Designated Survivor 1×17 – The Ninth SeatTEMPO DI LETTURA 4 min

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Del creatore di Designated Survivor David Guggenheim – da non confondere assolutamente con Marc, showrunner degli show DC – si sa veramente poco. Non è un caso che fino ad ora, pur presentando notevoli pregi, il difetto di cui si sia maggiormente macchiato DS sia l’assenza di una mano autoriale evidente, visto che, prima di giungere alle redini di questo nuovo progetto ABC, il caro David si sia fatto conoscere come scrittore di prodotti cinematografici scadenti, nonostante i cast altisonanti che entrambe le opere da lui scritte potevano vantare (Denzel Washington e Ryan Reynolds per “Safe House” e Nicolas Cage per “Stolen”). In ambito seriale invece questa è la sua primissima fatica e, soprattutto negli ultimi episodi, è lecito essere preoccupati per come la serie stia chiudendo questa prima annata.
Già intorno al midseason ci si poteva lamentare di come l’ordine di nuovi episodi (portati agli attuali 22) avesse gettato nel panico gli sceneggiatori costretti a reinventarsi letteralmente lo show da capo, allungando brodi e tessendo nuove, più o meno riuscite, storyline. Nel breve termine, si può dire che Designated Survivor se la sia cavata senza infamia e senza lode, riuscendo a uscire ancora in piedi dallo scontro. Sul lungo termine invece la fatica si sta facendo sentire, soprattutto per quanto riguarda l’agente Wells e la sua parte di trama. Nonostante le vengano dedicati ben tre cliffhanger su tre, uno dopo l’altro, non riesce più a convincere come nella prima parte di stagione. In particolare, sono due le azzoppate rifilate da Maggie Q allo show e evidenziate in particolar modo da questo “The Ninth Seat”.

  • Nella recensione precedente chiedevamo a gran voce che venisse gettata un po’ di luce sui cospiratori e sulle loro motivazioni. Da questo punto di vista potremmo considerare l’episodio diciassette come una vera e propria manna dal cielo. Ma a costo di sembrare ingrati, bisogna sottolineare come la soluzione intrapresa sia tra tutte quella più difficoltosa. Per quanto intrigante possa essere, dietro al movimento “Pax Americana” cresce l’ombra silenziosa di una delle parole da prima pagina di questo 2017. Manca poco infatti a che il termine “populismo” venga pronunciato esplicitamente, ma tutte le premesse sono state poste sul piatto. Pur riconoscendo una certa dose di coraggio narrativo (o, per meglio dire, suicidio) è evidente come la decisione di far partire la cospirazione dal basso, dai cittadini normali, snatura completamente la natura di DS: detto brutalmente, davvero si vuole contrapporre in uno scontro da una parte un indipendente ma comunque figlio della politica e dell’establishment precedente, dall’altra cittadini normali? Il problema del populismo non può essere affrontato, figuriamoci risolto, mettendo in mostra uno scontro frontale tra le parti, non può essere affrontato demonizzando e ostracizzando. Se Designated Survivor poteva ambire a mostrare una realtà alternativa, di colpo si è piombato a tutta velocità nel surreale.
  • Ancora più surreale d’altra parte è il ritorno di Lozano. La “sorpresona” della resurrezione di Catalan è una di quelle sorprese sgradite che fanno molto male a qualsiasi show e in particolare che fa molto male a DS, andandone a intaccare gravemente la credibilità. Riprendendo quanto si diceva prima, questa è la spia più sintomatica di come sarebbe stato meglio per tutti se la stagione fosse durata di meno perché nel caso di 13-16 episodi non ci sarebbe stato il tempo materiale per a) uccidere Catalan, b) spiegare magicamente come sia potuto sopravvivere e c) dargli spazio nella chiusura finale dei giochi. ABC ha deciso diversamente e ora tocca agli spettatori assistere a quello che è, sotto tutti i punti di vista, il piano di riserva del piano di riserva.
Dispiace ulteriormente osservando anche il resto della puntata, che risulta stretta nei tempi e incapace di formulare un giudizio risoluto su una questione che in America, la Corte Suprema, è alquanto spinosa. Dispiace perché settimana scorsa il serial aveva dimostrato di saper creare degli intrecci politici notevoli. Dispiace perché, tra tutte le pecche, si riesce anche a ritagliare un paio di scene ben scritte, come il cordiale rifiuto di Julia Rombauer o il presidente Kirkman che proibisce che Abe Leonard venga arrestato perché “price of living in a free society“: semplicemente impagabile.
Come scrivevamo per “Party Lines“, la formula per il successo è solo una: più Kirkman e meno Wells, più politica e meno misteri. È quello di cui l’America il panorama seriale ha più bisogno adesso.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Julia Rombauer, simbolo della presidenza Kirkman
  • Price of living in a free society.
  • Kimble Hookstraten e la vicepresidenza
  • Pax Americana
  • Lozano
  • Abe Leonard mina vagante
  • Minutaggio troppo scarso per poter affrontare il tema della Corte Suprema

 

No Victory without Sacrifice.

 

Party Lines 1×16 5.33 milioni – 1.1 rating
The Ninth Seat 1×17 5.06 milioni – 1.0 rating

 

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