Genius 1×08 – Chapter EightTEMPO DI LETTURA 9 min

/
0
(0)

Quando “Genius” venne pubblicizzata dalla sua emittente, National Geographic, il primo nome che compariva, dopo quello di Albert Einstein, era sempre lo stesso: Geoffrey Rush. Inutile sottolineare come la presenza, nei panni del protagonista (e non un protagonista qualunque, bensì una delle più grandi menti della storia), abbia fatto aumentare notevolmente l’attenzione nei confronti della serie. Del resto, non poteva essere altrimenti: l’attore australiano, infatti, è uno dei più grandi attori dei nostri tempi, vincitore di un premio Oscar al miglior attore per “Shine” (curiosamente, anche in quel caso interpretava la versione adulta di un personaggio), nominato altre tre volte (una come miglior attore e due come miglior attore non protagonista) e vincitore anche di un Golden Globe e di un Emmy per “The life and death of Peter Sellers“.
Insomma, la sua performance era forse ancora più attesa dello show in sé per sé. Per questo motivo, gli spettatori potrebbero aver storto il naso quando hanno visto una sua interpretazione “nella norma” nel corso del pilot per poi non ricomparire neanche per un secondo per cinque episodi di fila, lasciando tutto lo spazio al giovane Johnny Flynn. A metà del settimo episodio, eccolo ricomparire di nuovo. Anche in questo caso, però, il suo ritorno non è stato certo trionfale o privo di controversie. In particolare, due sono i punti di criticità: innanzitutto, l’errore pacchiano e grossolano, commesso dalla produzione, per quanto riguarda l’invecchiamento dei personaggi; inoltre, il fatto che, episodio dopo episodio, l’interpretazione di Flynn fosse stata sempre di altissimo livello.
Se queste cose, già state dette nelle passate recensioni, vengono ribadite anche in questa, il motivo è molto semplice: le possibili conseguenze comportate da quei due fattori, dopo essere state accennate in “Chapter Seven”, si sono mostrate in modo ancora più inesorabile.
Certo, è indubbio che, per quanto riguarda l’invecchiamento, il danno sia stato già fatto, e non si potesse riproporre Flynn per interpretare l’Einstein del primo dopoguerra. Allo stesso tempo, però, si sarebbe potuto cercare di limitare i danni. Questo episodio, tra l’altro, era molto probante da questo punto di vista, coprendo un arco temporale di circa quindici anni. Avendo ormai appurato che sarebbe dovuto essere Rush (quasi 66 anni)  l’interprete anche dell’Albert ancora quarantenne, sarebbe stato opportuno qualche accorgimento, come un tentativo di renderlo leggermente più giovane in un periodo e più anziano nell’altro. Ebbene, niente di tutto questo è successo: infatti, le differenze fisiche tra il quarantenne che va a New York con Chaim Weizmann per sponsorizzare la costruzione di un’università ebraica in Palestina e quello che prima si scontra e poi dialoga e collabora con Raymond Geist sono praticamente nulle. Ciò non può che influire negativamente sul giudizio di una serie che sarebbe dovuta essere, complice anche il canale, il più accurata possibile.
Prima del pilot, mai ci saremmo immaginati di preferire la performance di un attore molto poco conosciuto (Jhonny Flynn il cui ruolo più importante è stato, finora, quello in “Lovesick”, comedy inglese ora prodotta da Netflix) a quella di uno degli attori più apprezzati di Hollywood.
Sia chiaro, Rush non è improvvisamente diventato un attore mediocre, la sua interpretazione è senza dubbio valida. Il problema, però, è che ci si aspettava più di una performance valida da un artista del suo calibro, soprattutto perché il ruolo lo permetteva. Mentre il giovane sudafricano è riuscito a dar vita alle molte sfumature di Albert, sempre così insofferente di fronte a certe situazioni, così schietto, e a volte insensibile, ma allo stesso tempo stesso fragile, Rush non mostra pienamente il carattere del suo personaggio, non più frenetico ed entusiasta come un tempo, segnato dall’antisemitismo, dall’età e dall’odio che alcuni suoi colleghi mostrano verso di lui, ma comunque sagace ed estremamente particolare.
Parlando dell’episodio, la scelta di ritornare direttamente alla scena che aveva chiuso il pilot  è dettata soprattutto da una questione di tempo a disposizione: avendo impiegato 7 episodi per coprire 20 anni di vita del grande scienziato, era necessario che qualche parte fosse un po’ trascurata. In ogni caso, il quindicennio che va dalla resa del Kaiser alla richiesta del visto per entrare negli USA è stato in parte trattato nel pilot e in buona parte affrontato anche in questa puntata tramite l’uso di flashback, che hanno lo scopo di rispondere alla domande di Geist, alle questioni lasciate irrisolte nella prima puntata e in altri episodi. Infatti, Geist aveva parlato sin da subito di un primo viaggio a New York, che in questa occasione ci viene prontamente mostrato. Sin dall’incipit della puntata, appare chiaro che la politica sarebbe stata in primo piano rispetto alla scienza, e così è stato. Questo concetto viene ribadito anche dal suddetto viaggio, che Einstein affronta, come detto in precedenza, per costruire un’università ebraica in Palestina.
Visto l’argomento trattato, l’accompagnatore poteva essere uno solo: Chaim Weizmann, chimico bielorusso, leader del movimento sionista e primo Presidente del futuro stato d’Israele. L’attualità di questa questione comporta la massima attenzione e comprensione da parte degli spettatori (e del recensore). Cercare di rapportare Einstein e il suo supporto alla causa sionista alla situazione di oggi (con annesse guerre, insediamenti, condanne ONU e uno stato di guerriglia costante) sarebbe gravemente errato dal punto di vista storico. Semplicemente, egli, da grande pacifista e antirazzista qual era, non poteva sopportare di vedere le bestialità dei pogrom e il trattamento riservato agli ebrei, generalmente poveri, che emigravano (come il piccolo Osip, in un certo senso co-protagonista dell’episodio). Einstein, inoltre, era contrario all’integrazione intesa come non far notare le proprie caratteristiche, non poter farsi fregio della propria storia e cultura. Anche questo argomento, ovviamente, ha forti richiami verso il presente.

