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Noia /nò.ia/: senso o motivo di malessere interiore, connesso a una prolungata condizione di uniformità e monotonia e talvolta associato a impazienza, irritazione, disgusto.
Terminata la visione di questo quinto episodio di Fear, siamo certi che il concetto di “soppressione dignitosa”, al centro del protocollo Cobalt, non appaia più così barbaro e immorale. Quantomeno ci allevierebbe dal dolore di dover continuare a guardare – e con estremo coraggio da parte nostra, recensori che non temono vagonate di trash-tv, anche recensire – lo spin-off dagli ascolti più immeritati della storia. Ma, visto e considerato che noi di Recenserie amiamo a dismisura i nostri lettori e non riusciremmo mai a caricarvi in massa su un camion per poi farvi sparire in qualche “dignitosa” fossa comune, abbiamo optato per il piano B: tranquillizzarvi. A tal proposito vi abbiamo proposto la definizione di noia, non certo per ostentare un’impeccabile conoscenza della lingua italiana, ma bensì per confortarvi sui sintomi che avrete riscontrato durante la visione di Cobalt. Dunque non preoccupatevi, non state per tirare il gambino, siete semplicemente annoiati a livelli talmente elevati da percepirne gli effetti a livello fisico oltre che mentale.
Tralasciando quanto già detto nelle precedenti recensioni in merito a mancanza di empatia con i protagonisti, caratterizzazioni fatte con i piedi, dialoghi sterili e nuclei familiari alle prese con intrallazzi degni della peggior soap-opera pomeridiana di rete4, la vera questione, che si erge a problematica principale dello show, è la staticità. Staticità per quanto riguarda i ritmi della narrazione, staticità nella definizione dei ruoli dei protagonisti, staticità nella sceneggiatura, ripetitiva all’inverosimile, nella fotografia, per nulla stimolante. Insomma, l’esatto opposto di ciò che lo spettatore si aspetterebbe da una serie su un’apocalisse zombie.
Sebbene con l’introduzione di Victor Strand si riesca ad avvertire finalmente una sensazione positiva in termini di interessamento nei confronti di un personaggio, non si può fare a meno di notare la progressiva deriva attuata dai cosiddetti protagonisti della serie. L’inutilità raggiunta da Travis raggiunge qui il suo culmine, scortato dai militari per quello che alla fine si rivelerà un breve tour della periferia di Los Angeles, per poi finire a imbracciare un fucile di precisione e tirarsi indietro nel momento decisivo. Una caratterizzazione, quella del buon padre di famiglia restio a sparare ad un risvegliato, vista e rivista, e che non fa altro che confermare la mancanza di originalità del prodotto, brutta copia dell’opera madre, anch’essa non proprio nel suo periodo di massimo splendore.
Oltremodo fastidioso il personaggio di Moyers, soldato americano stereotipato all’inverosimile e reso volutamente irritante nel disperato tentativo di canalizzare l’odio dello spettatore e creare una sorta di empatia con i civili rinchiusi. Obiettivo che certamente è stato raggiunto, ma che poteva essere centrato senza ricorrere a sequenze imbarazzanti e battute ancor più imbarazzanti come quella su Helen Keller (per chi non lo sapesse scrittrice e attivista sordocieca statunitense).
Unico vero lato positivo dell’episodio la parentesi da torturatore di Daniel Salazar, grazie alla quale scopriamo qualcosina in più sul passato del barbiere e soprattutto unico momento in cui le nostre palpebre non hanno rischiato di calare inesorabilmente. Certamente non uno dei migliori primi incontri col proprio suocero, ma ottima sequenza che ha il pregio di mostrarci quanto il personaggio sia disposto a spingersi oltre per salvare la propria famiglia – anche in questo caso una caratterizzazione già vista, ma gestita in maniera differente grazie all’inaspettato sangue freddo dimostrato dall’uomo nel torturare un ragazzo evidentemente diverso dal resto dei militari di guardia – e che pone Ofelia sotto una luce completamente diversa, complice del rapimento del proprio compagno nonostante sia stato proprio lui a evitare il suo arresto/sequestro a inizio episodio.
Totalmente priva di senso, ma esplicativa circa il vero scopo del personaggio di Alycia (It’s pussy time folks!) la scena della distruzione casalinga insieme al fratellastro Chris “L’Inutile” Manawa. Lo scopo è naturalmente quello di porre l’accento su sul fatto che la cosiddetta famiglia perfetta e la distinzione tra ricco e povero ormai siano concetti privi di qualsivoglia valore – concetto, quest’ultimo, che verrà spiegato con molto più carisma da Victor nel discorso con Nick – oltre che evidenziare lo stato di noia vissuto dai personaggi della serie, evidentemente molto bravi a superare momenti brutti della loro vita grazie a vandalismo gratuito e travestitismo compulsivo.
