Nell’ormai lontano 2004, Rai 2 trasmetteva in prima tv la serie d’animazione “Winx Club“, creata e ideata dall’italianissimo Iginio Straffi. Il prodotto traeva ispirazione dagli anime giapponesi, arricchito però dal tema della magia già portato al successo negli anni precedenti dal fenomeno “Harry Potter”. Chissà se proprio Iginio Straffi, anche a ben diciassette anni di distanza, avrebbe immaginato che le protagoniste della sua creazione sarebbero diventate personaggi in carne ed ossa nella nuova creatura targata Netflix. Sicuramente ci aveva provato già nel 2011 quando Viacom, che detiene Nickleodeon, aveva acquistato i diritti della sua creatura ma all’epoca non se ne fece nulla.
Straffi stesso non è coinvolto nella produzione dello show e nemmeno nella sceneggiatura ma lo è invece la moglie, Joanne Lee, che compare infatti come produttrice esecutiva sia della serie che del cartone animato. Con l’estromissione di Straffi dalla creazione della serie, Netflix ha optato per qualcuno con più esperienza nel campo dei teen drama soprannaturali: Brian Young, showrunner della serie, è stato infatti chiamato grazie alla sua lunghissima esperienza in The Vampire Diaries.
“Magic can be dangerous, as you well know.”
UN REMAKE LIVE-ACTION
La serie è a tutti gli effetti un remake live-action della saga animata che va a collocarsi in quel filone fantasy young-adult che riscuote da sempre molto successo. Ovviamente in quella fetta di pubblico più giovane e attirata dai teen drama.
La decisione di inserire le ragazze in una fascia d’età più adulta si rivela dunque vincente in quanto permette di unire all’elemento action-fantasy tutti i temi cari ai teen drama: il significato dell’amicizia, i primi amori e le relative delusioni, la crescita personale. Tutto in chiave più dark rispetto al cartone animato.
La premessa è interessante: c’è una scuola di magia circondata da una natura incontaminata, un gruppo di studenti che cercano di svelare un mistero e svariati segreti riguardanti i protagonisti che premono per venire a galla. Se il tema suona familiare, non c’è da stupirsi. La serie prende in prestito, infatti, tematiche care al Wizarding World di J. K. Rowling e, addirittura, questo primo episodio contiene una scena in cui due personaggi (Bloom e Aisha) ipotizzano in quale casa verrebbero smistate se fossero a Hogwarts.
UN PILOT DIVISO TRA ALTI E BASSI
Il pilot è abbastanza scontato sotto alcuni punti di vista, sembrando più uno show adatto alla programmazione del network americano The CW piuttosto che a Netflix. Non è una series premiere da buttare, ma alla fine ci si domanda se fosse stato meglio ridurre un cast già troppo numeroso per puntare su un migliore character development.
Tutto quello che viene esplorato e approfondito riguarda principalmente Bloom, la protagonista, anche se non si capisce ancora esattamente come sia approdata all’Alfea, la scuola per fate che funge da contorno per la vicenda.
Si ha la sensazione, a volte, che le peculiarità delle protagoniste siano svelate e basate su meccanismi tipici delle produzioni adolescenziali: Stella è la “stronza incompresa”, Musa quella a cui piace stare per i fatti suoi, Terra quella che lotta contro i bulli. Solo Aisha sembra un character che potrebbe rivelarsi davvero interessante, ma c’è troppo poco spazio dedicato a lei nel pilot.
“The stronger the emotion, the stronger the magic.“
I personaggi maschili presentati sono molto deboli se paragonati alle loro controparti femminili: la maggior parte di loro non sono fate, ma fanno parte degli “specialisti”, un gruppo di combattenti addestrati che non possiedono il dono della magia.
Il pilot non ne esce in modo negativo. La trasposizione della serie animata era stata vista da molti come un prodotto scontato riservato probabilmente ai più piccoli.
Fate: the Winx Saga sorprende piacevolmente, dimostrando che non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina. I 53 minuti scorrono veloci e intrattengono, confermando un format vincente di ragazze unite contro le forze del male: la scuola è infatti protetta da una barriera che tiene lontani esseri mostruosi chiamati i “bruciati”.
Fin da subito il pilot mette molta (forse troppa) carne sul fuoco, senza risultare mai trashy o eccessivamente banale. Il mistero legato alla nascita di Bloom è probabilmente la parte più interessante, anche se sarebbe bello vedere un maggior character development nei prossimi episodi. A volte vale la pena sacrificare una parte dell’elemento action per favorire una maggiore empatia con i personaggi, specie considerate le “sole” sei puntate a disposizione.
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Episodio promosso pur sapendo che sei episodi potrebbero non essere sufficienti per approfondire a fondo la psicologia dei protagonisti e per raggiungere un vero e proprio climax finale.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.