Se si volessero individuare tre battaglie, tra le tante combattute nella Guerra d’Indipendenza Americana, fondamentali per la vittoria finale degli Stati Uniti, si potrebbero benissimo citare Trenton (26 dicembre 1776), Bemis Heights (o seconda battaglia di Saratoga, 7 ottobre 1777) e Yorktown (29 settembre-19 ottobre 1781): la prima, preceduta dall’ancor più nota traversata del Delaware, sollevò il morale dei ribelli, duramente provato dalle sconfitte fino ad allora patite e dimostrò che i rivoluzionari potevano tener testa e sconfiggere non solo le ben addestrate giubbe rosse britanniche ,ma anche i temuti mercenari assiani; la seconda, resa possibile paradossalmente da quello stesso generale Arnold che anni dopo sarebbe passato dalla parte del nemico, convinse la Francia a scendere effettivamente in campo al fianco degli Stati Uniti; la terza fece capire definitivamente ai Britannici che la guerra era persa e indusse la Corona ad avviare le trattative di pace, che porteranno il 3 settembre 1783 al trattato di Parigi.
Purtroppo, delle prime due battaglie Turn: Washington’s Spies non ha potuto dare una degna ricostruzione a causa della limitatezza del budget: in “Epiphany”, quinto episodio della prima stagione, Benjamin Tallmadge perde conoscenza cadendo nel fiume Delaware e quando si risveglia, giorni dopo, la battaglia di Trenton è già stata combattuta off screen (è grossomodo lo stesso espediente usato nella prima stagione di Game of Thrones per la battaglia della Forca Verde, anche lì molto probabilmente per ragioni economiche); in “Thoughts of a Free Man”, premiere della seconda stagione, della battaglia di Saratoga è mostrata qualche breve scena, incentrata sull’eroica carica e sul successivo ferimento di Benedict Arnold. Per fortuna per l’assedio di Yorktown, evento culminante di questa quarta stagione, si è deciso di fare altrimenti, portando sullo schermo schermaglie navali, scavi di trincee, cannoneggiamenti delle postazioni nemiche e assalti all’arma bianca, questo nonostante le risorse a disposizione di Craig Silverstein non siano paragonabili a quelle di un kolossal hollywoodiano o delle ultime stagioni di Game of Thrones, nonostante i soldati sullo schermo siano molti meno dei quasi diciannovemila franco-americani e dei novemila britannici e nonostante la scaramuccia navale (in cui hanno un ruolo decisivo i manuali dei segnali navali manomessi da Townsend nel precedente episodio) sfiguri se messa a confronto con i roboanti ed epici scontri visti in Black Sails.
Del resto, più che sulla spettacolarità della battaglia, “Reckoning” punta la propria attenzione sui singoli uomini (e donne, anche!) che vi prendono parte o che ne sono coinvolti, anche lontanamente: Abraham Woodhull, che invece di tornare a Setauket sceglie di rimanere a combattere per la causa in cui crede; Caleb Brewster, ormai tornato in splendida forma dopo aver superato i traumi post-tortura; Anna Strong e Mary Woodhull, che danno il proprio contributo alla rivoluzione assistendo i soldati, la prima portando loro l’acqua, la seconda medicando i feriti; George Washington, che come un altro grande condottiero quale Alessandro Magno rifiuta di rimanere a guardare e scende personalmente in campo, scavando trincee insieme ai comuni soldati; John Graves Simcoe, capace durante la propria convalescenza di tirar fuori un insospettato lato umano preoccupandosi per la sopravvivenza dei Queen’s Rangers.
Hewlett: “All nature is a circle of creation and destruction. And after so much destruction from this war, John, it is time to tend the garden again. I have thought long about this. So, you see, I am not breaking the circle but merely following it through its natural revolution.”
Simcoe: “You are weak!”
Hewlett: “We must create a new world from the old world. And our feud is part of the old. Such knowledge is bitter, but the fruit is sweet.”
