“Traduttore traditore” recita un noto adagio italiano, perché nell’attività del tradurre è insita, e non la si può eliminare completamente, l’impossibilità di trasporre efficacemente nella lingua d’arrivo tutto ciò che il testo originale vuole dire, tutte le sfumature di significato, i giochi di parole, le assonanze. Poiché trasporre sullo schermo è, di fatto, una forma di traduzione (seppur non da lingua a lingua ma da medium a medium), è inevitabile che un adattamento televisivo o cinematografico non possa mai corrispondere perfettamente al testo di partenza, vuoi perché il mezzo audiovisivo ha un linguaggio differente da quello cartaceo e non può trasporre adeguatamente tutto quello che c’è nel primo (e viceversa, ovviamente), vuoi perché anche ciò che può essere trasposto da un medium all’altro non è detto che funzioni in quello di arrivo così come in quello di partenza (basti pensare al tentativo posticcio di David Lynch di rendere i pensieri e i monologhi interiori sullo schermo nel film Dune del 1984).
Ci sono poi da considerare i tagli prettamente narrativi -quelli fatti per rientrare nei tempi imposti dal film o dalla serie televisiva o per sfrondare una trama cartacea troppo complessa- e spesso le aggiunte, che vanno dall’ampliamento di elementi già presenti nel testo di partenza all’inserimento ex nihilo di materiale totalmente inedito: operazioni antitetiche e spesso compresenti nel medesimo adattamento, che in alcuni casi possono migliorarne la qualità, in altri casi affossarla (come ben sanno i fan di Game of Throneso della trilogia jacksoniana tratta da The Hobbit).
Alla luce di queste premesse, si può considerare American Gods un “bel tradimento”, perché Bryan Fuller e Michael Green sono stati capaci di trasporre sullo schermo lo spirito e le atmosfere del capolavoro di Neil Gaiman senza rinunciare a cercare una propria autonomia, a piegare il testo scritto alle esigenze televisive, ai nuovi tempi (si veda l'”aggiornamento” dell’aspetto fisico di Technical Boy), alla loro stessa creatività e all’inevitabile desiderio di ampliarne ulteriormente l’universo narrativo con nuovi personaggi e digressioni: non uno stravolgimento del romanzo, dunque, ma una sua ri-creazione artistica (di fronte alla magnificenza della messa in scena proposta settimanalmente dallo show della Starz, parlare di “arte” è tutt’altro che fuori luogo). Con “A Murder of Gods”, questa volontà di rimanere fedeli ad un’opera nello spirito e nello stesso tempo ampliarne gli orizzonti appare ancora più evidente.
Vulcano: “You’re no stranger to sacrifice.”
Mr. Wednesday: “Oh, they don’t care enough to sacrifice anymore. Not to me.”
Vulcano: “They could. If they don’t, you could sacrifice yourself. You’ve done it before.”
Mr. Wednesday: “And the world opened to me. It was since closed.”
Come già successo nei passati episodi, anche questo è aperto da una sequenza introduttiva che ha il duplice scopo di mostrare l’arrivo di una particolare divinità sul suolo americano e di accennare ad un tema poi sviscerato nel corso dell’episodio, il sacrificio: così, il Brown Mexican Jesus cui Mr. Wednesday accennava in “Head Full of Snow”, dapprima interviene per soccorrere alcuni Messicani che stanno varcando il confine americano, salvando uno di loro dall’annegamento nel Rio Grande, poi immola la propria vita facendo loro scudo col proprio corpo quando una pattuglia di frontiera apre il fuoco. Si tratta di una vera e propria rivisitazione moderna, attualizzata, della crocifissione, sia per il contesto in cui avviene e che rimanda immediatamente a problemi di una scottante attualità, sia perché a uccidere il Figlio di Dio, a trafiggergli il palmo della mano e il petto, non sono chiodi o lance ma proiettili.
Al sacrificio del Cristo ispanico è speculare e nel contempo antitetica l’auto-immolazione compiuta da Odino, oggetto di una fugace menzione in un dialogo dell’episodio, lasciando allo spettatore il compito di collegarlo al mito di cui parla il Runatál (una sezione dell’Hávamál che è a sua volta una parte dell’Edda Poetica): se è vero che anche il padre degli déi norreni ha sacrificato la propria vita, rimanendo appeso per nove notti ad un albero, col corpo trafitto da una lancia (ci sono addirittura studiosi che vedono in questo mito la prova di una contaminazione cristiana della mitologia vichinga), è altrettanto vero che l’ha fatto per un fine egoistico, ossia l’acquisizione della conoscenza dell’universo, non certo per salvare vite umane o addirittura redimere l’intera umanità. E come lui ha agito Mr. Wood, l’albero animato già visto nel precedente “Lemon Scented You” che, di fronte all’avanzata dell’industria e della modernità, ha preferito egoisticamente sacrificare le proprie foreste e i propri alberi e trasformarsi in qualcosa di nuovo, uno dei Nuovi Dei appunto.
Se si parla di sacrifici, non si può non pensare a quelli che gli uomini sono tenuti, almeno secondo le religioni tradizionali, a compiere in onore delle proprie divinità, per placarne l’ira, per soddisfarne la sete di sangue, per mantenerle buone, per propiziarsele o semplicemente per onorarli; ma le culture si evolvono, le religioni nascono e muoiono, i culti degli dei tramontano anch’essi (come nel caso di Chernobog e di Wotan…) o si evolvono (come nel caso di Vulcano). Il dio romano, interpretato in maniera molto convincente da Corbin Bernsen, è una di quelle aggiunte di cui si parlava poc’anzi, un personaggio assente nel romanzo del 2001 (benché dietro la sua creazione ci sia lo stesso Gaiman) che serve ad ampliare la mitologia (nel vero senso della parola) dello show e soprattutto a mostrare come, accanto ai Vecchi Dei, disadattati nella nuova società o nostalgici del glorioso passato, e ai Nuovi Dei, figli del progresso, vi sia una terza categoria.
