Brave New World 1×01 – PilotTEMPO DI LETTURA 6 min

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“Welcome to New London. We have three rules. No privacy. No family. No monogamy. Everyone is very happy.”

Si apre con queste parole Brave New World, la serie che inaugura la nuova piattaforma streaming di NBC (battezzata Peacock in onore del celebre logo del network) adattando l’omonimo romanzo di Aldous Huxley del 1932. Un’impresa rischiosa, se si considera la difficoltà di trasporre sul piccolo schermo la complessità e la profondità di un’opera in cui convivono Shakespeare e Freud, Wells e Newman, il fordismo e l’ipnopedia, l’utopia e la distopia, la manipolazione degli embrioni e le riflessioni sulla sessualità umana.
Difatti il primo episodio cerca di trovare un difficile equilibrio tra fedeltà allo spirito del romanzo originario e adattamento ai tempi e alle mode del momento, tra dimensione filosofico-satirica e puro intrattenimento: e su quest’ultimo punto aiutano non poco le libertà di cui gode una piattaforma streaming rispetto a un tradizionale network generalista, sicché nudità, scene di sesso, situazioni promiscue e locations futuristiche curate in maniera più che dignitosa (non siamo ai livelli di Netflix, ma nemmeno di SyFy) abbondano. Purtroppo ciò avviene a scapito della componente più seria, riflessiva e “impegnata” della distopia huxleyana. Con questo non si vuole bocciare la serie (sarebbe peraltro prematuro, dopo un solo episodio tutt’altro che brutto), quanto piuttosto sottolineare che essa si colloca, quantomeno alla luce del primo episodio, nel novero di quei tanti prodotti di fantascienza dignitosi ma privi dello slancio e della forza necessarie a renderli autentici capolavori del genere.
New London sembra, in apparenza, una vera e propria utopia: i suoi abitanti non provano l’insoddisfazione e la brama di cambiamento, perché sono indottrinati ad accettare la propria posizione sociale, determinata prima ancora di nascere; non provano la gelosia, perché ci si è sbarazzati dell’inutile monogamia e tutti appartengono a tutti, tutti sono liberi di andare con tutti; non provano dolore, depressione o smarrimento, perché l’onnipresente droga chiamata “soma” placa qualsiasi sensazione negativa. Le donne non devono nemmeno soffrire i disagi della gravidanza e i dolori del parto, perché la riproduzione umana avviene esclusivamente per via artificiale.
Non c’è traccia di guerre né di povertà, almeno tra i cittadini di questa felice oasi del futuro. Però c’è anche il rovescio della medaglia, ciò che rende Brave New World un’altrettanto evidente distopia: non esistono legami affettivi, non è possibile crearsi una famiglia e provare la gioia di avere un figlio o di condividere il letto sempre con la stessa persona, si è condannati per tutta la vita a occupare una determinata casta sociale (dagli Alfa, vertice della catena di comando, agli Epsilon, ultimo gradino sociale).
Gli esseri umani sono sostanzialmente ridotti a macchine pensanti: quelli delle classi più basse non hanno nemmeno un vero e proprio nome ma una semplice sigla alfanumerica e si comportano, parlano, ragionano come se fossero davvero degli automi; quelli delle classe più alte, che si illudono di essere liberi e felici, sono anch’essi manovrati da un sistema che soffoca ogni loro spinta individuale e ridotti a un’esistenza non meno inautentica di quella degli esseri inferiori. Non esiste nemmeno la privacy: ogni cittadino è collegato tramite le proprie lenti a contatto a Indra, sorta di rete globale che permette di monitorare chiunque, e persino l’attività sessuale è scrupolosamente verificata. In definitiva, sotto la patina di paradiso New London nasconde un inferno.
