American woman, mama let me be
Don’t come knockin’ around my door
Don’t wanna see your shadow no more
Colored lights can hypnotize
Sparkle someone else’s eyes
Now woman, I said get away
American woman, listen what I say.”
Quando ci si trova di fronte ad una serie televisiva di Paramount Network spacciata per comedy, ambientata nei favolosi anni ’70 e intitolata American Woman, la prima cosa a cui si pensa è che abbia a che fare con l’omonima canzone della rock band The Guess Who e, in effetti, nel pilot c’è un momento, grossomodo a metà episodio, in cui si sentono le note della hit del 1970. Il problema è che a quel punto lo spettatore potrebbe già essersi addormentato, vinto dalla mole allucinante di cliché, battute che non fatto ridere e plot twists prevedibili che la precedente dozzina di minuti gli ha inflitto e, se anche fosse sveglio, qualche nota di chitarra elettrica difficilmente gli renderebbe più sopportabili i rimanenti dieci.
La storia di American Woman è tratta, a quanto pare, dalle reali vicende della famiglia di Kyle Richards, attrice e protagonista del reality The Real Housewives of Beverly Hills che però qui non compare, lasciando il ruolo di protagoniste alla ex-Batgirl Alicia Silverstone, alla protagonista di American Beauty Mena Suvari e alla molto meno famosa Jennifer Bartels, che interpretano rispettivamente la madre di famiglia Bonnie Nolan e le sue due amiche del cuore, l’imprenditrice Kathleen e l’impiegata bancaria Diana. Bonnie è la classica donna sposata con un uomo ricco, prigioniera di una gabbia dorata che inizia a starle stretta ma da cui non uscirebbe volontariamente, se non fosse per il tradimento che l’uomo perpetra il giorno del loro anniversario e che la spinge a prendere finalmente in mano le redini della propria vita, o almeno a provarci, perché, come si intuisce dalla scena finale, i problemi per lei sono appena cominciati.
Già dalla sinossi si capisce che la serie gioca, almeno in questo primo episodio, su diversi meccanismi e tipi di personaggi già visti tante volte: la casalinga affascinata dall’idea di avere più autonomia, la donna ricca col toyboy, la donna in carriera che deve sgobbare il doppio o il triplo degli uomini per farsi largo in un ambiente lavorativo maschilista, il marito fedifrago, il tradimento che sconvolge gli equilibri familiari ma offre nel contempo alla moglie l’occasione di ottenere l’agognata indipendenza, e così via.
La sensazione di déjà vu è forte, ma siamo sinceri, l’originalità è un pregio molto sopravvalutato e nel 2018 è difficile realizzare qualcosa di nuovo e, comunque, un’opera che sa di “già visto” può risultare comunque godibile e intrattenere. Peccato che American Woman non sia nemmeno godibile, perché è stata spacciata come comedy ma cercare nei ventidue minuti circa del pilot qualche momento davvero divertente sarebbe un’impresa vana. Le battute e le situazioni che dovrebbero far ridere (o anche solo sorridere) sono poco incisive, goffe, portano spontaneamente a chiedersi come abbia fatto il canale che manda in onda questa roba a vederci sprazzi di commedia. I dialoghi tra le tre donne protagoniste sono scialbi, banali, privi di un qualsiasi guizzo nella scrittura, sanno tanto di Sex and the City dei poveracci. L’evento che dà di fatto avvio alla trama, il tradimento del marito, è scontato e prevedibile e per di più non piove nel pilot come un fulmine a ciel sereno, perché già quando Bonnie decide di andare a trovare il marito a lavoro per fargli una sorpresa lo spettatore può capire dove la sceneggiatura andrà a parare. La gag del toyboy di Kathleen che si scopre gay e attratto dal ragazzo che si occupa della piscina dei Nolan lo è ancora di più, e di certo non fa ridere.
E poi c’è il messaggio femminista alla base della serie, che è spiattellato in faccia allo spettatore senza il minimo sforzo di renderlo un po’ meno palese e didascalico, un po’ meno retorico e un po’ più raffinato, come hanno fatto serie eccellenti quali Mad Men e Halt and Catch Fire che con maestria hanno mostrato tutte le difficoltà del gentil sesso per emergere in contesti lavorativi altamente maschilisti (rispettivamente il mondo pubblicitario e quello informatico). Basti pensare alla scena in cui la solita Bonnie è seguita da due balordi in auto e si ferma per andargliene a dire quattro, per poi tornare dalle figlie e sentenziare un bel “Never let a man intimidate you, under any circumstances”: era davvero necessario esplicitare in maniera così banale e diretta un messaggio che si poteva benissimo cogliere dal dialogo precedente e dal comportamento della donna? Così si finisce solo per insultare l’intelligenza degli spettatori e dare l’impressione di voler cavalcare l’onda mediatica degli scandali sessuali e di movimenti come #MeToo, che meriterebbero ben altro tipo di produzioni, più intelligenti e curate (per fortuna esiste anche roba come The Handmaid’s Tale).
Ma alla fine, in questi ventidue minuti di noia, sbadigli e retorica femminista, c’è qualcosa di buono? Fortunatamente sì: gli anni ’70, con la loro musica e le loro atmosfere patinate e glamour, costituiscono sempre un’ottima ambientazione e un valore aggiunto, ma con un decennio così iconico (e decisamente più interessante dei tanto sopravvalutati anni ’80) è difficile sbagliare. Purtroppo una serie tv non si guarda quasi mai solo per l’ambientazione e American Woman, a parte questa, ha ben poco di pregevole da offrire.
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Liberation 1×01 | 0.6 milioni – 0.2 rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.