“Tangentopoli non è mai terminata, è anzi divenuta uno stile di vita con cui gli italiani hanno imparato a convivere grazie a modelli distorti imposti dalla classe politica e celebrati da un’informazione sempre meno indipendente.” (Antonio Di Pietro)
Milano. Siamo negli anni del post edonismo Reaganiano. Un pool di magistrati guidato dal procuratore capo Borrelli dà il via ad una serie di indagini che porteranno alla luce un sistema di corruzione e finanziamenti illeciti a favore di quei partiti considerati ai livelli più alti nel mondo politico ed economico. Si tratta di una vera e propria rivoluzione all’interno della scena politica italiana, rivoluzione che causerà la scomparsa o il forte ridimensionamento di partiti storici come la DC e il PSI, segnando così la nascita della cosiddetta Seconda Repubblica. Quegli anni cambiarono il volto dell’Italia, portando ad una netta spaccatura tra Paese e cittadini, tra classe politica e opinione pubblica, amplificando esponenzialmente dissenso e sfiducia nei confronti della classe dirigente. Una ferita che ha segnato profondamente gli italiani e che, vent’anni dopo Tangentopoli, continua a bruciare esattamente allo stesso modo. È in questo specifico contesto che si inserisce 1992, progetto nato con il duplice scopo di aprire una finestra sul passato e di raccontare l’origine di quel male che tutt’ora logora il Bel Paese.
In un’Italia abituata a riportare storie tratteggiando una realtà filtrata, se vogliamo di comodo, uscendo di rado dalla logica della fiction, puntare su un prodotto che si prefigge di narrare le vicende alla base dello scandalo di Tangentopoli, costituisce già di per sé un’enorme sfida.
Per l’italiano medio non è mai facile fare i conti con il gigantesco mucchio di polvere nascosto sotto al tappeto, se poi consideriamo che sono passati solo vent’anni dalla vicenda, stiamo pur certi che il primo pensiero sarà di aggiungerne altra, ché tanto spazio ce n’è ancora prima che spunti dalle nappe.
E proprio da questo aspetto possiamo impostare il punto di partenza per analizzare uno dei fattori che hanno suscitato il maggior numero di critiche alla serie, ovvero la decisione di far ruotare le vicende attorno a personaggi fittizi, che in maniera abbastanza riuscita veicolano valori, idee e tipologie umane dell’epoca, piuttosto che puntare sui reali protagonisti degli eventi. Sebbene in più di un’occasione tali personaggi arrivino a rasentare la stereotipizzazione, riducendosi a mere macchiette, il tutto è funzionale alla ricostruzione delle atmosfere d’inizio anni ’90. Un compito sicuramente riuscito dal punto di vista delle immagini, ma che purtroppo, inevitabilmente, ha finito per togliere veridicità alla componente dialogica, intaccata in più di un’occasione da frasi fatte e fin troppo confezionate.
“Mani pulite” diventa così lo sfondo per raccontare la storia dell’agente Luca Pastore, mosso dal suo desiderio di vendetta nei confronti dell’imprenditore Michele Mainaghi, al centro del famoso scandalo del sangue infetto, durante il quale, a cavallo tra anni ’80 e ’90, numerose case farmaceutiche immisero sul mercato flaconi di sangue presi da individui ad alto rischio, infettando migliaia di persone con i virus dell’AIDS e dell’epatite C. Il desiderio di andare oltre la semplice condanna di Chiesa appare così ammantato dietro scopi tutt’altro che nobili, tanto da arrivare ad avvicinare la figlia dell’imprenditore per condurre indagini a stretto contatto con il responsabile del suo contagio. Questa sua duplice natura fa sì che Luca impersonifichi il classico personaggio difficile da inquadrare, per cui è lecito chiedersi se è giusto parteggiare nonostante le motivazioni sacrosante alla base dei suoi metodi a tratti amorali.
Sul personaggio di Bibi non c’è granché da dire, eccetto che l’interpretazione di Tea Falco rappresenta certamente una delle peggiori performance recitative dai tempi in cui Martina Stella calcava le scene convinta di essere realmente in grado di farlo.
E se da “L’ultimo bacio” la suddetta bionda non ha compiuto esattamente passi da gigante, i detrattori di Stefano “Two gust is megl che one” Accorsi dovranno ricredersi. Nonostante lo stile recitativo monodirezionale che film dopo film ha portato tutti a chiedersi: “Ma Stefano Accorsi è il nome dell’attore o del personaggio interpretato?”, finalmente, con Leonardo Notte, ogni dubbio è fugato. Il personaggio di Accorsi è un mix di fascino e cinismo, avvolto da un alone di mistero circa il suo passato, più attaccato a denaro e donne che alla figlia adolescente, un impiccio alla sua normale routine da single in carriera. Tutti questi aspetti elevano la figura del pubblicitario di Publitalia a simbolo indiscusso del dilagante caos morale e ideologico, caos espresso magnificamente dalla scena in cui la sigla di Casa Vianello finisce per fare da sottofondo alla notizia dell’omicidio di Salvo Lima, evidenziando quali siano le reali preoccupazioni all’interno delle case italiane. Emblematico in tal senso il dialogo con Marcello Dell’Utri, quest’ultimo tristemente profetico nel capire che la “Repubblica delle banane” ha bisogno di essere salvata, e per farlo occorre trasformare la politica in qualcosa di più appetibile, vendendola attraverso mirate campagne di marketing, trattandola come mero prodotto commerciale e come tale asservito alle classiche logiche di mercato. Non è certo un caso se dopo l’analisi dell’indagine fatta nella classe di Viola, sul televisore campeggi il faccione sorridente di Silvio Berlusconi, colui che più di tutti fonderà la sua fortuna su questa dilagante commercializzazione della politica.
Le due figure più vicine alla visione stereotipata di cui abbiamo precedentemente parlato sono naturalmente quelle di Veronica Castello, aspirante soubrette pronta a tutto per diventare come la Cuccarini, e Pietro Bosco, militare in congedo che decide di approfittare del fortuito salvataggio di un leghista dall’aggressione di due albanesi per candidarsi col partito e fare colpo sulla ragazza. Le due storie fanno da contorno alle storyline principali intersecandosi, in un groviglio forse fin troppo fitto, alle vite degli altri protagonisti, evidenziando una componente, quella “dell’intreccio forzato”, tristemente radicata nella fiction all’italiana e che rischia di rendere le vicende poco credibili.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Episodio 1 1×01 | 0.72 milioni – ND rating |
Episodio 2 1×02 | 0.62 milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.