“It’s not just about her. You know, every time i close my eyes, all that i can see, all that i can hear, feel is… just the fall. I couldn’t live like knowing that, uh… There was someone out there who beat me.”
Arrow possiede, di fondo, una peculiarità pressoché unica, ovvero quella di riuscire a controbilanciare certe trovate nell’immediato troppo cervellotiche e inutilmente complesse, con altrettanti risvolti di sceneggiatura coraggiosi e intensi, nonché montati alla perfezione, infondendo il giusto ritmo alla suspense nei suoi più riusciti colpi di scena. Gli esempi sono innumerevoli, basta ricordarsi la presentazione di Slade Wilson, nella linea temporale del presente dello show, durante la stagione scorsa, che ha retto l’impatto contro l’inverosimile e semplicistico motivo della sua vendetta personale contro Oliver (la morte di Shado).
Sulla falsariga, quindi, possiamo posizionare alcune soluzioni-chiave di questa terza stagione, su tutte l’assurdità del piano di Malcolm Merlyn, di cui ci siamo già lamentati più di una volta. Piano che viene approfondito in una ritrovata centralità negli ultimi episodi, prima con la rivelazione di Oliver a Thea in “The Return“, poi con l’arrivo di Nyssa a Starling City in questo. Quando “Mister Queen” si vede costretto a ragionare, col proprio team, sul correre a salvare Malcolm o meno, ecco che le forzature che circondano l’omicidio di Sara prendono il sopravvento. Nel tentativo di convincere Oliver a desistere dall’impresa, infatti, ognuno sembra elencare passo passo le licenziose scelte degli autori in tutta questa storyline, trasmettendoci la sensazione che, in fondo, non abbiano fatto altro che incartarsi da soli. Ma si parlava di bilanciamento, ed è esattamente ciò che si palesa, seguendo puntualmente la tradizione della serie, nell’egregio finale di “Nanda Parbat”. Perchè, per quanto forzati possano essere stati i preamboli, si rivela tutto pensato fin dall’inizio (inclusa, a questo punto, anche la discussa non-morte di Oliver) per portare alla scioccante decisione di Ra’s Al Ghul di scegliere il nostro Arrow come proprio erede.
Si chiude un cerchio, quindi, e la trama del Leader della Lega degli Assassini prende tutto un’altro sviluppo, totalmente inaspettato. Un plauso agli autori, senza dubbio, perchè scelgono, ancora una volta, la via più difficile. Sarebbe stato troppo canonico, difatti, vedere semplicemente Oliver che sconfigge Ra’s, prendendosi la sua rivincita. Non è escluso che ciò non succederà, ma almeno i presupposti e le dinamiche saranno completamente differenti da quelle che si potevano prevedere prima di questo episodio. Eppure, la “presa” di Nanda Parbat insieme al tentativo di salvataggio di Malcolm, prima del finale, avevano seguito alla perfezione la piega di un eventuale Arrow vs Ra’s Al Ghul 2.0. La scelta di aggiungere Diggle all’impresa, oltre che con l’uso effettivo di una diversa location, probabilmente esprime la volontà di differenziarsi, un minimo, dallo scontro precedente. Ma è stata anche utile, soprattutto, per mostrarci uno dei dialoghi più significativi e sinceri dello show.
