Facciamo un punto della situazione. Il primo importante arco narrativo della stagione si è concluso ed il giorno delle elezioni è arrivato. Tutta la preparazione alla vittoria della nostra candidata è risultata un po’ forzata: era ovvio che Alicia vincesse e non poteva essere altrimenti dopo mezza stagione passata tra dibattiti e video elettorali. Più che altro tutto il pre-vittoria è servito ad inserire Peter nella vita professionale di Alicia, dato che quella matrimoniale si può considerare conclusa; è chiaro che ormai il matrimonio dei Florrick è giunto alla fine (in modo un po’ troppo anomalo forse come avevamo precedentemente notato) ma The Good Wife ci insegna che vita privata e vita pubblica sono due cose inconciliabili e che devono rimanere ben separate. E così assistiamo a quello che è un matrimonio di facciata, mandato avanti soltanto per interessi, elemento che ci fa capire come Alicia sia cambiata: appena due anni fa non si sarebbe fatta problemi a lasciare il marito e ad ammettere a tutti la loro separazione. E ora? Ora invece Peter risulta un importantissimo appoggio politico, oltre che elemento fondamentale nella passata campagna elettorale.
Un’ottima campagna c’è da dire, inizialmente senza esclusioni di colpi bassi e poi un po’ troppo pulita per essere politica, ma vabbé.
La storyline delle elezioni ha raggiunto il culmine quando Alicia chiede a Prady di essere il suo vice: Alicia è probabilmente in buona fede e non ha alcun doppio fine, ma la risposta di Prady ci spiazza. Rifiuta l’offerta non perché è stato sconfitto, non perché Alicia le sta antipatica, ma, semplicemente perché hanno due visioni opposte della giustizia e della politica. In Italia non siamo molto abituati a vedere risposte del genere, noi, Paese delle grandi coalizioni che pur di mangiare al Governo calpesteremmo i nostri ideali. E forse nemmeno l’America è abituata a meccanismi del genere, pur essendo un Paese caratterizzato da un forte bipolarismo. Eppure la risposta di Prady non serve tanto a farci fare queste ovvie riflessioni, ma serve a sottolineare come veramente Frank sia il candidato giusto e difficilmente corrompibile: gli sarebbe bastato poco per vincere contro Alicia (dove gli scandali non mancano), ma il punto è che non ha voluto. Ha giocato correttamente e ha perso solo perché il Governatore si è schierato a favore della moglie. Questa è la politica.
Chiudiamo quindi il filone narrativo che ha monopolizzato la sesta stagione. Ciò che invece non ha funzionato quest’anno è la mala gestione dei personaggi e delle varie trame: ormai la Florrick, Agos&Lockhart non esiste più, non abbiamo visto Cary, Diane e soci alle prese in aule di tribunali, Kalinda con rocambolesche indagini e la svampita Robin che ormai non si vede più nemmeno passeggiare per i corridoi. No, non ci siamo. Ma lo spreco più assurdo e fastidioso è stato Cary, che era uno dei personaggi meglio disegnati della serie con un percorso da far innamorare qualsiasi telespettatore (e no, la mini trama del processo non può proprio essere considerata, anzi è stato un altro escamotage per allontanare Cary ancora di più). Noi lo avevamo anticipato proprio ad inizio stagione: vedere Alicia dall’altro lato significherà non vederla più nelle aule di tribunale, ma il discorso non valeva mica per Cary e tutti i soci, che sono i grandi assenti di questa stagione. Cara The Good Wife, per noi, quello che tu vuoi spacciarci per carne rossa, è solo l’antipasto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Open Source 6×15 | 8.80 milioni – 1.0 rating |
Red Meat 6×16 | 8.21 milioni – 1.0 rating |
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Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.