“Dulcis in fundo”, recita un noto modo di dire pseudo-latino che Turn: Washington’s Spies sembra aver preso in parola, perché la fin troppo ingiustamente sottovalutata e ignorata serie della AMC, dopo una buona prima parte di stagione e un segmento di episodi centrali non proprio eclatanti, sembra essersi riservata il meglio per la triade finale, quella che metterà la parola fine dopo quattro anni alle avventure di Abraham Woodhull, Benjamin Tallmadge, Caleb Brewster, Anna Strong e John Graves Simcoe.
“Belly of the Beast” è il miglior episodio di questa stagione, almeno fino ad ora, visto che ne restano ancora due (purtroppo) che potrebbero rubargli tale titolo, e porta avanti quasi tutte le storylines, da New York alla Virginia, lasciando fuori tra i personaggi principali solo Peggy Arnold e il maggiore Edmund Hewlett (ma la prima potrebbe aver ormai concluso la sua funzione narrativa e il secondo, senza Abe o Simcoe con cui interagire, ha poco da fare).
In Virginia, Benedict Arnold può finalmente tornare sul campo di battaglia e dare prova delle sue capacità, prendendo la capitale Richmond e mettendone in fuga il governatore, Thomas Jefferson (il futuro terzo presidente degli Stati Uniti, nonché principale autore della Dichiarazione d’Indipendenza); proprio con la presa di Richmond si apre l’episodio, mostrandola dal punto di vista di Abe Woodhull, tutt’altro che a suo agio nei panni del soldato, concentrandosi più che sui combattimenti, sui moribondi lasciati per strada e sui civili che piangono i propri morti. Poco importa che nella realtà il sacco di Richmond sia avvenuto nel gennaio del 1781, grossomodo contemporaneamente agli ammutinamenti della Pennsylvania Line e della New Jersey Line già visti in “Nightmare”: Turn piega a proprio piacimento il dato storico, per esigenze narrative ovviamente e non per mero capriccio, spostando l’evento di qualche mese più avanti e facendolo seguire immediatamente dalla battaglia di Blandford, combattuta in realtà ben tre mesi dopo.
Blandford rappresenta non solo l’ennesima vittoria dei Britannici, ma soprattutto lo scenario dello scontro tra Abe e Simcoe, con un decisivo intervento di Caleb, che riesce a superare i traumi post-tortura e i sensi di colpa per aver tradito i suoi amici (almeno così lui pensa) grazie alle parole di Mary, certamente non disinteressate (la donna è preoccupata per il proprio marito e ha bisogno che qualcuno corra a salvarlo) ma di grande ispirazione per il baleniere. Benché non manchino i soliti cliché del caso (la vittima che fugge dall’inseguitore fino a trovarsi in un vicolo cieco, l’intervento provvidenziale di un inaspettato alleato proprio quando l’inseguitore sta per vibrare il colpo mortale), la resa dei conti tra l’agricoltore di Setauket e il comandante dei Queen’s Rangers è carica di tensione, coinvolgente e appassionante; purtroppo non chiude definitivamente la questione Simcoe, perché quest’ultimo sopravvive al proiettile di Caleb e alla caduta su un mucchio di pietre e viene soccorso dai soldati britannici, mentre Woodhull decide (oltre che di sopravvivere, perché se avesse dato il colpo di grazia a Simcoe sarebbe stato comunque fucilato sul posto dagli altri soldati) per una volta di dare alla missione di spia la priorità sulla vendetta, essendo in possesso di informazioni fondamentali sulla prossima mossa di Cornwallis. E’ difficile fare al momento previsioni sul destino di John Graves Simcoe e la storia reale aiuta poco (il vero Simcoe morì nel 1806, ma Craig Silverstein aveva intenzione di far morire il personaggio già nel pilot e solo l’interpretazione di Samuel Roukin fece cambiare idea, quindi non è ancora troppo tardi per mettere in pratica questa vecchia idea), tuttavia è improbabile che quanto visto in “Belly of the Beast” sia la definitiva uscita di scena di uno dei pilastri dello show, l’unico vero villain rimasto in piedi dalla prima stagione.
