Tra il 2000 e il 2005 la canadese Global TV trasmise la serie fantascientifica Andromeda. L’idea di fondo era semplice: il protagonista, interpretato dall’ex-Hercules Kevin Sorbo, era un ufficiale della Confederazione dei Pianeti catapultato trecento anni nel futuro, in un’epoca in cui la suddetta federazione era scomparsa, e i centodieci episodi raccontavano il suo tentativo di restaurarla. La cosa interessante di questo prodotto, altrimenti piuttosto dozzinale nella realizzazione, era che nasceva da un’idea di Gene Roddenberry, morto anni prima di poterle dare vita. E chi bazzica un po’ nell’ambiente della science-fiction sa che Roddenberry è soprattutto il papà di Star Trek.
Quindici anni dopo la conclusione di Andromeda, la stessa premessa viene resuscitata e messa al centro della terza stagione di Star Trek: Discovery. In un certo senso è un ritorno a casa, perché un’idea partorita dalla mente di Roddenberry diventa parte integrante della grande saga di Star Trek; ma è anche una preziosa opportunità per esplorare temi, dinamiche ed epoche finora mai toccate da nessuna serie precedente, perché finora il limite cronologico più alto era stato toccato da Picard, ambientata nel 2399.
Il XXXII secolo presentato in “That Hope Is You, Part 1” e “Far From Home” è molto diverso da qualsiasi ambientazione Trek vista finora. Come già anticipato, non c’è più la Federazione; ma non c’è nemmeno un forte impero dispotico, come accadeva nel Mirror Universe. Né si può parlare di un ritorno alla situazione pre-federale, perché le società mostrate finora sono multietniche e traboccano di tecnologie a dir poco avveniristiche, a cominciare dai teletrasporti personali. Sulle cause di questo tracollo improvviso della Federazione vengono dati pochi indizi, peraltro deludenti: un’improvvisa esplosione di tutto il dilitio della Galassia non può bastare come spiegazione e si spera che dietro ci sia altro, perché altrimenti si tratterebbe di uno dei background geo-politici più deludenti di tutta la storia della fantascienza (e lo scrive uno che continua a maledire tuttora l’ambientazione dell’ultima trilogia di Star Wars).
Il primo episodio conferma buona parte dei difetti e una piccola parte dei meriti dell’intera serie. Essendo Michael-centrico, obbliga lo spettatore a seguire le vicende di un personaggio che continua a impegnarsi di brutto per risultare irritante, supponente, arrogante; e a nulla servono i tentativi di rendere la Burnham più simpatica facendola sballare e obbligando Sonequa Martin-Green a sfoggiare tutta una serie di faccine strane ed euforiche, se non a rendere ancora più insopportabile quella che, purtroppo, è la protagonista di Discovery.
La frenesia della narrazione dà vita a un caleidoscopio di luci, suoni, esplosioni e CGI che si lascia guardare e apprezzare per la realizzazione tecnica, ma che lascia ben poco e con il vero Star Trek ha ben poco da spartire. E qui non si vuole assolutamente riaprire la vecchia diatriba di quanto Discovery sia tanto o poco Trek, quanto piuttosto constatare il fatto che una saga che prima reinterpretava il proprio tempo in chiave personale adesso si limita ad adeguarsi alle mode del momento, e nulla di più: la sci-fi chiassosa e fracassona va di moda, e il prodotto di Alex Kurtzman vi si adatta pedissequamente. Quando poi l’episodio mette finalmente da parte inseguimenti e sparatorie, gli sceneggiatori tirano fuori un finale per cuori facili a commuoversi, che vorrebbe mostrare come nel 3188 l’ideale dietro la Federazione sia ancora vivo nei cuori di qualcuno, ma che finisce per risultare goffo nella sua lacrimosa retorica. Va bene che la sottigliezza non è dote del team al lavoro su questa serie, ma qui si esagera davvero!
Forse qualche soddisfazione verrà dal nuovo personaggio di Booker, canaglia dal cuore d’oro che ricorda fin troppo certi stereotipi ma che ha margini di crescita e di approfondimento non indifferenti, soprattutto per via dei suoi misteriosi poteri.
Con “Far from Home”, strutturato in modo più simile alle classiche avventure planetarie autoconclusive, le cose migliorano, forse perché manca per quasi tutto il minutaggio la Burnham e l’attenzione si concentra sull’equipaggio della Discovery, anch’esso disperso nel futuro remoto. Su tutti spicca Saru, che ormai può comportarsi finalmente da capitano della nave non avendo più altre autorità a cui rispondere (nella scorsa stagione avevano tirato fuori Pike che ne limitava l’autorità), e non si può negare che il Kelpiano sia un bravo leader: non gli mancano l’esperienza, il polso fermo e il coraggio di esporsi in prima persona per salvare l’intera ciurma, partendo per una rischiosa missione verso l’insediamento abitato più vicino. Interessante risulta anche il personaggio della Georgiou, catapultata ancora una volta in un mondo tutto nuovo, privata ancora una volta del suo vecchio scopo di vita, ma ancora incrollabilmente legata a Michael, al punto da essere quella che si dà maggior pensiero per ritrovarla.
Bisogna invece capire cosa ne sarà di Stamets, personaggio che aveva la sua utilità quando era l’unico utilizzatore del motore a spore, mentre in questo avvio di stagione la sua funzione è di battibeccare con il compagno e dare banale prova di eroismo nelle riparazioni della nave. Chi vivrà, vedrà.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.