Avvicinandosi ormai alla fine, Turn: Washington’s Spies non può rimandare ulteriormente quelle rese dei conti ancora aperte, e se in “Belly of the Beast” si trattava di chiudere la questione Abe-Caleb-Simcoe, questa volta tocca ancora a Simcoe e a un altro suo vecchio nemico, Edmund Hewlett, incontrarsi. Sulle prime, Hewlett è mosso dal desiderio di vendetta e dalla volontà di uccidere l’uomo che gli ha fatto tanti torti, ma alla fine decide di concedergli un dono ben diverso dalla morte: lo risparmia, proprio quando potrebbe ucciderlo senza problemi, non in nome di un astratto senso del perdono cristiano o per debolezza di carattere, ma perché è moralmente superiore a un atto così vile e perché trova nella pietà, nella concessione della vita a un uomo che si aspetta tutt’altro esito la punizione migliore, l’umiliazione eccellente per un uomo come il comandante dei Queen’s Rangers; ma a spingerlo a tale decisione è anche la scoperta che persino nell’animo di Simcoe si agita un barlume di umanità, un seme che potrebbe germogliare (e a questo punto non stupirebbe se il Simcoe televisivo si allineasse al Simcoe storico).
Di diverso tenore è l’altrettanto atteso incontro tra Abe, la moglie Mary e il figlioletto Thomas: si respirano tenerezza, commozione, gioia per un padre e un marito che riabbraccia la propria famiglia, così come poco più avanti, quando Abe ferito è portato nel padiglione medico e ritrova moglie e figlio che assistono i malati, si percepisce tutta l’angoscia della situazione, del vedere una vita cara appesa a un filo. Quel calore e quell’affetto a Peggy Arnold, invece, sono negati proprio nel momento in cui ne avrebbe più bisogno, il parto, perché il marito non è con lei (Benedict è l’unico regular, insieme a Townsend, a non apparire in questo episodio, ma sicuramente tornerà nel series finale) e se anche fosse lì il loro rapporto è ormai deteriorato dalle scoperte su John Andre; il fantasma di Andre ritorna ancora una volta, quando la sua ex-amante incolpa crudelmente Abigail di aver causato, con la sua attività di spia, la morte dell’amato. Lo spettatore sa che non è così e che la responsabilità, semmai, è di Robert Rogers e di Philomena Cheer, e alla fine anche Peggy deve ammettere l’innocenza della sua domestica, nonché l’unica persona amica che ancora le resti, per quanto non si sa visto che il ritorno di Akinbode (chi non muore si rivede!) porterà quasi sicuramente, a meno di colpi di scena dell’ultimo momento, alla partenza di Abigail e Cicero per il Canada, dove la schiavitù è stata abolita (in realtà, nella storia vera la schiavitù in Canada nel 1781 era ancora in vigore e nella sua abolizione nei decenni successivi ebbe un ruolo fondamentale… Simcoe!).
L’episodio si conclude, come è prevedibile, con la resa dell’esercito britannico di Yorktown, il momento di massimo trionfo di Washington e di Lafayette, reso possibile però dall’operato dei Woodhull: è stato Abe a fornire le informazioni che hanno spinto Washington ad abbandonare la sua ossessione per New York e a spostarsi a sud, è stata Mary a far pervenire al generale Clinton le false notizie che lo hanno spinto a rinforzare ancora di più New York sguarnendo Yorktown. Yankee Doodle, la canzoncina che in “Manded” (ottavo episodio della terza stagione) Rivington e i soldati britannici avevano intonato con chiaro intento denigratorio verso i patrioti, si trasforma nella melodia della vittoria ed è significativo che quando essa inizia ad essere suonata i pifferai e tamburini britannici si interrompano: l’impero britannico ha perduto la guerra e sta per perdere una buona fetta delle sue colonie, mentre gli Stati Uniti, la prima vera democrazia della storia moderna, hanno ormai mostrato tutto il loro valore sul campo di battaglia.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Belly of the Beast 4×08 | 0.6 milioni – 0.13 rating |
Reckoning 4×09 | 0.6 milioni – 0.12 rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.