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“The universe is deterministic… It’s godless and neutral and defined only by physical laws. The marble rolls because it was pushed; the man eats because he’s hungry; an effect is always the result of a prior cause. The life we lead, with all its apparent chaos is actually a life on tramlines.
Prescribed. Undeviating. Deterministic.
I know it doesn’t feel that way, Sergei. We fall into an illusion of free will, because the tramlines are invisible and we feel so certain about our subjective state. Our feelings, our opinions, judgments, decisions. You joined my company. Gained our trust. Gained my trust. Then stole my code on your James Bond wristwatch. That would appear to be the result of some decisions, wouldn’t it? About where you placed your allegiance about who you would betray. But if we live in a deterministic universe, then those decisions can only have been the result of something prior. Where you were born, how you were brought up. The physical construction of your particular brain. It’s the nature/nurture matrix. Exactly like the nematode worm in your simulation. It’s more complex, more nuanced, but still…at the end of the day, cause and effect. I hope you understand what I’m saying, Sergei.
This is forgiveness. This is absolution. You made no decision to betray me. You could only have done what you did.”
Prescribed. Undeviating. Deterministic.
I know it doesn’t feel that way, Sergei. We fall into an illusion of free will, because the tramlines are invisible and we feel so certain about our subjective state. Our feelings, our opinions, judgments, decisions. You joined my company. Gained our trust. Gained my trust. Then stole my code on your James Bond wristwatch. That would appear to be the result of some decisions, wouldn’t it? About where you placed your allegiance about who you would betray. But if we live in a deterministic universe, then those decisions can only have been the result of something prior. Where you were born, how you were brought up. The physical construction of your particular brain. It’s the nature/nurture matrix. Exactly like the nematode worm in your simulation. It’s more complex, more nuanced, but still…at the end of the day, cause and effect. I hope you understand what I’m saying, Sergei.
This is forgiveness. This is absolution. You made no decision to betray me. You could only have done what you did.”
Alex Garland è uno dei nomi sicuramente più interessanti nel mondo della cinematografia: Ex-Machina, suo debutto in regia, ha ricevuto grande apprezzamento ed un buon numero di riconoscimenti (tra cui spiccano, ovviamente, Globe ed Oscar). Inutile dire, quindi, che alla notizia del suo approdo nel mondo seriale, l’interesse è stato decisamente alto, così come le aspettative al suo nuovo prodotto: Devs.
Spionaggio, alta tecnologia e l’onnipresente occhio vigilante di un’azienda che sembra dominare la quotidianità della società: questo è quello con cui si presenta Garland al pubblico tramite Devs, una serie tv a tratti avveniristica (come lo fu Westworld anni fa), a tratti dal distinto odore di antiquatezza. Questa doppia ambivalenza della storia la si può ritrovare in diversi punti del pilot e non può che incidere fortemente sulla valutazione finale.
L’elemento “tecnologia” è, trattandosi di Garland, dominante e magnificamente portato in scena, ma non basta per rendere l’ora di visione meno pesante di quello che appare e soprattutto non è sufficiente per convincere lo spettatore più dubbioso a continuare la visione della serie.
Tuttavia, bisogna fin da subito premettere una cosa: la qualità della narrazione e del lavorato non è minimamente da mettere in dubbio. La storia, che contrappone la vecchia guardia della tecnologia (Nick Offerman) con una figura più giovanile (Sonoya Mizuno), risulta essere accattivante. Aiuta molto, da questo punto di vista, l’introduzione dello spionaggio, vero fattore carico di magnetismo. I dialoghi, inoltre, seppur centellinati durante la puntata, portano in scena la non banalità della storia: insomma, dopo mezz’ora si parlava già di determinismo e dello scopo della vita; appare dunque difficile poter ritenere una serie simile superficiale o altro ancora.
Accantonati questi fattori, tuttavia, è la percezione di “antiquato” che ferma questa sequela di elogi e di fattori incredibilmente positivi. Ancora una volta, come più spesso accade, ci si ritrova a dover fare i conti con un prodotto che non spicca di originalità, anzi. Sono facilmente identificabili molti tratti comuni tra Devs e varie puntate di Black Mirror (che dal punto di vista tecnologico ha pressoché analizzato un ampio spettro di possibilità e/o scenari), lo stesso Ex-Machina di Garland (la figura di Nick Offerman appare ben poco diversa da quella interpretata da Oscar Isaac) e svariate produzioni seriali e non che hanno cercato di analizzare scenari al limite, dove la tecnologia sembrava prevalere su tutto e su tutti.
A fare da contraltare c’è il già citato fattore dello spionaggio che infittisce la trama, sicuramente, ma che ben poco si discosta da elementi di rottura della continuità presentati da sceneggiati simili: figure arriviste pronte a correre qualche rischio pur di arricchirsi o diventare famose; ex soci vogliosi di vendetta; individui in cerca della propria personale scalata al potere. Insomma, niente di nuovo. O quasi, dal momento che la trama dello spionaggio viene presentata a sorpresa e subito troncata, lasciando alla giovane Lily il compito di ricollegare tutti i pezzi di un puzzle che al momento sembrano semplicemente essere stati disseminati con fare caotico sul pavimento: per chi lavorava davvero Sergei? Perché la società di Forest è stata presa di mira? Cos’è il codice spiato da Sergei e perché cambierebbe tutto? Molte domande (alle quali in scena vengono date solo risposte ancora più criptiche), insomma.
