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Game Of Thrones 6×07 – The Broken ManTEMPO DI LETTURA 7 min

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Nonostante manchino solo tre episodi alla conclusione di questa sesta stagione di Game Of Thrones, “The Broken Man” si configura come puro e semplice episodio preparatorio, al quale viene affidata la duplice funzione di far progredire la trama e ristabilire una sorta di equilibrio apparente in vista della conclusione. Sebbene l’avanzamento diegetico proceda con il freno a mano tirato, mostrando quella lentezza narrativa storicamente insita all’interno della serie e che potrà certamente annoiare qualcuno, dal punto di vista della scrittura l’episodio appare in fin dei conti ben riuscito.

Ray: “I reckoned you were gonna die by the time I loaded you on the wagon. But you didn’t. Now, I reckoned you’d die a dozen more times over the next few days, but you didn’t. What kept you going?
Sandor Clegane: “Hate.

In generale ci troviamo di fronte ad una puntata contraddistinta da un diffuso nomadismo, soprattutto per quanto riguarda il segmento narrativo di Jon, Sansa e Sir Davos ma, naturalmente, a imporsi nel marasma narrativo presentato in “The Broken Man” è Sandor Clegane. L’uomo spezzato da cui prende il nome l’episodio non può che essere lui, il Mastino, letteralmente ritornato dal mondo dei morti e protagonista indiscusso di un episodio che senza il suo apporto probabilmente non avrebbe suscitato grandissime emozioni. A lui il compito di aprire – grazie a un’atipica cold open che avrà certamente spiazzato tutti gli amanti dell’iconica sigla d’apertura, già pronti a storpiarla con rumorosi e stonati TAN TAN TA TA TAN (è inutile negarlo, noi conosciamo benissimo la verità) – e chiudere l’episodio, fungendo quasi da contenitore per le diverse storyline presentate nel corso dei cinquanta minuti di girato.
Sebbene il ritorno del Mastino rappresenti, seguito a ruota dal doppio gioco di Margaery (su cui torneremo dopo), il colpo di scena più eclatante di questo settimo appuntamento stagionale, l’intero segmento narrativo appare minato nelle sue fondamenta da un paio di problemi, più che altro legati alla scrittura, motivo per il quale, qualche riga sopra, abbiamo aggiunto quel “in fin dei conti” nel giudizio complessivo in merito alla riuscita dell’episodio. La decisione di mostrare subito l’inaspettato ritorno non rientra negli aspetti negativi, rivelandosi anzi una scelta azzeccatissima in funzione del massacro finale e dell’uscita di scena di Clegane ascia alla mano. A farci storcere il naso sono altri elementi. In primis la figura di Ray, personaggio solo abbozzato ed evidente deus ex machina narrativo funzionale solo al ritorno in auge del Mastino, salvato grazie all’interpretazione di Ian McShane che con il suo volto noto riesce a conferire maggiore spessore al Septon, facendoci dimenticare dell’evidente forzatura narrativa celata dietro al suo character. Ma, più in generale, è l’intero gruppo di comparse a mancare di tridimensionalità, problematica a cui si aggiunge un’ambientazione vaga nelle sue coordinate spaziali e un contesto evidentemente subordinato alla resurrezione simbolica di Sandor.

Jamie: “You’ve better instinct than any officer in the Lannister army.”
Bronn: “That’s like saying I have a bigger cock than anyone in the Unsullied army.”