Il rapporto tra i due amici/fratelli è, tra l’altro, uno dei maggiori pregi della serie, fin dalla prima stagione. Col tempo, tra il ricongiungimento con Lyla e la nascita del proprio figlio, il personaggio dell’ex-guardia del corpo si era un po’ allontanata dal centro dell’azione. La decisione di ributtarlo nella mischia così attivamente, cominciata già dal post-“The Climb“, non può che far piacere allora, per quanto discutibile possa sembrare (John Diggle sarà pure un padre di famiglia, ma non scordiamoci che la moglie lavora per una certa Amanda Waller, dopotutto). Sicuramente l’intensità dello show ne giova sensibilmente, e la toccante confessione di Oliver non avrebbe potuto avere un interlocutore altrettanto giusto ed azzeccato. Confessione che, come si diceva, raggiunge un livello di “verità” difficilmente visto in altre occasioni nel corso della serie, soprattutto pensando al fatto che i dialoghi non sono mai stati tra i suoi punti più validi. Senza urlare immediatamente alla bestemmia, la citazione del nostro eroe, riportata ad inizio recensione, può quasi ricordare, con le dovute misure, quel “I did it for me. I liked it. I was good at it. And I was really… I was really alive” del fu Heisenberg. Come fa notare lo stesso Diggle, in queste battute si affronta un argomento mai del tutto sviscerato quando si tratta di supereroi, di base sempre votati ad una causa superiore. Aspetto senza dubbio onorevole, o non sarebbero quelle figure senza macchia che tanto ammiriamo, ma perchè non ammettere che la componente “egoistica” dell’adrenalina, del sentirsi invincibili e capaci di poter compiere grandi gesta, ha comunque la sua rilevante importanza?
Ovviamente, la storyline fin qui sviscerata non è l’unica presente nell’episodio, per quanto fortemente centrale, tanto che le restanti (quasi tutte) le ruotano attorno. Il fulcro dell’azione se lo prende Nyssa, la quale ha un confronto con la maggior parte dei personaggi coinvolti, specialmente una volta che si ritrova imprigionata nella base sotterranea del Verdant. La vediamo, infatti, dialogare, a turno, con Oliver, Laurel e infine Thea. Confronti che praticamente rappresentano le rispettive sottotrame dei vari characters: Laurel e l’eredità della sorella, che rimedia l’ennesima sconfitta nei panni di Black Canary contro Malcolm; Oliver e il tema della vendetta come giustizia, da sempre alla base dell’organismo dello show; Thea e il suo senso di colpa per la morte di Sarah, che include scene di ritrovato affiatamento con l’ex fidanzato Roy (la recitazione dei due attori rimane quella che è, ma risulta quantomeno indubbia la chimica che accompagna le loro scene), con tanto di cliffhanger ellittico sul finale (e siamo a uno, segnatevelo). Non va, inoltre, dimenticato il faccia a faccia con Malcolm, che tocca l’argomento “erede di Ra’s Al Ghul” che furbamente preannuncia il già citato sconvolgente cliffhanger (e due).
Discorso a parte, lo meritano Ray Palmer e Felicity e la storyline di Atom. Vanno innanzitutto fatti i complimenti a Brandon Routh, che sta forse dimostrando di non essere l’attore scarso che in molti dipingono. Se gli va affibbiata un’accezione, probabilmente lo si può giudicare, più che altro, sfortunato, quando si parla di scegliersi ruoli e progetti. Il Superman Returns di Bryan Singer e l’ “americano” Dylan Dog saranno pure dei pessimi film, ma, in fin dei conti, appare piuttosto ingeneroso addossargli tutte le colpe. In Chuck, per esempio, la pagnotta la porta quantomeno a casa, nel rendere il personaggio di Shaw odioso quanto basta. Totalmente opposti, invece, i sentimenti che sta pian piano suscitando con il personaggio di Ray, di puntata in puntata. I siparietti con la nerd del team del protagonista non mancano mai di una certa simpatia e freschezza. La coppia funziona benissimo, in ogni scena, e persino il prevedibile bacio fa la sua degna figura, in un’atmosfera romanzata resa senza troppe smielature. Sicuramente più rilevante, comunque, l’attesa e tanto pubblicizzata comparsa dell’Iron Man della DC. Il volo di Atom, presentato alla grande nell’ennesimo cliffhanger dell’episodio (e tre), sblocca una sottotrama che, fin qui, possedeva l’unica pecca di essere completamente estranea alle vicende di Arrow & Co. Confidiamo, quindi, che d’ora in avanti possa venire finalmente coinvolto in maniera maggiore.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Return 3×14 | 2.91 milioni – 1.2 rating |
Nanda Parbat 3×15 | 3.07 milioni – 1.1 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.