Visivamente inoppugnabile la bellezza della serie: la musica, la gestione della fotografia e le lunghe scene atte a riprendere l’invasione della tecnologia nella quotidianità (solo nell’azienda, in realtà) sono un piacere per occhi ed orecchie. Eppure questa cripticità narrativa non ripaga totalmente e svilisce l’appagamento che si prova durante la visione del pilot: tutto bellissimo, ma forse troppo enigmatica? E’ con questo dubbio che lo spettatore termina la puntata percependo, nella propria mente, una chiara e distintiva frase riassuntiva con la quale poter presentare Devs: “…ce se capisce e non ce se capisce. Io non c’ho capito un cazzo!” (Sergio Vannucci, Boris – Il Film)
Spionaggio, alta tecnologia e l’onnipresente occhio vigilante di un’azienda che sembra dominare la quotidianità della società: questo è quello con cui si presenta Garland al pubblico tramite Devs, una serie tv a tratti avveniristica (come lo fu Westworld anni fa), a tratti dal distinto odore di antiquatezza. Questa doppia ambivalenza della storia la si può ritrovare in diversi punti del pilot e non può che incidere fortemente sulla valutazione finale.
L’elemento “tecnologia” è, trattandosi di Garland, dominante e magnificamente portato in scena, ma non basta per rendere l’ora di visione meno pesante di quello che appare e soprattutto non è sufficiente per convincere lo spettatore più dubbioso a continuare la visione della serie.
Tuttavia, bisogna fin da subito premettere una cosa: la qualità della narrazione e del lavorato non è minimamente da mettere in dubbio. La storia, che contrappone la vecchia guardia della tecnologia (Nick Offerman) con una figura più giovanile (Sonoya Mizuno), risulta essere accattivante. Aiuta molto, da questo punto di vista, l’introduzione dello spionaggio, vero fattore carico di magnetismo. I dialoghi, inoltre, seppur centellinati durante la puntata, portano in scena la non banalità della storia: insomma, dopo mezz’ora si parlava già di determinismo e dello scopo della vita; appare dunque difficile poter ritenere una serie simile superficiale o altro ancora.
Accantonati questi fattori, tuttavia, è la percezione di “antiquato” che ferma questa sequela di elogi e di fattori incredibilmente positivi. Ancora una volta, come più spesso accade, ci si ritrova a dover fare i conti con un prodotto che non spicca di originalità, anzi. Sono facilmente identificabili molti tratti comuni tra Devs e varie puntate di Black Mirror (che dal punto di vista tecnologico ha pressoché analizzato un ampio spettro di possibilità e/o scenari), lo stesso Ex-Machina di Garland (la figura di Nick Offerman appare ben poco diversa da quella interpretata da Oscar Isaac) e svariate produzioni seriali e non che hanno cercato di analizzare scenari al limite, dove la tecnologia sembrava prevalere su tutto e su tutti.
A fare da contraltare c’è il già citato fattore dello spionaggio che infittisce la trama, sicuramente, ma che ben poco si discosta da elementi di rottura della continuità presentati da sceneggiati simili: figure arriviste pronte a correre qualche rischio pur di arricchirsi o diventare famose; ex soci vogliosi di vendetta; individui in cerca della propria personale scalata al potere. Insomma, niente di nuovo. O quasi, dal momento che la trama dello spionaggio viene presentata a sorpresa e subito troncata, lasciando alla giovane Lily il compito di ricollegare tutti i pezzi di un puzzle che al momento sembrano semplicemente essere stati disseminati con fare caotico sul pavimento: per chi lavorava davvero Sergei? Perché la società di Forest è stata presa di mira? Cos’è il codice spiato da Sergei e perché cambierebbe tutto? Molte domande (alle quali in scena vengono date solo risposte ancora più criptiche), insomma.
Visivamente inoppugnabile la bellezza della serie: la musica, la gestione della fotografia e le lunghe scene atte a riprendere l’invasione della tecnologia nella quotidianità (solo nell’azienda, in realtà) sono un piacere per occhi ed orecchie. Eppure questa cripticità narrativa non ripaga totalmente e svilisce l’appagamento che si prova durante la visione del pilot: tutto bellissimo, ma forse troppo enigmatica? E’ con questo dubbio che lo spettatore termina la puntata percependo, nella propria mente, una chiara e distintiva frase riassuntiva con la quale poter presentare Devs: “…ce se capisce e non ce se capisce. Io non c’ho capito un cazzo!” (Sergio Vannucci, Boris – Il Film)
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Devs ha tutto il potenziale per diventare una serie d’alto livello: regia, fotografia e scelta delle soundtrack. Ma pecca nella poco originalità della trama che, volendo o no, rappresenta l’elemento cardine di qualsiasi tipo di progetto. Ma siamo pur sempre solo ai blocchi di partenza, quindi perché non dare fiducia a Garland e proseguire la visione di questo possibile capolavoro?
Episode 1 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.