Black Mirror 3×06 – Hated In The NationTEMPO DI LETTURA 4 min

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Gianni Morandi ci penserà due volte prima di ritornare a fare la spesa di domenica.

Netflix continua nel suo processo di “normalizzazione” e, dopo The Get Down di quest’estate, decide di dividere un’altra serie. Una serie che ha però un background ben diverso e un nutrito pubblico al seguito. Quindi tante aspettative, quindi dipendenza seriale per tutti quei fan che si sono ritrovati ad angosciarsi e a godere di conseguenza per le distopiche atmosfere di Black Mirror, la “serie non-serie” per eccellenza.
“Hated In The Nation” chiude quindi metà di questa stagione che, una volta finita, conterrà esattamente il quadruplo degli episodi di una delle due precedenti stagioni. Se vedendo un qualsiasi episodio di Black Mirror diciamo “no vabbè, questo è il più attuale di tutti, questo è quello che più si avvicina alla realtà”, convinti di trovarci di fronte ad una genialata cosmica, davanti alla 3×06 non faremo differenza.
“Hated In The Nation” si colloca, insieme ad altri tre episodi di questa stagione nel filone tematico dei social network, affrontandone il suo lato più forcaiolo e violento. La tematica potrebbe non apparire originalissima – minacce di morte virtuali che si realizzano – ma se così appare è soltanto perché tanto reale è il fenomeno dei leoni da tastiera che la storia si scrive da sola. Più originale, come Black Mirror ci ha sempre abituati, è il “colpo di scena” finale, in cui l’intero piano si rivela essere uno strumento di punizione per chi minacciava e non per i minacciati, con il culmine di uno sterminio nell’ordine delle centinaia di migliaia di persone.
La presenza prestigiosa di Kelly MacDonald nel cast, a capitanare una ben ritrovata ambientazione britannica, contribuisce ad un’ottima riuscita estetica dell’episodio, con una costruzione assai peculiare per la suddetta “serie non-serie”. Vediamo come.

Estratto di serie TV

Cosa ci annoia di più in una serie TV? I momenti morti, i filler, le digressioni su personaggi di cui non ce ne frega niente, i momenti di stanca che arrivano dopo un momento di particolare frenesia narrativa. Tutti aspetti dovuti alla lunghezza, alla natura di una serie TV. Lo spettatore si deve fidare, deve avere pazienza e fede, fondamentalmente sapendo che la percentuale di momenti in cui godrà davvero saranno relativamente pochi. Eppure continua a vederne.
Black Mirror, con la sua dimensione totalmente antologica, compie un lavoro peculiare. I singoli episodi non sono film leggermente più brevi, troppo lunghi per essere erroneamente giudicati cortometraggi e radicalmente separati nelle storie narrate e nel cast per essere considerati con l’impianto seriale tradizionale. Black Mirror produce tantissime serie TV a sé stanti in miniatura: per il tipo di storia raccontata, per l’arco narrativo disegnato. Provate a prendere un episodio a caso e a pensarlo suddiviso in tanti episodi che raccontano la medesima storia, con tempi dilatati, con lo stesso enigmatico incipit suddiviso in un’eventuale prima parte di stagione, con un finale dolce-amaro tipico da series finale. L’episodio tipo di Black Mirror, quindi, concentra al massimo tutto ciò che ci piace di più in una serie, con caratteristiche diverse a seconda della storia raccontata.
Ovviamente la linea tematica che lega i vari capitoli rappresenta quel filo che poi determina la continuità seriale e che ci permette poi di classificare ogni singolo racconto come parte della serie chiamata Black Mirror.
E “Hated In The Nation” che tipo di storia racconta?

Un procedurale di 90 minuti

Abbandoniamo le atmosfere stranianti, intimiste e disturbanti di tutti i precedenti episodi (forse solo “Shut Up And Dance” manteneva un carattere più da dramedy, almeno fino all’agghiacciante finale) e catapultiamoci in un’atmosfera urbana, ricca di personaggi e di ambienti. Come al solito la tecnologia rappresentata è composta da lievi dettagli qui e lì: telefoni mai visti prima, capacità di guidare i semafori, api drone (inizialmente presentate con noncuranza). I cambiamenti tecnologici, come è verosimile che sia, sono presenti nei piccoli oggetti, se non nel non materiale, come le app.
In questo scenario l’ambientazione è quella da telefilm poliziesco, con rapidi cambi di ambientazione, personaggi legati a ruoli prestabiliti e una rapida successione di casi simili da risolvere.
Pensando al discorso preso in esame nel paragrafo precedente, “Hated In The Nation” può essere pensato anche come un procedurale potenzialmente interminabile. Il soggetto consente di pensare a ciò: basta creare un “caso del giorno” ogni episodio con un diverso bersaglio dell’opinione pubblica. Certo, e qui sta l’altra grande differenza, dovrebbe poi essere garantito quasi sempre un lieto fine. Così non è. Come poi in quasi tutti gli episodi di Black Mirror.
Anche in questo caso un sacco di gente muore male.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La tematica, forse mai così vicina (anche se lo diciamo sempre)
  • L’interpretazione di Kelly MacDonald
  • Su un soggetto prevedibile, sempre un colpo di scena spiazzante
  • Il finale
  • No

 

Potremmo stare qui a lamentarci per l’attesa che ci aspetta prima della seconda metà della stagione. Ma il fan di Black Mirror ha già imparato ad auto-ibernarsi e a far passare ere geologiche prima di vedere elargiti altri capitoli. Abbiamo appena avuto a disposizione tra capo e collo la quantità di episodi che avevano composto le prime due stagioni. Per questo benediciamo chi di dovere.

 

Men Against Fire 3×05 ND milioni – ND rating
Hated In The Nation 3×06 ND milioni – ND rating

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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