Townsend: “If ther’s one thing I have learned there, it’s how to spread a lie.”
Rivington: “Is that why you did it then? To teach us sinners a lesson?”
Towsend:“If I was a more pious Quaker, I would have stayed neutral. […] Those who sit on the picket fence are impalet by it. I was here. And I could do something. And that’s as much a reason as anyone ever needs.”
Sul fronte più prettamente spionistico, in “Belly of the Beast” vengono fatti passi da gigante. Innanzitutto, come si è già detto, Abraham scopre (grazie ad Arnold, che non sospettando della sua natura di spia gli fornisce a cuor leggero informazioni che dovrebbe tenere riservate) lo spostamento di Cornwallis nella vulnerabile ed isolta Yorktown, dove si consumerà, come sa bene chi ha una conoscenza anche superficiale della rivoluzione americana (o si è semplicemente visto il film The Patriot con Mel Gibson e Jason Isaacs), la decisiva vittoria delle forze continentali e dei loro alleati Francesi. Al momento, però, il generale Washington sembra ancora ossessionato dall’idea di prendere New York, al punto da reagire malamente al tentativo di Benjamin Tallmadge di farlo ragionare: ancora una volta il primo presidente degli Stati Uniti riceve una rappresentazione tutt’altro che agiografica, ma piuttosto è un uomo come tutti gli altri, vittima come tanti della superbia, della vanità e dell’ostinazione. A questo punto è molto probabile che il merito di Woodhull sarà di aprire gli occhi al comandante americano e spingerlo a spostarsi a sud, del resto mancano solo due episodi al finale e questa battaglia di Yorktown s’ha da fare, direbbe il Manzoni.
Nell’accampamento di New Windsor, viene portata avanti anche la storyline che ha per protagonista Mary Woodhull, personaggio per il quale era lecito temere un’emarginazione rispetto al resto della narrazione e che invece in questa seconda metà di stagione, nel rapporto con la spia britannica Anne Bates, si sta rivelando narrativamente molto utile, forse anche più di altre donne della serie come Anna Strong e Peggy Arnold; in particolare, la scoperta che la Bates lavora direttamente per il generale Clinton apre le porte a un possibile e volontario depistaggio dei Britannici con false informazioni.
Un’altra forma di depistaggio, indipendentemente dal primo e su un altro fronte, quale quello della città di New York, è portato avanti da Hercules Mulligan e da Robert Townsend boicottando la stampa di un manuale di segnali per la Royal Navy allo scopo di rendere impossibile la trasmissione di ordini da una nave all’altra e avvantaggiare la flotta francese. La scoperta da parte di Rivington dell’attività segreta del proprio socio dà vita a uno splendido confronto tra i due uomini che è anche un confronto tra due diverse mentalità e modi di vivere: da un lato vi è tutto l’opportunismo del disilluso editore, genuinamente sconvolto da ciò che ha scoperto, ma capace anche di cogliere un vantaggio personale imponendo al socio la vendita della sua parte della società per non denunciarlo; dall’altro lato, invece, l’idealismo di un uomo che non è mai stato un vero patriota ma che, di fronte a un avvenimento epocale quale la rivoluzione americana e consapevole di poter dare il proprio contributo alla storia, non ha potuto mantenere la neutralità e si è dovuto necessariamente schierare con una delle due parti in campo. E’ la stessa lezione che Abe ha dovuto imparare a suo tempo: non si può rimanere neutrali, bisogna avere la forza di scegliere da quale parte stare e di continuare su quella strada, dovunque essa porti.
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Quarry 4×07 | 0.55 milioni – 0.12 rating |
Belly of the Beast 4×08 | 0.60 milioni – 0.13 rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.