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Sono evidenti gli strati in cui The Good Fight si muove. L’assenza di un’effettiva protagonista indiscussa crea una molteplicità di punti di vista, inevitabilmente diversi anche considerando il differente status degli stessi personaggi coinvolti. Quanto detto è dimostrato dalle tre diverse storyline che caratterizzano questa 3×05.
Maia torna inevitabilmente a destare un maggiore interesse nel pubblico, grazie alla drastica svolta del precedente episodio. Il licenziamento apre molti interrogativi sul suo futuro, portando il pubblico a chiedersi se piuttosto che essere una scelta volta a mettere il personaggio maggiormente sotto i riflettori non sia invece l’inizio di una silenziosa uscita di scena. Da un lato il finale di episodio, in cui Maia dimostra un evidente rancore verso Diane prima e Lucca poi, sembra confermare questo aspetto, considerando anche quanto nell’universo dei King i personaggi possano sparire senza troppe spiegazioni. D’altra parte si è portati ad empatizzare verso la giovane Rindell e a mettere in prospettiva la battaglia sulla parità di salari che come unica conseguenza ha avuto la trasformazione di Maia in vittima sacrificale. Ed è proprio questa la diversità di vedute che i King vanno a creare ampliando così la varietà di protagonisti. Lo spettatore vede i soci dello studio legale come personaggi tosti per cui parteggiare, che però allo stesso tempo sono anche gli stessi che non pagano i salari uguali, non direttamente per una questione razziale bensì per pura convenienza economica, rendendo contemporaneamente sacrosanta e pretenziosa la battaglia di cui sopra.
Non si scopre certo l’acqua calda nell’andare a parlare dell’ambiguità morale degli abitanti dell’universo narrativo di The Good Fight. La scrittura di Roland Blum, la vera novità di stagione, viene enfatizzata, rendendo quasi una macchietta il personaggio comunque ben interpretato da Michael Sheen, diventando così una cartina a tornasole del verso che stanno prendendo i personaggi con cui entra a contatto. Se Maia ne è risultata vittima, Boseman e soci si rivelano altrettanto squali e mistificatori. La stessa Diane (con la quale in altri contesti si solidarizza) viene sia inserita nelle dinamiche di “complicità” con Blum, ma anche in una posizione di incurante superiorità nei confronti di Maia (che ad un certo punto chiama Marissa), raccomandandola per lavori non immediati.
La connotazione politica dello show riflette inevitabilmente i tempi attuali. Durante l’epoca di The Good Wife, i King dipingevano la politica come il gioco del compromesso, dove più si era capaci di stare in equilibrio su un metaforico filo, più si poteva arrivare avanti. L’ideologia non diventava quasi mai una connotazione umana, ovvero l’ideologia non definiva mai la persona. Quello della politica era un gioco in cui tutto era permesso e in cui l’etica doveva essere relativamente messa da parte. Poi il mondo negli ultimi anni è cambiato, tant’è che i King hanno scelto di essere espliciti come non mai, facendo, ad esempio, diventare Donald Trump una figura interna alla trama, non preoccupandosi di diventare troppo espliciti e didascalici nell’affrontare una determinata tematica. Lo dimostrano le canzoncine-spiegone inserite in questa terza stagione (che aumentano i rimpianti per la chiusura dopo una sola stagione del maltrattato BrainDead). La filosofia che sta dietro questo nuovo modo di affrontare una serie televisiva, probabilmente, la si può trovare nel discorso di Jay, quando rompe la quarta parete. Il succo del discorso è che di fronte ad un alto grado di arretratezza di pensiero, di razzismo e di ottusità bisogna mettere da parte la diplomazia e il rispetto altrui e “prendere a pugni i nazisti”. Che poi era lo stesso ragionamento fatto qualche episodio fa dal gruppo di “resistenza” a cui Diane si unisce.
