragiche che vedono la dipartita “reale” di uno del cast (Glee, The Big Bang Theory). In tutti i casi però, non fa che presentarsi la rilevanza insita nel proseguo della narrazione generale della storia, dagli eventi che ne scaturiscono alle reazioni dei protagonisti principali, delineando così un prima e un dopo all’interno dell’andamento della serie.
Tornando ad Arrow, quindi, se “Eleven-Fifty-Nine” è l’episodio che sancisce il vorticoso raggiungimento del climax nel “prima”, “Canary Cry” pone le basi con ritmi decisamente più distesi per il “dopo”. L’intera stagione di Arrow è difatti ruotata attorno all’identità del “morto importante”, annunciato al momento del suo avvio, puntando quindi tutta la sua efficacia sulla speculazione dei fan, “costretti” a sorbirsi il lungo e altalenante percorso d’avvicinamento all’episodio fatidico. Programmazione furba o meno, possiamo dire che perlomeno la morte in sé non ha deluso, anzi è riuscita ad avere il suo discreto effetto. Una volta smaltito lo shock, però,il quesito successivo è non era tanto meglio Felicity? se la scelta di ricadere sull’ex-Black Canary sia stata quella giusta, vista l’evidente evoluzione che il personaggio stava attraversando, troncando di netto un percorso personale che si era fatto più che ricco e, perché no, anche intrigante, specialmente rispetto a tutti i suoi statici “colleghi”.
In un ottica incentrata sul protagonista, però, va notata l’incidenza sulla sua psicologia degli unici altri morti-morti (e quindi non “resuscitati”) della serie, ossia Tommy Merlyn, non a caso rievocato in questo episodio “celebrativo”, e mamma Queen. Ci lasciano insomma i due amici d’infanzia di Oliver, oltre sua madre, quasi a delineare una materiale e definitiva perdita d’innocenza per il personaggio, se solo Arrow fosse uno show capace di sfruttare certi profondi sottotesti. Ci dobbiamo invece accontentare, molto probabilmente, del solo flashback, comunque carico di simili contenuti (per quanto accennati) che ha anche il merito di avvalorare quella fastidiosa sensazione che la relazione con Felicity sia sempre stato un contentino per i fan. Dall’innegabile chimica messa in scena dai due attori e dall’ispirazione mostrata dagli autori nei loro dialoghi, l’impressione è che i piani originali per il personaggio fossero ben altri, e gli stessi sceneggiatori in questa stagione hanno cercato di riparare all’essersi a lungo scordati dell’importanza iniziale di Laurel per il protagonista, con tanto di foto per l’Oliver “naufrago” (anche qui ripresentata), facendoli riavvicinare. Ma quello che avevamo scambiato per un ritorno di fiamma si è rivelato essere solo un piano preparatorio per la dipartita di lei.
Flashback di puntata che, sia nel suo stretto rapporto con la trama attuale sia nel suo riempire una parte di storia che ancora non era stata mostrata, rappresenta indubbiamente l’aspetto migliore di “Canary Cry”. Specialmente per il suo ricordarci, positivamente, il senso dei flashback di una volta, totalmente sparito in questa stagione (se non dalla scorsa); troppo debole quindi il tentativo di collegarlo, mediante l’accenno di Oliver, alla magia di Damien Darhk. A colpire, poi, è l’attenzione alla continuità temporale della trama con Oliver che ritorna su Lian Yu, dopo il fugace flirt post-morte di Tommy con Laurel come ci era stato presentato a inizio seconda stagione, che sarà pure la prassi in tanti altri “tavoli degli sceneggiatori”, ma non in questa sede. Attenzione riscontrabile altrettanto suggestivamente nel loro chiudere il cerchio narrativo con il flashforward della première (pur con qualche discrepanza con la situazione attuale di Barry/Flash, ma facilmente spiegabile). Insomma, in questo caso, han fatto i compiti a casa, cosa che non si può del tutto dire per il resto della trama “verticale” della settimana.
Tra i pregi, innanzitutto, va piazzata sicuramente la conferma che la moglie di Damien Darhk, per carisma e cattiveria, sia un villain molto più riuscito del marito. Pur con numerose riserve, si può promuovere anche la storyline dell’emulatrice di Black Canary. Sottotrama piena zeppa di forzature (vedi il suo spuntare proprio adesso che è morta l’originale o la sua infiltrazione all’ospedale senza essere a conoscenza della sua vera identità) e ingenue trovate di sceneggiatura (il reiterato “you failed this city” da parte di un “cattivo” a Oliver, del quale davvero non se ne può più; la modifica priva di spiegazione della tecnologia di Cisco e un po’ tutta la risoluzione della sua disputa con la signora Darhk) che però nasconde quantomeno un apprezzabile modo alternativo di trattare la fresca scomparsa di un protagonista, tra l’altro dalle forti tinte “fumettistiche” vista l’abbondanza nei comics di eredi e imitatori degli eroi dopo la loro morte.
“Canary Cry” non è altro, in fondo, che il più classico episodio di “lutto”, fin dal nome, e per questo difficilmente evitabile per le dinamiche interne dei personaggi, rispettando in toto tutti i canoni e i cliché da “senso di colpa” del caso. La resa non è da cestinare completamente, bilanciandosi tra lati positivi e negativi. Dei primi fa parte Quentin Lance, personaggio più tragico di tutti che riesce sempre a mantenere una certa dignità e insieme a suscitare la giusta partecipazione emotiva nel pubblico, perfino quando è usato come portatore della certezza assoluta della morte della figlia, con i continui tentativi di riportarla in vita (certo la “chiamata” a Nyssa potevano risparmiarsela). Ancora una volta, in relazione a lui, ne esce rinfrancato il personaggio di Oliver che raggiunge il culmine nel sentito discorso al funerale di Laurel, con uno Stephen Amell che abbozza sorprendentemente a qualcosa che può definirsi “recitazione” (anche qui, chiudiamo un occhio sul fatto che, ufficialmente, praticamente tutti i suoi vicini siano collaboratori di vigilanti, o lo sono loro stessi, e l’opinione pubblica non sappia fare due più due) che inaspettatamente svela l’identità della vigilante, scelta sicuramente efficace e vincente. Convincono molto meno Diggle e Felicity e tutti i dialoghi scritti per loro che non fanno che confermare quanto siano un peso innegabile per la serie, riportandoci alla mente il dubbio che, forse, per questo “morto importante” si poteva optare su qualcun altro.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Eleven-Fifty-Nine 4×18 | 2.24 milioni – 0.8 rating |
Canary Cry 4×19 | 2.27 milioni – 0.9 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.