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Losing Alice 1×01 – The EncounterTEMPO DI LETTURA 5 min

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Recensione Losing Alice 1x01“Art is a guaranty of sanity.”
(Louise Bourgeois)

La musica inquietante di un violoncello nella solitaria reception di un albergo introduce lo spettatore in questo thriller neo-noir cinematografico dalle tinte molto oscure. La serie tv israeliana Losing Alice, infatti, mostra subito di che pasta è fatta: un sapiente mix di atmosfere oniriche, sensualità, mistero, perversione.
Con la creatura di Sigal Avin, Apple si aggiudica la seconda collaborazione con le reti israeliane dopo Teheran. La serie, uscita in patria lo scorso giugno, è stata presentata alla terza edizione di Canneseries ricevendo ottimi riscontri dal pubblico e dalla critica.
La storia raccontata è quella dell’omonima protagonista, una donna di 48 anni non più felice perché non soddisfatta né del suo lavoro, né della sua famiglia. Un incontro fortuito sul treno con Sophie, giovane ventiquattrenne piena di talento, darà una scossa alla vita di Alice.
L’incipit che mostra una ragazza che porta in regalo al padre per il suo compleanno dei palloncini gialli, mostra reminiscenze chiare nel mondo seriale e cinematografico (l’impermeabile di Jonas di Dark, quello di Georgie di It).
Ma quello che sorprende sin dai primi minuti è il contesto visivo in cui è calato questo personaggio che, come la Vedetta della tragedia greca di Eschilo, l’Agamennone, sparirà per la gran parte del tempo del primo episodio, annunciando solamente qualcosa di sinistro e oscuro, nonostante l’apparente e falsa felicità.
Risulta evidente che Sigal Avin, per sua stessa ammissione, abbia attinto a piene mani dagli autori con i quali è cresciuta: Lynch, Polanski, Hitchcock, Jane Campion.
Da subito risulta evidente una certa attenzione al colorismo. Il blu, il giallo e il rosso, colori costitutivi dei Tarocchi di Marsiglia, percorrono tutto il primo episodio in maniera quasi ossessiva ed estremamente ricercata, introducendo lo spettatore in una atmosfera onirica e creando una situazione di estrema tensione, sapientemente sottolineata da alcuni passaggi musicali.
Quel che è certo è, comunque, che senza l’attrice protagonista Ayelet Zurer il risultato non sarebbe stato lo stesso.

UNA PERFETTA SCELTA DI CASTING


Ayelet Zurer interpreta il maestoso personaggio di Alice, una donna in piena crisi: crisi di mezza età, crisi creativa, crisi famigliare. Mostra serenità ma è una patina molto sottile.
La sua insicurezza generalizzata viene poi mostrata visivamente con il quadro che raffigura una donna incinta con, al posto del bambino, un gomitolo, ripreso per ben due volte nel corso dell’episodio.
L’attrice, classe 1969, risulta essere perfetta per il suo personaggio e non solo per la sua grande capacità attoriale che le ha permesso di rendere al meglio un personaggio così complesso, ma soprattutto per la sua fisicità. I tratti distintivi di questa particolare età per una donna vengono mostrati in maniera delicata e senza veli e questo appare come una nota aggiunta: Alice è una donna come tante.
Interessante risulta poi il dialogo programmatico sul treno con Sophie:

Sophie:
“I’m really excited to meet you. I don’t want to intrude here, but… I’m dying to know if what happened in the movie was real or if it was all make-believe?”
Alice: “Why would it matter?”
Sophie: “I don’t know.”
Alice: “Everything starts with a truthful element. And…some of those things happened, and some are what could’ve possibly happened to me.”
Sophie: “The person I could have become. Like when you try on something in a shop that you know you’ll never wear because it’s not you, but you go ahead and get it anyway ‘cause it’s who you really want to be. But then after a while you find yourself trying on one of those bizarre things you bought on a whim… but somehow it turns out it really is you. The fantasy can blend with reality without you being aware.

La fantasia e la realtà che si incontrano: l’insegnamento e la famiglia, i pochi spot e il copione del prossimo film non ancora cominciato si incontrano con la sensualità di una giovane ragazza che si spoglia nel bagno di un treno, invadente nel parlare e nell’entrare nello spazio vitale degli altri. È l’inizio dell’ossessione. È l’inizio della fine. I colori, di nuovo, sottolineano questo aspetto.

CAMERA 209: IL DIARIO SEGRETO DI LAURA PALMER?


Il casus belli è proprio la sceneggiatura di Sophie, intitolata “Camera 209”. Da subito emerge il carattere metacinematografico della serie con la tv accesa da Dana nell’incipit ma è, appunto, la sceneggiatura a segnare maggiormente questo aspetto (insieme al mestiere di Alice e David, ovviamente). Si configura come un qualcosa di cui si parla ma che lo spettatore non può conoscere appieno, un po’ come il Necronomicon di Lovecraft oppure Il diario segreto di Laura Palmer.
L’aspetto perverso del tema del film di Sophie è di chiara ispirazione lynchiana: viene descritto da David, marito di Alice, come “perverso e realistico”; interessante è l’approccio dei vari personaggi verso la sceneggiatura, per Sophie è importante perché è il suo primo film, per Alice è significativa perché le mostra cosa non è stata in grado di fare o quella che avrebbe potuto essere, per David una fonte di guadagno.
Quello che lo spettatore è portato a chiedersi è se si tratti di una storia vera o meno: il meccanismo di flashback e flashforward, infatti, mette in uno stato di allerta e tensione. I misteri si aggiungono uno sopra l’altro. Il blu, il giallo e il rosso accompagnano lo spettatore fino alla fine dell’episodio.
Cosa sta per succedere?

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Ricercatezza e attenzione al colorismo che introduce lo spettatore in una atmosfera onirica e di tensione
  • La creazione di un personaggio femminile maturo a tutto tondo e non stereotipato in contrapposizione con una giovane ragazza
  • La metacinematografia
  • Nulla di particolare da segnalare

Niente da ridire su questo magnifico episodio e la sensazione, durante la visione, di ritrovarsi di fronte ad un vero e proprio capitolo di serialità d’autore sia per richiami, sia per costruzione.

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La notte sognivaga passeggia nel cielo ed il gufo, che mai dice il vero, sussurra che sono in me draghi ch'infuocano approdi reali e assassini seriali, vaghi accenti d'odio feroce verso chiunque abbia una voce e un respiro di psicosfera che rende la mia indole quanto mai nera. Però sono simpatica, a volte.

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