Cari showrunner: “you failed this season”.
Con “Schism” si chiude la stagione più brutta della storia di Arrow, senza troppi giri di parole. Una stagione che nei suoi scempi di sceneggiatura, scadenti drammi da soap opera sudamericana, recitazioni da cinema polacco e coreografie dei combattimenti sempre più dilettantistiche, ci ha accompagnato mestamente per tutto quest’anno, facendoci continuamente chiedere se fosse ancora il caso di seguire la serie (da spettatori, almeno; noi recensori, come sapete, siamo legati al nostro codice morale di concludere almeno la stagione intera, una volta iniziata).
La formula dei ventitré episodi del network generalista quest’anno ha quindi pesato più del dovuto, tanto che in ogni episodio ci siamo trovati a prendere nota di orrori e difetti in uno stato sempre più scoraggiante, col rischio di sembrar quasi ridondanti volendo. Cosa che, a questo punto, eviteremo di ripetere nell’analisi di questo season finale, di solito occasione per fare un punto su tutta la stagione. In questo, invece, scegliamo un approccio differente, cercando di cogliere spunti diversi nell’episodio, rispetto ai precedenti, tenendo bene in mente la bassa qualità perenne sullo sfondo, della quale siamo ormai ben consapevoli.
Il primo importante aspetto da approfondire, allora, è quello del percorso del protagonista, un Oliver Queen fortemente centrale in questi quaranta minuti finali. La scena clou, l’apice della sua personale storyline, è ovviamente quella del discorso ai cittadini di Star City, in cui finalmente diventa il faro di luce di speranza che ha agognato di essere, fin dal monologo alla tv di inizio stagione, lì in veste del nuovo “Green” Arrow. L’eroe di cui Star City aveva bisogno, quindi, è quel rampollo viziato osteggiato dalla popolazione meno abbiente, celebrato più sulle riviste di gossip che altro, la cui famiglia, mediante le azioni della madre, tre anni prima è stata a un passo dal macchiarsi di genocidio.
Tutti motivi che rendono la scena senza dubbio di forte impatto e più che efficace, malgrado la recitazione di un Amell che fa a gara col collega Kit Harington, in quanto a discorsi motivazionali interpretati col carisma di un cucchiaino. Un discorso che acquista, nonostante questo, ancor più efficacia, pensando proprio al fatto che viene eseguito dal protagonista in abiti “civili”, e quindi non da Green Arrow. A tal proposito, c’è una scena pressoché speculare che coinvolgeva il Vigilante dopo il suo ritorno dalla “morte” nella scorsa stagione, per la precisione in “Uprising“, che vedeva l’Arciere ispirare similmente una Star City assediata sul tetto di un furgone.
“My Name Is Oliver Queen” chiosava il finale della scorsa stagione, dove il protagonista abbandonava non solo il suo ruolo da eroe del popolo, ma la sua stessa città. Chiaro quindi il percorso intrapreso fin d’allora dal giovane ereditiere e se da un lato il suo diventare simbolo della resistenza, tanto da essere nominato Sindaco per volere popolare, potrebbe confermare una certa direzione autoriale, dall’altro la marcata differenza negli indumenti indossati sottolinea tutta la confusione degli scrittori nella gestione della sua controparte “mascherata”. Sì, Green Arrow sconfigge Darhk e la sua magia proprio per la speranza infusa nei cittadini con quel discorso ma, appunto, è stato Queen a provocarla. Si può anche trovare una certa circolarità nell’uccisione di Darhk, simile a come il villain aveva posto fine alla vita di Laurel, ma rimane perlopiù sul piano formale e quindi senza particolari significati reconditi. Lo stesso riferimento alla regola di “non uccidere” di Oliver, possibile svolta nel personaggio, perde di valore, anche considerando che proprio nel finale sopracitato della stagione passata aveva ammazzato Ra’s Al Ghul.
Sta tutto qui il neo della stagione intera, basata su questo conflitto tra oscurità e luce, questo “Schism” interiore accennato da Felicity stessa, troppo didascalico, troppo suggerito dalle parole dei protagonisti e per nulla accompagnato da fatti concreti. Concetti che possono funzionare, in una chiave del genere, in una messa in scena come quella di Star Wars, non certo in uno show televisivo lungo e dall’approccio meno “filosofico” e molto più “terra terra” come quello della The CW. Confusione degli autori che si palesa ancor più nel flashback, che non solo non mostra nessun “upgrade” fisico nell’Oliver Queen che solo un anno dopo dovrebbe far ritorno nella storia attuale, ma si risolve in un nulla di fatto proprio nel campo della duplice moralità del personaggio.
Insomma, l’occasione potenziale di mostrare la trasformazione da “anti-eroe” dell’isola all’eroe canonico “da fumetto” del presente viene totalmente persa, a scapito di continui e incoerenti ripensamenti. Il risultato finale è l’accettazione della convivenza tra “luce” e “oscurità”, svolta sì importante ma a cui si arriva male e senza una chiara e precisa evoluzione, mancando quindi del necessario spessore narrativo. Perlomeno una cosa positiva c’è: non dovremmo più assistere a paranoie e dilemmi morali in ogni episodio (sì, #credici).
Ed il team Arrow? Non c’è mica stato solo Oliver in questo finale, direte voi. Sì, ma cosa aggiungere, a livello critico, che non abbiamo già detto per i 22 episodi precedenti? “Schism” è sicuramente ricco d’azione, ma di quella più trash e non-sense a cui lo show ci ha ormai abituato. Malcolm Merlyn che non fa altro che cambiar sponda oltre che apparire e scomparire a random; solito e irritante egocentrismo di Felicity che salva il mondo assieme al padre hacker, non facendo altro che schiacciare tasti a caso per tutto l’episodio; Diggle al solito afflitto da problemi esistenziali tra una sparatoria e l’altra, e così via. Almeno il ritmo è oggettivamente abbastanza alto, alleggerendo la visione, in fondo la nostra sospensione dell’incredulità da spettatori è stata messa a dura prova in maniera ben più dura in passato. Alla fine della fiera non rimane che prendere atto dello “Schism” del team Arrow: anche questa, potenzialmente una buona mossa (con una gran bell’inquadratura delle uniformi “vuote”), condita da una lodevole circolarità rispetto allo scorso finale (dov’erano Oliver e Felicity ad andarsene, mentre gli altri rimanevano), ma presentata in maniera, di nuovo, gratuita e forzata.
La sensazione che si tratti del solito finale a effetto, che sarà subito ribaltato all’inizio della prossima stagione, è davvero alto, visti perlomeno i precedenti. La scelta di tornare a incentrare tutta l’azione e la trama su Oliver è troppo buona e saggia per essere davvero presa in considerazione dagli autori. I problemi dello show, dopotutto, sono iniziati proprio quando si è deciso di far diventare tutti dei vigilanti, facendo sparire quell’atmosfera di verosimiglianza “underground” che ci aveva attirato nelle prime stagioni. L’ultima sequenza, che tanto sembra un series finale (magari!), appare in questo senso quasi un mea culpa degli sceneggiatori, consapevoli dei propri errori e pronti a rimediare (certo, se avessero eliminato pure Felicity dall’equazione, sarebbe stato forse il finale più bello di sempre).
Sarà davvero così? O piuttosto facciamo bene a crederci poco? Oppure è tutta una preparazione, eliminando quindi personaggi secondari e dalla difficile gestione corale, per l’eventuale “paradosso di Flash“?
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Lost In The Flood 4×22 | 1.94 milioni – 0.7 rating |
Schism 4×23 | 2.19 milioni – 0.8 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.