Quello del Mastino non è comunque l’unico ritorno gradito. Torna infatti l’accoppiata Jamie/Bronn, alle prese con un orgoglioso Black Fish, disposto a sacrificare fino all’ultimo uomo, Edmure compreso, per difendere Delta delle Acque dall’assedio. Il confronto tra Jamie e Brynden Tully è uno dei momenti più intensi dell’episodio, insieme al faccia a faccia tra Cersei e Olenna, e mette in evidenza da una parte, quella di Jamie, la ricerca di controllo e la fretta di voler tornare a casa dai propri cari, dall’altra, quella di Brynden, l’orgoglio di un uomo disposto a tutto pur di non piegarsi ai suoi oppositori e la volontà di presidiare la propria fortezza per tutto il tempo necessario.
Ad Approdo del Re troviamo invece il secondo significativo plot twist dell’episodio, già menzionato a inizio recensione, riguardante il doppio gioco di Margaery nei confronti dell’Alto Passero. Il cambio repentino subito dal suo personaggio aveva sollevato qualche dubbio fin dal principio, in quanto clamorosamente out of character e, appunto, fin troppo fulmineo per essere del tutto credibile. A impreziosire questo segmento narrativo abbiamo il già menzionato faccia a faccia tra Cersei e Olenna, un confronto tra due donne, normalmente dotate di una personalità forte e imponente, rassegnate al succedersi degli eventi ma visibilmente pronte a tutto nonostante lo sfiancamento fisico ed emotivo provocato dall’ascesa dell’Alto Passero. Anche in questo caso, non si può far altro che schierarsi dalla parte di Olenna che giustamente non appare disposta ad accogliere la richiesta di una Cersei oramai disperata, ricordandole, parafrasando le sue parole durissime, che a colui che è ragion del proprio male non resta che piangere sé stesso.
Anche a Volantis è un’esponente del gentil sesso a prendere in mano la situazione: Yara, infatti, nel tentativo di anticipare suo zio, è intenzionata a far rotta verso Mereen per dare supporto a Daenerys e al suo variegato esercito. Sebbene questa sia la motivazione ufficiale che sta dietro alla breve parentesi dedicata ai Greyjoy, in realtà noi tutti conosciamo bene il reale scopo, abilmente ammantato dietro questa toccante conversazione tra fratelli e possiamo facilmente spiegarvelo in una parola: tette.

Sir Davos: “Jeor Mormont and Jon Snow both understood that the real war isn’t between a few squabbling houses. It’s between the living and the dead. And make no mistake, my lady, the dead are coming.”

Sul fronte Stark, il peregrinaggio di Jon, Sansa e Sir Davos “ruba” la fetta più grossa di minutaggio, delineando, in particolare nel corso delle trattative con lady Mormont, tutta una serie di nuove personalità in seno ai tre personaggi appena citati. Sebbene la caparbietà di Davos non porti a chissà quali grandi risultati (la bellezza di 62 uomini), l’intera sequenza ha comunque il pregio di evidenziare la ripartizione del carico motivazionale tra i tre personaggi. Una ripartizione che vede Jon decisamente in coda, ben poco determinato dopo la sua resurrezione e in alcuni momenti fastidiosamente rassegnato di fronte al difficile reperimento di uomini da reclutare all’interno del suo esercito. Sansa, forte e determinata come non mai, appare in più di un’occasione molto più risoluta del fratello, rendendosi protagonista della trasformazione più interessante vista in questa sesta stagione, reagendo inoltre all’oltraggioso rifiuto dei Glover con una misteriosa pergamena di cui non conosciamo il destinatario. Che si tratti di Ditocorto?
Infine, non resta che parlare di Arya, a cui viene dedicato il segmento narrativo più breve ma lungo a sufficienza per lasciarci col fiato sospeso. Un po’ ingenuamente, la piccola Stark subisce la vendetta promessale dall’Orfana, riuscendo miracolosamente a scamparla tuffandosi in acqua e riemergendo in uno stato di evidente paranoia. L’atteggiamento con cui affronta le trattative per il passaggio in direzione del continente e l’ingenuità mostrata nel subire l’agguato dalla sua assassina sono oggettivamente due situazioni tra loro contrastanti, ma lo shock emotivo nel vedere la ragazza pugnalata allo stomaco finisce per relegare queste pignolerie da recensore in secondo piano. Il suo salvataggio miracoloso, però, riporta in auge uno degli aspetti maggiormente mutati nella serie nel corso degli anni: Game Of Thrones, famosa inizialmente per la sua spietatezza nel trucidare personaggi a prescindere dalla loro centralità, con la resurrezione di Jon Snow, il ritorno del Mastino e, appunto, la fuga di Arya, ha dimostrato di essersi in qualche modo piegata al fan service, sacrificando quel coraggio, e dunque la conseguente imprevedibilità, che ha reso lo show il fenomeno mediatico che noi tutti conosciamo.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il ritorno del Mastino
  • Il doppio gioco di Margaery
  • Il confronto tra Cersei e Olenna
  • Bronn e Jaime di nuovo insieme
  • L’attacco a tradimento nei confronti di Arya 
  • La chiusura di puntata azzeccatissima
  • La figura di Ray in primis, personaggio di comodo funzionale al ritorno del Mastino, poco approfondito e salvato solo grazie al volto noto di Ian McShane
  • Lentezza narrativa insita nello show e che può portare ad annoiare

