“You’d rather die than living in a world with bears in the sky.“
C’erano una volta le trasposizioni cinematografiche dei libri. Dai kolossal imperiosi e danarosi, destinati a coprire la fama dell’opera di provenienza, fino alle produzioni televisive di quart’ordine. Il lettore, dopo essersi appassionato al prodotto cartaceo, si dirigeva con grande curiosità a divorarsi la trasposizione cinematografica, con la smania di vedere il volto dei personaggi finora soltanto immaginati. Prendeva poi il sopravvento la delusione per i numerosi tagli alla storia avvenuti nell’inevitabile adattamento. E forse poi la faccia del protagonista non era neanche così azzeccata. Quasi mai, quindi, un lungometraggio fu fonte di soddisfazione per un avido lettore, cospargendo così i romanzi di un’aura di intoccabilità e irraggiungibilità grazie ai mondi infiniti che le pagine potevano creare nella testa e nell’immaginazione di chi ne usufruiva.
Piano piano presero corpo le serie tv. Racconti a puntate – a capitoli – destinati a contenere al loro interno numerosissime divagazioni, con la libertà di muoversi in lungo e in largo, lasciando poco all’immaginazione dello spettatore, ma lasciandogli molto più tempo per abituarsi ad un volto o a una voce.
American Gods è un romanzo nato per essere una serie tv. L’interno del romanzo di Neil Gaiman è strutturato come una serie tv: ha i finali di stagione, ha diverse ambientazioni per periodo, ha tematiche noir, ha persino la possibilità di creare un ambito procedurale grazie all’enorme e fantasioso universo narrativo creato. Basti guardare l’accoppiata Shadow/Wednesday e al breve momento della “rapina” per rendersi conto che è il seriale a farla da padrone.
Approcciandosi a “Head Full Of Snow”, i 59 minuti di durata potrebbero scoraggiare. Ciò che aumenta il minutaggio, in questo caso come nei precedenti due episodi, è un ingrediente segreto di American Gods. Un elemento che in altri casi, in serie tv realizzate con meno cura estetica, sarebbe stato da thumb down costante. I vari somewhere in America costituiscono esattamente il già citato “ambito procedurale”. Sequenze bizzarre per i neofiti, chiare come il sole per i lettori, eppure sono tutte sequenze che, con estrema lentezza, raccontano storie (in apparenza) nettamente sconnesse dal filone principale. Brevi momenti antologici utili a immergere lo spettatore nell’atmosfera e nella filosofia di American Gods, ma anche perle di purissima estetica televisiva. Allo stato attuale neanche il lettore saprà se a livello televisivo vi sarà una connessione tra questi momenti e la storia principale, o se rappresenteranno esclusivamente un particolare condimento caratterizzante l’episodio di turno.
Dalla storia del tassista al decesso della donna di origini egiziane, questi diversivi regalano la giusta panoramica al mondo descritto da Gaiman e alla particolare idea da lui partorita, su cui si tornerà a breve. La realizzazione televisiva di Bryan Fuller non può non ricordare Hannibal e la sua particolarissima fattura. Dove lì vi era straniamento visivo nell’ambito umano-psicologico-culinario, in questo caso tale straniamento è proiettato verso un misticismo costituito da percezioni umanamente poco definibili. Da lì scelte sceniche particolarmente suggestive e “esplosive” nei cambi radicali di luci e colori (basti pensare alla scena di sesso tra il tassista e il venditore).
Ed è proprio la potenzialità dell’universo narrativo inventato da Gaiman che rende American Gods un tipo di narrazione in grado di trascendere il romanzo ed espandere le sue storie nella dimensione televisiva. Il titolo stesso suggerisce alla perfezione il tipo di ragionamento che si sta per intraprendere. Il mondo USA è commistione di culture e popoli dalle diverse etnie. La storia degli Stati Uniti d’America non si perde nei secoli, prende in prestito la moltitudine di storie degli altri paesi che hanno costituito la sua popolazione. Non esiste una tradizione radicata nel tempo. Vi è un enorme ammasso di elementi di diverse culture. Saltando di palo in frasca: frequentissima la tendenza a creare prodotti narrativi che non tengano minimamente conto della filologia (Once Upon A Time ha fatto dei miscugli niente male). Ed ecco American Gods. I Gods – rappresentazione di antiche culture politeiste, Dei potentissimi, ma anche figure nate da superstizioni popolari – proiettati e mischiati tra loro in un contesto moderno e straniante, assolutamente estraneo alla loro terra d’origine, molto American.
La spazzatura narrativa talvolta nata dalla mancanza di tradizioni ha trovato nel romanzo di Gaiman giustificazione filologica, storica e sociale, con una struttura che ben si sposa con le serie tv e con una conseguente realizzazione televisiva visionaria e in pieno stile Fuller.
E Shadow ha fatto nevicare marshmallows.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Arriveranno recensori anche dall’altra parte della barricata a fornire una visione più completa.
The Secret Of Spoons 1×02 | 0.71 milioni – 0.3 rating |
Head Full Of Snow 1×03 | 0.71 milioni – 0.3 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.