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Sorjonen 1×01 – The Dolls House, Part 1TEMPO DI LETTURA 4 min

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Bordertown, in lingua originale Sorjonen, è l’ennesimo prodotto fagocitato da Netflix negli anni passati e reso successivamente disponibile al grande pubblico sulla piattaforma di streaming. L’ennesimo prodotto, quindi, che deve il proprio successo internazionale principalmente all’azienda californiana: da sottolineare, infatti, che Bordertown ha riscontrato grande successo in patria (Finlandia), ma anche all’estero ha raccolto principalmente complimenti. Uno dei fan della serie è niente di meno che Stephen King, sicuramente un endorsement non da poco, ma che i sopravvissuti di Under The Dome potrebbero faticare a digerire.
Com’è quindi Bordertown, l’improbabilissima serie tv finlandese che piace a Stephen King?
L’ambientazione, i personaggi e la loro ricostruzione caratteriale, la proceduralità circoscritta della trama (ma anche la sigla, volendo scendere nei dettagli) ricordano abbastanza Cardinal, di cui è da poco andata in onda la puntata conclusiva. Altri aspetti, relativi alle modalità investigative dell’ispettore Kari Sorjonen, ricordano Lie To Me ed il pittoresco Cal Lightman (interpretato da Tim Roth). Molte le similitudini con serie tv anche di successo: lo stesso titolo originale, il cognome del protagonista, non può che richiamare ulteriormente serie simili sotto questo aspetto quali Cardinal, Luther o i molteplici crime televisivi che prendevano il nome dal proprio personaggio principale (Perry Mason, giusto per rimanere nel recente).
Un archetipo narrativo quindi non innovativo, anzi, schemi già visti e rivisti; ma vuoi per un desiderio di novità, vuoi per un contesto narrativo ancora tutto da scoprire (e potenzialmente tossico e letale proprio per Kari, almeno così lasciano intendere alcuni scambi di battute), la puntata fa il suo sporco lavoro e si rende interessante al punto giusto. I personaggi vengono presentati, i relativi background (in particolar modo quello della famiglia Sorjonen) vengono solo parzialmente abbozzati ed il velo del mistero viene posato sia sulle diatribe familiari (il più scontato dei cliché narrativi, ma necessario), sia su quelle lavorative vista e considerata l’inimicizia del nuovo distretto in cui Kari ha chiesto il trasferimento. Possibili sono i risvolti di corruzione con cui l’ispettore sembra predestinato a confrontarsi, ma si tratta di quisquilie di poco conto se si prende in esame la brutalità narrativa con cui la serie fin da subito cerca di far prendere dimestichezza al proprio pubblico: bocca e occhi cuciti (Perry Mason insegna) di un’innocente bambina che sembra, da lontano, semplicemente assorta nei propri sogni; sangue e tanfo di morte che vengono a galla nel momento in cui dalle mura esce la verità.
La risoluzione del primo caso appare a tratti extradiegetico, ma necessario per poter aiutare il pubblico ad inquadrare la peculiarità del novello Lightman finlandese. L’analisi di Kari è infatti rapida e schietta, ma il contraccolpo psicologico per l’uomo è fuorimisura tanto da essere tenuto distante dal ritrovamento della camera degli orrori: Sorjonen è infatti un investigatore atipico da questo punto di vista e ben lontano da figure come Cardinal e Luther, onnipresenti figure all’interno dell’obitorio di turno. Kari, invece, viene mostrato debole e gracile da questo punto di vista: armato di mascherina, ben lontano dal cadavere, una persona che sembra voler fuggire dall’odore di morte e dalla vista della stessa nonostante il fondamentale lavoro che si ritrova a svolgere.
Altro elemento carico di cliché è sicuramente rappresentato dalla famiglia (moglie e figlia) con cui l’ispettore sembra intenzionato a ricucire i rapporti, tentando di allontanarsi dal lavoro o quanto meno circoscrivendone il peso nella sua vita. Il risultato è facilmente prevedibile: il lavoro continuerà a rimanere una costante ben precisa nella vita di Kari, tutto dipenderà quindi da come moglie e figlia (la più scontrosa tra le due, a dire il vero) decideranno di inglobare nel proprio paradigma personale questo tipo di vita.
Sorjonen si presenta con un ottimo primo episodio che funziona in maniera a tratti perfetta (l’ora circa di visione non si percepisce minimamente), ma che si appesantisce di un nucleo di personaggi chiamati in causa (trattandosi di un primo episodio) forse eccessivo: si fa riferimento, per esempio, a tutti i diretti superiori di Kari; ma anche alla mamma della ragazza rapita e tenuta in ostaggio e che sembra, considerati i contatti, avere qualcosa di decisamente interessante da apportare alla storia. Forse introdurre alcuni elementi in più avrebbe giovato maggiormente, ma considerato il più che sufficiente risultato finale, risulta ben poco da recriminare al riguardo.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Contesto narrativo
  • Famiglia Sorjonen e, soprattutto, Kari
  • Finlandia, nazione di investigatori, poliziotti corrotti, criminali e… di improbabilissime soluzioni ai casi della polizia
  • Sorjonen: un’accozzaglia di serie già viste
  • Cliché debitamente dosati
  • Ampio minutaggio, ma per nulla percepito
  • Numero eccessivo di personaggi chiamati in causa?

 

Avete davvero intenzione di perdervi la serie tv finlandese preferita di Stephen King?

 

The Dolls House, Part 1 1×01 ND milioni – ND rating

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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