Di questa triste verità cominciano a rendersi conto Bernard Marx, un Alfa-Plus interpretato da un sempre convincente Harry Lloyd. Bernard ha avuto tutto dalla vita e quando fa la sua entrata in scena sembra il più fedele servo del sistema che regola la vita di New London, ma gradualmente si rivela un personaggio capace di provare dubbi verso i valori della propria stessa società, di mettere in discussione tutto ciò su cui si è basata finora la propria esistenza. L’accidentale morte di un Epsilon, dietro cui però potrebbe nascondersi un suicidio, e la conseguente riflessione su ciò che potrebbe aver spinto un uomo a un simile gesto bastano a scoperchiare il suo interiore vaso di Pandora e alimentare inquietudini e insoddisfazioni che l’uomo sicuramente covava dentro di sé da tempo.
Un simile percorso vede protagonista Jessica Brown Findlay nei panni di Lenina Crowe, bella e brillante scienziata “colpevole” di aver coltivato per troppo tempo una relazione monogama e tuttavia incapace di sentirsi realizzata nella condotta sessuale promiscua promossa dalla società di New London. In entrambi i casi, la scrittura sembra preferire la via più facile e pruriginosa, relegando tutto (o quasi) alla sola sfera sessuale ed eliminando i complessi di inferiorità di Bernard, che pure nel romanzo occupavano un posto importante: scelte legittime, ma in cui si perde parte della complessità del testo di Huxley, che di certo non voleva essere una semplice condanna del sesso promiscuo con orge in discoteca e registrazioni hard della vita erotica dei dipendenti.
New London, però, è solo una faccia della medaglia. L’altra metà dell’episodio si svolge a Westworld nelle Savage Lands, una sorta di riserva/parco dove i ricchi cittadini delle metropoli del futuro possono osservava la vita dei loro lontani antenati del XX secolo. Il parallelo con la celebre serie HBO è inevitabile, con la differenza che lì gli umani si divertivano dando la caccia, massacrando e violentando androidi creati a loro immagine e somiglianza; qui è l’umanità che contempla i suoi stessi simili più sfortunati, ne fa oggetto di divertimento e di attrazione come animali in uno zoo.
E come succedeva in Westworld, anche qui c’è aria di rivolta. Alden Ehrenreich, il giovane Han Solo in Solo: A Star Wars Story, qui è John, abitante della riserva che si divide tra un lavoro come macchinista in una sorta di circo per i visitatori e le cure della povera madre, interpretata nientemeno che da Demi Moore; ma siccome la sua vita non fa già abbastanza schifo, finisce coinvolto nei piani di un gruppo rivoltoso, escamotage narrativo che probabilmente servirà a unire la sua strada a quella di Bernard e Lenina.
Anche qui, purtroppo, la serie preferisce allontanarsi dal romanzo di Huxley eliminando qualsiasi traccia della passione del personaggio per il teatro di Shakespeare e sostituendola con quella per la musica leggera: una scelta che ammicca al pubblico moderno, ma che ancora una volta priva l’adattamento di molta della profondità culturale e della vastità di spunti che il romanzo di Huxley sapeva suscitare.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • È una serie da piattaforma streaming e non da network generalista, e si vede
  • Il cast
  • Molti spunti dell’opera huxleyana (come i complessi d’inferiorità di Bernard o la passione di John per Shakespeare) si perdono a favore del facile intrattenimento e del focus, sacrosanto ma limitante, sulla sessualità più sfrenata

 

Brave New World vuole stuzzicare il più possibile lo spettatore moderno con nudi, sesso e insoddisfazioni sentimentali, ma per ora si limita a grattare la superficie del grande affresco distopico disegnato da Huxley. Magari è solo una prima impressione che i prossimi episodi spazzeranno via, ma per il momento si è di fronte a un prodotto sufficiente e nulla di più. Il rischio è di assistere a una via di mezzo tra una versione pruriginosa di Black Mirror e una sbiadita copia di Westworld, e di Huxley nemmeno l’ombra.

 

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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.

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