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Il recensore di turno è reduce da un bel binge watching della terza stagione di The Last Kingdom e non ha fatto in tempo ad abbandonare le lotte tra sassoni e vichinghi nel IX secolo che vi si deve rituffare prontamente con Vikings, ma non è questo il problema. Né si vogliono fare paragoni e confronti tra le sue serie, ognuna con i suoi pregi e i suoi difetti. Il problema è che, superata l’iniziale euforia per il ritorno di una delle serie da lui più amate, il recensore in questione deve fare i conti con una triste verità: lo show di Michael Hirst non solo ha perso molta della sua originaria freschezza, cosa normalissima quando si arriva alla quinta stagione, ma potrebbe aver ormai compiuto quello che in gergo si chiama “salto dello squalo”, ossia aver intrapreso definitivamente una china discendente.
Se ci sia un declino in Vikings è argomento di discussione da almeno un paio di anni. Di certo non si può ignorare la portata dell’uscita di scena dei protagonisti “storici”, gente come Ragnar e Ecbert che per un mix di scrittura e attori scelti riuscivano a dominare la scena. Morti loro è iniziata l’era degli Ubbe e dei Hvitserk, degli Alfred e dei Björn, incapaci vuoi per deficienze degli interpreti vuoi per una caratterizzazione frettolosa e affettata di brillare quanto i loro illustri avi; persino Ivarr, la migliore delle nuove leve, è prigioniero nell’immagine cristallizzata di storpio rabbioso affamato di gloria e di vendetta, che tende a renderlo in certi frangenti fin troppo bidimensionale.
Parallelamente i superstiti del vecchio cast non hanno avuto sorte migliore. Floki si è ritrovato imprigionato in una storyline suggestiva ma troppo slegata dalle altre e per questo a tratti dal sapore di un filler o peggio ancora di una divagazione inutile, sensazione che permane ancora in questo undicesimo episodio e che solo un cambio di rotta deciso potrà eliminare. Lagertha si è cristallizzata nel ruolo di signora della guerra badass femminista e pure lesbica, persino la new entry Heahmund in cui erano riposte molte speranze si è rilevata nel giro di poco tempo meno incisiva del previsto e la liaison nata con l’ex-signora Lodbrok è la pietra tombale su entrambi i personaggi, ridotti a una coppietta adolescenziale in calore che si scambia teneri “I love you” e fa progetti di vita insieme. Lagertha non ha più nulla da dire e sarebbe ora di farla finita: potrà ripetere quanto vuole che non accetta ancora di concludere la propria storia, ma se venisse fatta fuori da Ivarr narrativamente parlando sarebbe un’eutanasia.
Parallelamente i superstiti del vecchio cast non hanno avuto sorte migliore. Floki si è ritrovato imprigionato in una storyline suggestiva ma troppo slegata dalle altre e per questo a tratti dal sapore di un filler o peggio ancora di una divagazione inutile, sensazione che permane ancora in questo undicesimo episodio e che solo un cambio di rotta deciso potrà eliminare. Lagertha si è cristallizzata nel ruolo di signora della guerra badass femminista e pure lesbica, persino la new entry Heahmund in cui erano riposte molte speranze si è rilevata nel giro di poco tempo meno incisiva del previsto e la liaison nata con l’ex-signora Lodbrok è la pietra tombale su entrambi i personaggi, ridotti a una coppietta adolescenziale in calore che si scambia teneri “I love you” e fa progetti di vita insieme. Lagertha non ha più nulla da dire e sarebbe ora di farla finita: potrà ripetere quanto vuole che non accetta ancora di concludere la propria storia, ma se venisse fatta fuori da Ivarr narrativamente parlando sarebbe un’eutanasia.
Dei vecchi protagonisti resta anche Rollo, eppure nel suo caso più che di altri è una pura illusione aspettarsi che sia rimasto lo stesso di un tempo. Non dev’essere passato molto tempo dal raid andaluso in “Crossings”, eppure in “The Revelation” sembra invecchiato di dieci anni: non tanto per i fili d’argento nella barba e nei capelli ma per il suo modo di comportarsi, di parlare, di rievocare con nostalgia il passato, quando c’era Mussolini Ragnar e i treni drakkar arrivavano in orario. Non è più Rollo il vichingo, che si gettava nella mischia a petto nudo con la furia di un berserker, ma Rollo il duca di Normandia, che si preoccupa piuttosto di fare buoni affari commerciali e di salvare la propria anima cristiana. Non gli interessa nemmeno un po’ sottrarre Kattegat ai suoi nuovi padroni, perché a casa possiede più terre di quante Ivarr e Harald potrebbero mai conquistarne.
Nel contempo, sotto quei lussuosi abiti franchi è ancora il solito vecchio Rollo, incapace di voltare le spalle a Lagertha e all’amato nipote Björn… che forse nipote non è, perché con nonchalance Hirst sgancia la bomba riguardante la paternità di quello che credevamo essere fuori da ogni dubbio il primogenito di Ragnar. Che il personaggio interpretato da Clive Standen avesse un debole per la cognata è cosa nota fin dal pilot, ma confermare che dietro c’era qualcosa di più serio e tirare in ballo la possibilità che Björn sia nato da tale relazione è un altro paio di maniche, è l’ennesima mossa da soap opera di un autore che sembra quasi compiacersi nel mostrare che ogni personaggio del suo show va a letto praticamente con tutto il resto del cast, seminando figli a destra e a manca. Alla fine non importa nemmeno di chi sia biologicamente figlio Björn, perché lui per primo si sente erede di Ragnar e l’unico sentimento che al momento prova per Rollo è il desiderio di spaccargli il cranio con l’ascia; quello che infastidisce è che si abusi un po’ troppo di questi mezzucci degni di una telenovela sudamericana, peraltro in uno stadio della narrazione già così avanzato.
