Nell’ambito della sociologia, una delle correnti teoriche più affermate è quella dell’individualismo metodologico; gli appartenenti a questa corrente ritengono che l’unità di analisi debba essere rappresentata dalle azioni dei singoli agenti e che, soprattutto, i fenomeni sociali siano l’insieme delle conseguenze intenzionali e non scaturite dall’aggregazione delle varie azioni. Si sostiene, dunque, che ogni azioni comporti conseguenze inizialmente non previste, e che esse siano fondamentali nel determinare i vari fenomeni facenti parte della società. Un celebre esempio viene offerto dallo studioso francese Raymond Boudon, il quale nota come azioni individualmente razionali, o comunque ragionevoli (si pensi alla decisione, da parte di una famiglia di contadini, di avere tanti figli), possano comportare conseguenze collettivamente dannose (la sovrappopolazione ostacola la crescita e lo sviluppo economico).
“All along, I’ve only been looking at one Doug, but there’s millions of Dougs in here. In 1534, Douglass Wynegar of Hawkhurst, England, gave his grandmother roses for her birthday. He picked them himself, walked them over to her, she was happy boom, 145 points. Now Yeah, here we go. In 2009, Doug Ewing of Scaggsville, Maryland, also gave his grandmother a dozen roses, but he lost four points. Why? Because he ordered roses using a cell phone that was made in a sweatshop. The flowers were grown with toxic pesticides, picked by exploited migrant workers, delivered from thousands of miles away, which created a massive carbon footprint, and his money went to a billionaire racist CEO who sends his female employees pictures of his genitals.”
La società odierna è incredibilmente interdipendente e sfaccettata, per cui la presenza di conseguenze non intenzionali è sempre più consistente, dato che ogni singolo fatto deve essere messo in relazione a dinamiche molto complesse. Inoltre, essendo la contemporaneità contraddistinta da problemi molto significativi, è molto probabile che la maggior parte delle conseguenze non intenzionali siano negative, come mostrato dal discorso di Michael riportato qui sopra. In sostanza, non è il Bad Place ad aver manomesso il sistema, è il sistema a non essere più al passo coi tempi. Questo aspetto può essere visto nel quadro più generale della puntata, che sembra essere una grande metafora politica. A partire dal commento di Jason sui rifugiati, infatti, si può notare una sottile critica alla situazione politica attuale. L’esempio più calzante, da questo punto di vista, è rappresentato dai membri della commissione, così occupati ad essere gentili e rispettosi delle regole da risultare del tutto incapaci di contrastare un nemico che non ha alcuna intenzione di mostrare loro la stessa premura.
Ai fini della trama, è molto interessante e coraggiosa la scelta di additare l’obsolescenza del sistema di valutazione come causa dei malfunzionamenti. Se si fosse deciso di confermare la colpevolezza dei demoni del Bad Place, gli autori avrebbero avuto la vita molto più facile; in questo modo, invece, sarà necessario tornare sui livelli più alti mai raggiunti dallo show per dare credibilità (per quanto possibile, in uno show come questo) alle nuove vicende e per renderle intriganti e sorprendenti.
“What’s up, fart-faces? Chidi and I just had sex in a closet.”
Se della storyline più propriamente connessa alla trama orizzontale sono state tese le lodi, lo stesso non si può dire delle altre vicende: se lo sviluppo del rapporto tra Eleanor e Chidi non è nulla di rivoluzionario, ma è comunque apprezzabile, lo stesso non si può dire del triangolo amoroso Jason-Tahani-Janet, troppo incentrato su situazioni già viste e, soprattutto, sugli interventi nonsense di Jason (i quali, dopo quasi tre stagioni, stanno diventando un po’ ripetitivi; non si chiede di farlo diventare l’uomo più arguto al mondo, ma di far progredire un po’ il suo personaggio, in modo da mostrare altri lati del suo carattere). Sebbene sia interessante l’idea di mostrare i sentimenti di un robot, la sensazione è quella di un susseguirsi circolare delle vicende, che finiscono per riportare la situazione sempre al punto di partenza; ciò che è ancora più grave di questa storyline, però, è che non solo non brilla per umorismo o per rilevanza ai fini della trama, ma non si riesce a immaginare una degna conclusione.
In generale, si nota come questa terza stagione stia facendo fatica a raggiungere gli altissimi livelli delle prime due, pur assestandosi comunque su standard decisamente soddisfacenti. Il problema più serio pare essere quello delle vicende di contorno e della relativa sceneggiatura, da sempre punti di forza di questo show (sia chiaro, a volte si raggiungono ancora vette altissime, come nel caso della puntata precedente). La speranza è che, con l’ennesimo cambio di location, anche questo aspetto riesca a tornare ai fasti di un tempo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Janet(s) 3×10 | 2.58 milioni – 0.8 rating |
The Book Of Dougs 3×11 | 2.72 milioni – 0.9 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.