 

Con questo settimo episodio gli autori puntano sul consolidamento di alcuni equilibri preesistenti, puntando inoltre su pochi ma mirati colpi di scena per attirare l’attenzione dello spettatore e distrarlo dall’evidente rallentamento che accompagna i ritmi della narrazione. In un certo senso, ci troviamo nuovamente di fronte ad un episodio di passaggio, costruito in preparazione al massacro che, sicuramente, avverrà negli ultimi due appuntamenti stagionali. Ragion per cui, anche stavolta, optiamo per un onesto Save Them All.

 

Blood Of My Blood 6×06 6.71 milioni – 3.2 rating
The Broken Man 6×07 7.08 milioni – 3.9 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

4 Comments

  1. Non per dire ma è l'esatto contrario, questa stagione di got è velocissima rispetto alle altre, ogni storyline è narrata alla massima velocità, credo per poter finire in massimo 2 stagioni ancora

  2. Ciao Antonio, siamo d'accordo sul fatto che vengano narrati molti avvenimenti differenti, ma per quanto riguarda la velocità con cui le vicende si sviluppano, questa "fretta" che viene percepita è dovuta principalmente alla frammentazione narrativa derivante dalla necessità di dover mostrare un grande numero di personaggi e quindi di vicende. In altre parole, la sensazione è quella di assistere a uno show che sì, vuole mostrare tutto e subito (tralasciando tra l'altro l'approfondimento di molti personaggi e della loro psiche), ma che in realtà finisce per non mostrare nulla perché, come è risaputo, tutto deve avvenire nelle ultime due puntate. La strategia legata alla "nona puntata" ha finito per trasformarsi, da elemento positivo e risorsa preziosa, a limite di uno show che da qualche anno ha relegato i primi otto episodi a semplice riscaldamento in vista del gran finale. Spero di aver chiarito la mia interpretazione. Grazie dell'intervento e mi raccomando continua a seguire con noi l'avanzamento della serie!

  3. si, hai assolutamente ragione, la mia era solo una precisazione, visto che rispetto alle altre stagioni il ritmo era molto più veloce tutto qui
    Per la strategia della "nona puntata" mi sembra che nella 5 l'avessero accantonata visto che il colpo di scena è nell'ultima

  4. Sì, diciamo che nella quinta stagione le aspettative riversate nei confronti della nona puntata erano state in parte tradite. Nulla a che vedere con "Hardome", la 5×08, dedicata al combattimento con gli Estranei. La nona puntata, per quanto riguarda l'annata precedente, aveva puntato tutto su due eventi in particolare: il sacrificio della figlia di Stannis e l'arrivo di Drogon nelle fosse di Mereen (con conseguente partenza di Daenerys in stile "Neverending Story"), due avvenimenti certamente d'impatto, ma ben lontani dal carico emozionale delle precedenti puntate n°9.

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