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Il più delle volte, è facile approcciarsi ad una serie tv catalogata come miniserie; il ristretto numero di episodi, infatti, presenta l’idea di un prodotto di facile gestione, con una storia che non tenderà a disperdersi ma, al contrario, riuscirà a focalizzare l’attenzione sugli eventi primari in essa narrati.
Data la natura con la quale è stato presentato A Very English Scandal, tutti gli indizi lasciavano presagire uno sviluppo facile ed essenziale: la storia c’era e poteva contare su un fondamento di fatti realmente accaduti, virando intorno allo scandalo degli anni ’70 che aveva visto invischiato Jeremy Thorpe alle prese con il suo amante Norman Scott; non mancava neanche la figura di un buon protagonista carismatico, in quanto, come ampiamente descritto nella recensione del pilot, la presenza di Hugh Grant era forte abbastanza da reggere l’intera storia senza perdersi in giri contorti di trama.
Dopo due episodi andati in onda per questa nuova serie di Russell T. Davies però, sono i punti deboli nella costruzione e nello svolgimento dell’intera trama che risaltano maggiormente all’occhio. Nonostante i soli tre episodi a disposizione per raccontare questa piccola pagina di storia, la proporzione tra fatti e minutaggio è stata senza ombra di dubbio la parte peggio gestita finora. Troppo lenta la narrazione, troppi pochi eventi importanti da snocciolare in cambio di un’ora abbondante per episodio sono riusciti a rendere pedante una trama che, in realtà, ad un primo colpo d’occhio appare semplice e leggera.
Caratterizzata dal tipico humor inglese che ne scandisce fortemente ogni scena ed ogni avvenimento, una storyline di tale carattere, che ripercorre uno scandalo nazionale ed un tentato omicidio, riesce comunque a mantenere intatta una moderata semplicità, trascinata soprattutto dall’impronta leggera che Hugh Grant riesce a dare ogni qualvolta che appare in scena. Ma, come si sottolineava prima, questa semplicità di narrazione si ritrova prepotentemente a perdersi sormontata da un eccessivo e vuoto minutaggio. Nei quasi 60 minuti ciascuno andati in onda in questi primi due episodi, si gira e si rigira intorno all’evento principale senza mai raggiungere un vero e proprio punto d’arrivo, mentre gli attimi passano costellati da eventi di contorno che, seppur inerenti alla causa, appaiono del tutto vuoti ai fini della storyline.
Data la natura con la quale è stato presentato A Very English Scandal, tutti gli indizi lasciavano presagire uno sviluppo facile ed essenziale: la storia c’era e poteva contare su un fondamento di fatti realmente accaduti, virando intorno allo scandalo degli anni ’70 che aveva visto invischiato Jeremy Thorpe alle prese con il suo amante Norman Scott; non mancava neanche la figura di un buon protagonista carismatico, in quanto, come ampiamente descritto nella recensione del pilot, la presenza di Hugh Grant era forte abbastanza da reggere l’intera storia senza perdersi in giri contorti di trama.
Dopo due episodi andati in onda per questa nuova serie di Russell T. Davies però, sono i punti deboli nella costruzione e nello svolgimento dell’intera trama che risaltano maggiormente all’occhio. Nonostante i soli tre episodi a disposizione per raccontare questa piccola pagina di storia, la proporzione tra fatti e minutaggio è stata senza ombra di dubbio la parte peggio gestita finora. Troppo lenta la narrazione, troppi pochi eventi importanti da snocciolare in cambio di un’ora abbondante per episodio sono riusciti a rendere pedante una trama che, in realtà, ad un primo colpo d’occhio appare semplice e leggera.
Caratterizzata dal tipico humor inglese che ne scandisce fortemente ogni scena ed ogni avvenimento, una storyline di tale carattere, che ripercorre uno scandalo nazionale ed un tentato omicidio, riesce comunque a mantenere intatta una moderata semplicità, trascinata soprattutto dall’impronta leggera che Hugh Grant riesce a dare ogni qualvolta che appare in scena. Ma, come si sottolineava prima, questa semplicità di narrazione si ritrova prepotentemente a perdersi sormontata da un eccessivo e vuoto minutaggio. Nei quasi 60 minuti ciascuno andati in onda in questi primi due episodi, si gira e si rigira intorno all’evento principale senza mai raggiungere un vero e proprio punto d’arrivo, mentre gli attimi passano costellati da eventi di contorno che, seppur inerenti alla causa, appaiono del tutto vuoti ai fini della storyline.
“He shot my dog! He tried to shoot me! Jeremy Thorpe. Jeremy Thorpe did this. Jeremy Thorpe!”
Rientrando più nello specifico, in questo “Episode 2”, l’unico avvenimento degno di nota da analizzare si presenta in quanto accade negli ultimi minuti di puntata: così come nella scorsa il momento spartiacque si era presentato con la decisione di Thorpe di far definitivamente fuori il suo ex amante, qui si manifesta attraverso la realizzazione da parte di Norman Scott di essere il bersaglio di Jeremy. Due punti focali che delineano l’andamento della trama ma tra i quali succede poco altro. Certo, interessante appare il parallelismo messo in scena tra le vite che proseguono a distanza tra i due personaggi: entrambi alle prese dapprima con la perdita (la morte della moglie per Thorpe, l’abbandono di moglie con figlio per Scott) e poi con l’avanzamento della carriera (seppur per Norman finita molto prima, mentre Jeremy continuava la sua ascesa politica). Salvo questi sprazzi paralleli di vita però, rimane poco altro da ricordare per una puntata per la quale, se non ci fosse stato quel tocco tipicamente inglese ad alleviarne la pedanteria, sarebbe stata difficile completarne la visione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Di solito gli scandali sono accattivanti, incuriosiscono e attirano l’interesse dell’opinione pubblica come poche altre cose. Se la narrazione di A Very English Scandal risulta noiosa e alquanto pesante, allora forse vuol dire che si è sbagliato qualcosa.
Episode 1 1×01 | ND milioni – ND rating |
Episode 2 1×02 | ND milioni – ND rating |
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.