Vulcano è il Vecchio Dio passato dalla parte di Mr. World e sodali invece di combatterli, è la divinità che ha scelto di trasformare il proprio culto in un franchising e di nutrirsi non più delle vittime immolate sugli altari dai sacerdoti ma degli impiegati che “casualmente” perdono la vita in un infortunio nella sua fabbrica; è l’esponente di un vecchio mondo ormai ridotto a favoletta che si è reinventato nel nuovo e che gli uomini continuano ad onorare ogni volta che esplodono un proiettile contro un loro simile, perché da dio della tradizionale metallurgia, delle spade, della produzione artigianale di armi si è trasformato nel dio delle pistole, dei fucili, delle mitragliatrici, il dio che offre ai suoi fedeli, attraverso il possesso di un’arma da fuoco prodotta industrialmente, il potere divino del fuoco: “The power of fire is firepower. Not God, but god-like”.
Nel culto inquietante degli abitanti di Vulcan per le armi da fuoco, vero e proprio feticismo moderno e, nel contempo, affermazione prepotente ed inquietante di una libertà sacrosanta sancita dall’intoccabile Costituzione americana, non si può non vedere un riferimento alla situazione attuale, senza peraltro che Fuller e Green si lancino in facili moralismi e didascalismi: nella “processione” degli abitanti che scendono in piazza e festeggiano sparando verso il cielo i propri colpi (che poi ricadono sulla povera auto di Shadow e Mr. Wednesday!) non c’è tanto l’esplicita condanna del possesso delle armi da fuoco, quanto la sua fanatica esasperazione allo scopo di mettere in scena l’ennesimo lato della follia umana.
Viste queste premesse, uno scontro tra Vulcano e Mr. Wednesday è inevitabile e, anzi, se proprio si vuole trovare un neo nella puntata, piuttosto scontato: fin da quando Shadow e il suo divino datore di lavoro mettono piede nella villa del dio del fuoco -arredata lussuosamente con trofei di animali morti- è chiaro che c’è da aspettarsi un tradimento e la facilità con cui il padrone di casa accetta le richieste di Mr. Wednesday (unirsi al suo schieramento e forgiargli una spada) conferma ulteriormente questo sospetto, che immancabilmente si concretizza. Ciò non scalfisce minimamente, comunque, la potenza del confronto tra i due, che culmina con la splendida scena della decapitazione del dio del fuoco, cui segue la “simpatica” ed “elegante” maledizione che il dio norreno scaglia urinando nello stesso calderone pieno di metallo fuso in cui ha appena scagliato il corpo decapitato del vecchio amico, sotto gli occhi di un attonito Shadow che probabilmente si starà chiedendo perché più il suo viaggio on the road va avanti e più le cose si fanno strane e surreali (e in questo senso è un perfetto alter ego dello spettatore neofita, sicuramente ancora parecchio spaesato dall’universo in cui la serie lo ha catapultato, benché qualcosa cominci a delinearsi).
Mad Sweeney: “Why do men like anal sex? ‘Cause women don’t. Not like Ibrahim bin Irem here does. He’s got a button for that business, so he likes gettin’ his backdoor kicked in. But your kind of love, dead wife, is the grandest butt fuckin’ of ‘em all. You can love somebody even when you know they don’t like it. Even when you know they don’t want it. That’s some profound knowledge for you right here. Wrapped up in a quaint sexual metaphor.”
Laura Moon: “I don’t know. I really like anal sex.”
Accanto alle peripezie di Shadow Moon e di Mr. Wednesday, “A Murder of Gods” segue anche quelle del trio peggio assortito che si potesse mai creare, composto da un leprecauno incredibilmente sboccato e perseguitato dalla sfortuna (Mad Sweeney), una sexy zombie che a poco a poco sta marcendo (Laura Moon) e un immigrato omanita alla ricerca dell’ifrit che l’ha stregato e gli ha appioppato una nuova vita da tassista (Salim, già visto in “Head Full of Snow”). Il terzetto funziona a meraviglia, perché il carattere pacato e tranquillo di Salim controbilancia perfettamente il rapporto ben più burrascoso tra Mad Sweeney e Laura, che si sopportano a malapena ma hanno paradossalmente bisogno l’uno dell’altra (lui per riavere la sua moneta portafortuna, lei per ottenere una vera resurrezione prima che il suo corpo si decomponga completamente); l’interazione fra i tre dà vita tanto a gustosi siparietti comici quanto a momenti più seri, anche se la vera perla è la “raffinatissima” spiegazione del leprecauno su cosa sia l’amore riportata qualche rigo sopra.
Anche qui, se proprio si vuole trovare il pelo nell’uovo, si può criticare la scelta di far compiere a Laura quella deviazione in Indiana per rivedere la famiglia, che culmina nella prevedibilissima scena strappalacrime della ragazza che osserva i propri parenti felici dalla finestra senza poterli avvicinare; ma è un difetto che si perdona volentieri ad un episodio come questo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Lemon Scented You 1×05 | 0.66 milioni – 0.26 rating |
A Murder of Gods 1×06 | 0.61 milioni – 0.21 rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.