Sam: “I figured it out”.
Jean: “Sam.”
Sam: “No. You want me to be hooked on Sidney. Keeps me sick and needing you makes me powerful.”
Jean: “Look, Sam, I […] know things ended on a strange note in our last session, but I was just pushing you to challenge your feelings. I mean, that’s my job, to help you.”
Sam: “You know, I wanted to believe Sidney was a curse. This virus, this terrible thing. But I’ve started to see things differently.”
Gypsy racconta il gorgo e la tempesta, il dramma e lo spaesamento, il disagio e l’ombra, il nascosto e il sotterraneo. Gypsy si immerge nelle tenebre (della mente umana e del desiderio) e lo fa con una lentezza che spesse volte innervosisce. Al centro del gorgo c’è Jean, bipolare e pericolosa, in trappola, vittima del suo stesso gioco. “Neverland” accompagna lo spettatore proprio lì, nel punto di non ritorno, nel momento di massima tensione. Se all’inizio Jean era in grado di salvare quasi ogni situazione, ora le è impossibile farlo: è come se fosse rimasta imprigionata in un vortice che la trascina verso il fondo. Continua a mentire, usare, tramare pur di non essere scoperta ma è arrivato un momento in cui non può più risalire dall’abisso.
A poco a poco i misteri si scoprono o si fanno scoprire, ciò che Jean ha tenuto nascosto con forza e determinazione viene a galla e a nulla servono i suoi inganni. Nel dialogo con Sam sono evidenti due elementi: da una parte emerge il desiderio di controllo (la psicoterapeuta gioca con la vita dei suoi pazienti, fa fare loro ciò che lei desidera, si avvicina anche alle persone che stanno loro vicino), una delle caratteristiche principali di Jean, e dall’altra un misto di rabbia e indignazione che traspaiono sul suo volto nel momento in cui scopre di aver perso ogni potere sull’uomo.
Jean pensa che lui abbia scoperto il suo gioco (“I figured it out”), invece Sam ha capito qualcosa di più profondo: la donna ha un “problema di potere”, vuole avere tra le mani le redini del gioco, gestire la vita degli altri forse perché non è in grado di farlo con la sua. Jean non è sicuramente un personaggio positivo, ma non rientra in quell’album di cattivi di cui il pubblico si innamora, che affascinano e conturbano. Può ascriversi a tutti i personaggi femminili che hanno riempito il piccolo schermo in queste ultime stagioni, donne non comprese, sole e disperate, con un matrimonio in crisi, qui però è la serie a mancare di qualcosa – molto più forti le protagoniste di Big Little Lies e anche della commedia grottesca Santa Clarita Diet-, infatti lo show si adagia e si accartoccia su se stesso (a causa di un ritmo fin troppo lento e di una narrazione che vive di corsi e ricorsi, le telefonate, i messaggi, le bugie).
Lo spettatore è sempre più distante dalla protagonista e questo appare ancora più evidente quando Sam le dice: “But there’s still one thing I need to let go of. You are the last remaining thing that connects me to Sidney. And I’m finally in a really good place and making major life decisions”. La dea, pagana ma pur sempre dea, si scompone sulla scena e cade ancora una volta – la seconda caduta avviene quando alla fine dell’episodio si scopre che una sua paziente è scomparsa e lo spettatore sa che il modo di lavorare della psicoterapeuta non è sempre professionale (la lettera falsificata). Il personaggio di Jean si sta sfaldando e della donna spavalda ormai c’è solo il ricordo (prende medicinali per combattere l’ansia). Non c’è pietà per la psicoterapeuta, depotenziata e svilita – primo passo per la decomposizione completa -, e neppure per la donna che tenta disperatamente di barcamenarsi tra i suoi vari ruoli (figlia, moglie, madre, fidanzata), tra le sue personalità (Jean/Diane). Se come professionista, come moglie e figlia è spesso fallibile – i rapporti difficili con Michael e con la figura materna sono elementi importanti di questo episodio -, risulta, nonostante gli errori, più credibile e riuscita nel ruolo di madre (salva la recita della figlia).
Jean: “It was like that for a brief moment. All time had stopped, and I was outside myself. I felt completely out of control, like I couldn’t see anymore, couldn’t feel anymore and all I had was myself. If I didn’t find a way to manage my own fear, find a way to save myself, no one ever would. The roller coaster would never stop.“
Se tutto questo avviene nella sfera pubblica e professionale non è che la sfera privata sia priva di macchia: anche dentro le quattro mura di casa la donna è in crisi, pronta a cadere nel precipizio. Le parole che ruba ad Alexis, la collaboratrice di suo marito – inutile e poco originale la narrazione del rapporto tra i due – raccontano perfettamente il suo stato, il suo mondo interiore. Questa citazione del racconto di Alexis ci fa capire come si senta Jean/Diane: terrorizzata, prigioniera e fuori di sé, lontana da se stessa (I was outside myself), incapace di fermarsi e salvarsi dal vortice in cui si trova (I couldn’t see anymore, couldn’t feel anymore and all I had was myself).
Jean è su una montagna russa che non la lascia in pace, metafora delle sue svariate personalità, dei suoi strappi, delle sue ferite, delle sue corse a perdifiato per la città alla ricerca di una soluzione ai suoi drammi. Se con il marito la parola d’ordine è mentire, non dire, nascondere, lo è altrettanto con la sua amante, Sidney, che la fa barcollare, inciampare, crollare anche. I silenzi con il marito non le pesano troppo, ma la turbano nel profondo i messaggi, le telefonate, i baci, le mani di Sidney che portano a galla Diane e allontanano Jean da sé e dalla sua famiglia. Emerge ancor di più uno dei nei di questa serie: la mancanza di umanità dei personaggi che restano sempre un passo indietro nel racconto di sé.
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Marfa 1×08 | ND milioni – ND rating |
Neverland 1×09 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.