A volte la giustizia ha le proprie tempistiche ed i propri modi per poter portare alla cattura un rinomato criminale. Capita nella vita vera ancora oggi, succede all’interno degli sceneggiati televisivi. È capitato anche per John William Cooper, rimasto in carcere dal 1998 al gennaio 2009 per poi essere arrestato nuovamente con l’accusa di omicidio il maggio dello stesso anno.
Due anni dopo, come mostrato nel concitato finale di puntata e di questa miniserie, verrà condannato all’ergastolo e ritenuto colpevole di tutti i capi d’accusa.
CARDINAL? LUTHER? MANCANZA DI ORIGINALITÀ
Se c’è una cosa di cui dare atto a The Pembrokeshire Murders è la decisione, almeno in quest’ultima puntata, di svestire i panni del drama-famigliare-psicologico per focalizzarsi solamente sul crime. Niente più problematiche familiari; niente più parentesi al campetto di calcio tra padre e figlio; niente più ubriachi molesti al pub. No, il buon detective Steve Wilkins viene rappresentato solamente per il ruolo primario all’interno del caso riguardante Cooper, venendo risparmiato per sottotrame del tutto dimenticabili.
Fin dall’inizio, infatti, era lampante come la sceneggiatura cercasse di disegnare attorno al personaggio una sorta di carisma da uomo problematico, un cliché vivente dei detective di qualsiasi tipo di produzione crime internazionale: Sherlock, Luther, Cardinal, Black Spot, Deadwind, Sorjonen e si potrebbe continuare. Il punto è che, trattandosi di una miniserie composta da sole tre puntate, non aveva alcun senso cercare di fare luce sulle diatribe personali di Steve per far empatizzare il pubblico. Il nocciolo del racconto sarebbe sempre dovuto rimanere sulle indagini riguardanti Cooper, il suo passato e… i suoi pantaloncini color cachi.
Questa terza e conclusiva puntata, finalmente, sembra aver imparato dai propri errori e tutto gira attorno proprio a John Cooper: l’assassino, lo stupratore, il ladro, il pedofilo. Una persona senza rimorsi, senza rispetto, senza onore, ma caparbia, lottatrice e mai doma.
Anche alla fine del processo, che lo riconosce colpevole, continua a professarsi innocente fino all’ultimo gettando fumo e dubbi proprio per questa sua non arrendevolezza: la sua incriminazione è stata effettivamente corretta? E perchè così tanta rabbia nata solamente quando viene accusato di essere uno stupratore?
IL DNA, L’ARMA SEGRETA
Si tratta chiaramente di un dubbio che la serie di per sé non ha intenzione di sollevare, risulta piuttosto essere un banale risultato di quanto portato in scena dall’ottima interpretazione di Keith Allen. La prova del DNA, le comparazione tra pantaloni, guanti, fucile, calze e quant’altro lo inchiodano senza possibilità d’appello, nonostante l’accorato appello alla giuria. Resta tuttavia, come appuntato da una delle testimoni all’interno della puntata, il rammarico di non aver incriminato tredici anni prima Cooper (ossia all’epoca degli avvenimenti).
Purtroppo l’utilizzo dell’impronta genetica (“dna finger printing”) è diventata strumento utilizzato abitualmente dalla polizia forse fin troppo tardi sia per i costi, sia, evidentemente, per una scarsa fiducia nei confronti di una tecnica ancora poco conosciuta e riconosciuta (e quindi non ammissibile per una incriminazione ufficiale in un tribunale).
Va infatti tenuto presente, giusto per fare un paragone, che il primo utilizzo del DNA per un caso italiano risale al 1987-1988 (omicidio Macchi). E bisogna arrivare al 1992-1993 per un utilizzo diverso dal “dna finger printing”: l’analisi delle 51 cicche rinvenute e dalle quali è stata analizzata la saliva per scoprire i nomi dietro la strage di Capaci.
Ciò che rimane dopo la visione di The Pembrokeshire Murders è la freddezza di John William Cooper/Keith Allen e la ricerca della verità portata avanti da Steve Wilkins. Ma rimane ancora una certezza: se si vuole portare avanti la carriera di serial killer in maniera impunita, forse, sarebbe meglio evitare di partecipare a trasmissioni televisive mettendosi in mostra come se nulla fosse. Oppure, forse, sta anche lì l’adrenalina che rende il tutto ancora più eccitante, più interessante.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Tredicesima produzione ITV Studios riguardante casi di omicidio celebri in Gran Bretagna ed ennesima miniserie di tutto rispetto. Per chi avesse apprezzato segnaliamo la possibilità-obbligo di recuperare le precedenti produzioni, su tutte la recente Des con David Tennant.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.