Tralasciando quanto già detto nelle precedenti recensioni in merito a mancanza di empatia con i protagonisti, caratterizzazioni fatte con i piedi, dialoghi sterili e nuclei familiari alle prese con intrallazzi degni della peggior soap-opera pomeridiana di rete4, la vera questione, che si erge a problematica principale dello show, è la staticità. Staticità per quanto riguarda i ritmi della narrazione, staticità nella definizione dei ruoli dei protagonisti, staticità nella sceneggiatura, ripetitiva all’inverosimile, nella fotografia, per nulla stimolante. Insomma, l’esatto opposto di ciò che lo spettatore si aspetterebbe da una serie su un’apocalisse zombie.
Sebbene con l’introduzione di Victor Strand si riesca ad avvertire finalmente una sensazione positiva in termini di interessamento nei confronti di un personaggio, non si può fare a meno di notare la progressiva deriva attuata dai cosiddetti protagonisti della serie. L’inutilità raggiunta da Travis raggiunge qui il suo culmine, scortato dai militari per quello che alla fine si rivelerà un breve tour della periferia di Los Angeles, per poi finire a imbracciare un fucile di precisione e tirarsi indietro nel momento decisivo. Una caratterizzazione, quella del buon padre di famiglia restio a sparare ad un risvegliato, vista e rivista, e che non fa altro che confermare la mancanza di originalità del prodotto, brutta copia dell’opera madre, anch’essa non proprio nel suo periodo di massimo splendore.
Oltremodo fastidioso il personaggio di Moyers, soldato americano stereotipato all’inverosimile e reso volutamente irritante nel disperato tentativo di canalizzare l’odio dello spettatore e creare una sorta di empatia con i civili rinchiusi. Obiettivo che certamente è stato raggiunto, ma che poteva essere centrato senza ricorrere a sequenze imbarazzanti e battute ancor più imbarazzanti come quella su Helen Keller (per chi non lo sapesse scrittrice e attivista sordocieca statunitense).
Unico vero lato positivo dell’episodio la parentesi da torturatore di Daniel Salazar, grazie alla quale scopriamo qualcosina in più sul passato del barbiere e soprattutto unico momento in cui le nostre palpebre non hanno rischiato di calare inesorabilmente. Certamente non uno dei migliori primi incontri col proprio suocero, ma ottima sequenza che ha il pregio di mostrarci quanto il personaggio sia disposto a spingersi oltre per salvare la propria famiglia – anche in questo caso una caratterizzazione già vista, ma gestita in maniera differente grazie all’inaspettato sangue freddo dimostrato dall’uomo nel torturare un ragazzo evidentemente diverso dal resto dei militari di guardia – e che pone Ofelia sotto una luce completamente diversa, complice del rapimento del proprio compagno nonostante sia stato proprio lui a evitare il suo arresto/sequestro a inizio episodio.
Totalmente priva di senso, ma esplicativa circa il vero scopo del personaggio di Alycia (It’s pussy time folks!) la scena della distruzione casalinga insieme al fratellastro Chris “L’Inutile” Manawa. Lo scopo è naturalmente quello di porre l’accento su sul fatto che la cosiddetta famiglia perfetta e la distinzione tra ricco e povero ormai siano concetti privi di qualsivoglia valore – concetto, quest’ultimo, che verrà spiegato con molto più carisma da Victor nel discorso con Nick – oltre che evidenziare lo stato di noia vissuto dai personaggi della serie, evidentemente molto bravi a superare momenti brutti della loro vita grazie a vandalismo gratuito e travestitismo compulsivo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Con Cobalt l’obiettivo era chiaramente quello di mettere carne al fuoco e porre la storia sui binari giusti per un season finale scoppiettante. La realtà è tutt’altra: noia a palate e ben pochi momenti da ricordare. Riponete dunque la pistola ad aria compressa che avete comprato dal vostro sopprimi-bestiame di fiducia e tenete duro ancora per quarantacinque minuti. Nel frattempo Alycia, escile.
Not Fade Away 1×04 | 6.62 milioni – 3.3 rating |
Cobalt 1×05 | 6.66 milioni – 3.4 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.
Non sono del tutto d'accordo. Vero che non riesci ad instaurare un rapporto coi personaggi (ed è certamente grave, lo ha spiegato benissimo yotobi in un video su BrBa), ma intriga molto vedere la estrema velocità con cui il mondo sta andando a rotoli, dato che noi, con TWD, ci ritroviamo catapultati nello step successivo.