Maia torna inevitabilmente a destare un maggiore interesse nel pubblico, grazie alla drastica svolta del precedente episodio. Il licenziamento apre molti interrogativi sul suo futuro, portando il pubblico a chiedersi se piuttosto che essere una scelta volta a mettere il personaggio maggiormente sotto i riflettori non sia invece l’inizio di una silenziosa uscita di scena. Da un lato il finale di episodio, in cui Maia dimostra un evidente rancore verso Diane prima e Lucca poi, sembra confermare questo aspetto, considerando anche quanto nell’universo dei King i personaggi possano sparire senza troppe spiegazioni. D’altra parte si è portati ad empatizzare verso la giovane Rindell e a mettere in prospettiva la battaglia sulla parità di salari che come unica conseguenza ha avuto la trasformazione di Maia in vittima sacrificale. Ed è proprio questa la diversità di vedute che i King vanno a creare ampliando così la varietà di protagonisti. Lo spettatore vede i soci dello studio legale come personaggi tosti per cui parteggiare, che però allo stesso tempo sono anche gli stessi che non pagano i salari uguali, non direttamente per una questione razziale bensì per pura convenienza economica, rendendo contemporaneamente sacrosanta e pretenziosa la battaglia di cui sopra.
Non si scopre certo l’acqua calda nell’andare a parlare dell’ambiguità morale degli abitanti dell’universo narrativo di The Good Fight. La scrittura di Roland Blum, la vera novità di stagione, viene enfatizzata, rendendo quasi una macchietta il personaggio comunque ben interpretato da Michael Sheen, diventando così una cartina a tornasole del verso che stanno prendendo i personaggi con cui entra a contatto. Se Maia ne è risultata vittima, Boseman e soci si rivelano altrettanto squali e mistificatori. La stessa Diane (con la quale in altri contesti si solidarizza) viene sia inserita nelle dinamiche di “complicità” con Blum, ma anche in una posizione di incurante superiorità nei confronti di Maia (che ad un certo punto chiama Marissa), raccomandandola per lavori non immediati.
La connotazione politica dello show riflette inevitabilmente i tempi attuali. Durante l’epoca di The Good Wife, i King dipingevano la politica come il gioco del compromesso, dove più si era capaci di stare in equilibrio su un metaforico filo, più si poteva arrivare avanti. L’ideologia non diventava quasi mai una connotazione umana, ovvero l’ideologia non definiva mai la persona. Quello della politica era un gioco in cui tutto era permesso e in cui l’etica doveva essere relativamente messa da parte. Poi il mondo negli ultimi anni è cambiato, tant’è che i King hanno scelto di essere espliciti come non mai, facendo, ad esempio, diventare Donald Trump una figura interna alla trama, non preoccupandosi di diventare troppo espliciti e didascalici nell’affrontare una determinata tematica. Lo dimostrano le canzoncine-spiegone inserite in questa terza stagione (che aumentano i rimpianti per la chiusura dopo una sola stagione del maltrattato BrainDead). La filosofia che sta dietro questo nuovo modo di affrontare una serie televisiva, probabilmente, la si può trovare nel discorso di Jay, quando rompe la quarta parete. Il succo del discorso è che di fronte ad un alto grado di arretratezza di pensiero, di razzismo e di ottusità bisogna mettere da parte la diplomazia e il rispetto altrui e “prendere a pugni i nazisti”. Che poi era lo stesso ragionamento fatto qualche episodio fa dal gruppo di “resistenza” a cui Diane si unisce.
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Un buon episodio per una buona stagione in cui lo stile fresco e frizzante degli autori lascia scorrere rapido il minutaggio. Ciò che forse ancora manca è un filo conduttore che possa dare un punto di riferimento allo spettatore (come poteva essere all’inizio la questione del padre di Maia) il quale, allo stato attuale, sa che potrebbe succedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento.
The One With Lucca Becoming A Meme 3×04 | ND milioni – ND rating |
The One Where A Nazi Gets Punched 3×05 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.