Carrambata di Rollo a parte, la storyline del team Lagherta in fuga da Kattegat non riesce a essere coinvolgente come si vorrebbe. Non c’è quel senso di pericolo imminente e di disperazione che ci si aspetterebbe all’indomani di una sconfitta così rovinosa. Lagherta ha perso il trono e un’amica/amante, Torvi ha perso un figlio, ma le loro priorità sono fare gli occhi dolci ai rispettivi innamorati. L’unico vero sussulto emotivo è il godimento che si prova vedendo Margrethe, l’ingrata che ha morso la mano che la nutriva, gettata in un porcile e trattata a mo’ di bestia. Per fortuna Hirst decide di non tirarla troppo per le lunghe ed entro la fine dell’episodio le sorti di Lagherta e compagni subiscono un brusco cambiamento, perché viene accettata la proposta di Heahmund di rifugiarsi in Inghilterra, presso i re del Wessex.
Quello che monsignor Trivellone non sa è che Aethelwulf è passato a miglior vita, in una delle morti più ridicole della storia televisione, e il trono è andato a Aethel… no, ad Alfred, abbiamo già fatto notare a suo tempo lo spaventoso e apparentemente immotivato salto dinastico. Purtroppo nemmeno queste vicende riescono ad avere per ora il giusto mordente: Alfred è una figurina messianica e perfetta ma priva del carisma del nonno o dei tormenti interiori dei padri (quello biologico e quello putativo), e la sua riforma “populista” dell’educazione nazionale, per quanto sia un tema interessante, rischia di provocare sonori sbadigli all’interno di una serie che è sempre stata più votata alle componenti action e soap. Ci è almeno di conforto la sensazione che l’arrivo alla sua corte di Heahmund, Lagertha, Björn e Ubbe renderà più avvincente anche questa storyline.
Nel contempo, sotto quei lussuosi abiti franchi è ancora il solito vecchio Rollo, incapace di voltare le spalle a Lagertha e all’amato nipote Björn… che forse nipote non è, perché con nonchalance Hirst sgancia la bomba riguardante la paternità di quello che credevamo essere fuori da ogni dubbio il primogenito di Ragnar. Che il personaggio interpretato da Clive Standen avesse un debole per la cognata è cosa nota fin dal pilot, ma confermare che dietro c’era qualcosa di più serio e tirare in ballo la possibilità che Björn sia nato da tale relazione è un altro paio di maniche, è l’ennesima mossa da soap opera di un autore che sembra quasi compiacersi nel mostrare che ogni personaggio del suo show va a letto praticamente con tutto il resto del cast, seminando figli a destra e a manca. Alla fine non importa nemmeno di chi sia biologicamente figlio Björn, perché lui per primo si sente erede di Ragnar e l’unico sentimento che al momento prova per Rollo è il desiderio di spaccargli il cranio con l’ascia; quello che infastidisce è che si abusi un po’ troppo di questi mezzucci degni di una telenovela sudamericana, peraltro in uno stadio della narrazione già così avanzato.
Carrambata di Rollo a parte, la storyline del team Lagherta in fuga da Kattegat non riesce a essere coinvolgente come si vorrebbe. Non c’è quel senso di pericolo imminente e di disperazione che ci si aspetterebbe all’indomani di una sconfitta così rovinosa. Lagherta ha perso il trono e un’amica/amante, Torvi ha perso un figlio, ma le loro priorità sono fare gli occhi dolci ai rispettivi innamorati. L’unico vero sussulto emotivo è il godimento che si prova vedendo Margrethe, l’ingrata che ha morso la mano che la nutriva, gettata in un porcile e trattata a mo’ di bestia. Per fortuna Hirst decide di non tirarla troppo per le lunghe ed entro la fine dell’episodio le sorti di Lagherta e compagni subiscono un brusco cambiamento, perché viene accettata la proposta di Heahmund di rifugiarsi in Inghilterra, presso i re del Wessex.
Quello che monsignor Trivellone non sa è che Aethelwulf è passato a miglior vita, in una delle morti più ridicole della storia televisione, e il trono è andato a Aethel… no, ad Alfred, abbiamo già fatto notare a suo tempo lo spaventoso e apparentemente immotivato salto dinastico. Purtroppo nemmeno queste vicende riescono ad avere per ora il giusto mordente: Alfred è una figurina messianica e perfetta ma priva del carisma del nonno o dei tormenti interiori dei padri (quello biologico e quello putativo), e la sua riforma “populista” dell’educazione nazionale, per quanto sia un tema interessante, rischia di provocare sonori sbadigli all’interno di una serie che è sempre stata più votata alle componenti action e soap. Ci è almeno di conforto la sensazione che l’arrivo alla sua corte di Heahmund, Lagertha, Björn e Ubbe renderà più avvincente anche questa storyline.
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Spiace dover esprimere giudizi così duri su una serie tanto apprezzata e capace in passato di offrire tanti ottimi momenti, ma non ci siamo proprio. Ritentiamo col prossimo episodio, magari saremo più fortunati.
Moments of Vision 5×10 | ND milioni – ND rating |
The Revelation 5×11 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.