A healthy German spirit must deflect from itself the foreign spirit of Judaism, which arises as a dark power everywhere. And which is so clearly designated in everything that belongs to Einstein’s theory. German scientists have a duty to bring enlightenment, to break the power of the dark spirit everywhere possible.

Come detto in precedenza, la politica la fa da padrone, e perfino gli unici momenti teoricamente dedicati alla scienza sono quasi sempre molto orientati verso un’altra direzione. L’esempio più lampante è la discussione per il Nobel, dove si parla solo di ebrei e di razze che vogliono ottenere la gloria, invece che dei contenuti scientifici. Philip Lenard era un grande scienziato, su questo non c’è dubbio, ma le sue convinzioni politiche non lo fecero mai ragionare lucidamente quando si parlava di Einstein o della fisica teorica. Un uomo di scienza, questo, non può permetterselo. Forse, Albert intendeva anche questo, quando diceva a Nicolai che gli scienziati devono stare fuori dalla politica. Un’altra persona che non vi è rimasta fuori è Fritz Haber, e le conseguenze tragiche si sono viste molto bene.
Nel loro incontro, emergono di nuovo due caratteristiche fondamentali di Einstein: l’idealismo e la grande incapacità di conversare senza esprimere, in modo anche brutale, le sue idee. Fritz, anni dopo aver ideato il gas, è un uomo profondamente pentito di quel suo gesto, e questo pentimento non è dovuto solo alla perdita della moglie e alla fine del rapporto con Albert. L’unico momento in cui si parla totalmente di scienza è il dialogo tra Einstein e Niels Bohr, che vincerà il premio Nobel proprio grazie alla fisica quantistica, sulla quale Einstein era abbastanza scettico.

I can understand why a man might want to serve a nation that tells itself a story like that. And I also understand how painful it can be when the myth does not quite fit with the reality.

Il signor Geist, durante la sua prima apparizione, era sembrato un burocrate freddo e anche un po’ ottuso, e sembrava confermare questa impressione anche in questa puntata. Ad un tratto, però, ascoltare le testimonianze dello scienziato non lo ha lasciato indifferente, e allora si è tolto la maschera e ha mostrato la sua vera personalità che è l’esatto contrario di J. Edgar Hoover, un uomo controverso che non si faceva scrupoli a deportare centinaia di famiglie povere solo per la loro origine o credo politico. Geist è una persona cresciuta in una famiglia che, pur non essendo ricca, ad ogni festività portava da mangiare a tutti i poveri della città, senza chiedere affiliazioni o carte d’identità. Raymond Geist, dunque, rappresenta l’essenza di quello che gli USA hanno sempre dichiarato di essere, “the land of the free, the home of the brave”, un Paese che è nato sotto principi di libertà e uguaglianza, ma che non sembra rispettare affatto queste premesse.
Gli anni ’20 e ’30, del resto, avevano mostrato una tendenza molto conservatrice (basti pensare a Warren Harding, il Presidente supportato da Nucky Thompson), ed erano addirittura arrivati a limitare l’ingresso di nuovi migranti, fatto praticamente inedito nella storia del Paese. Quella che fa National Geographic, dunque (non senza richiami alla realtà, anche in questo caso), è sia una critica nei confronti del Paese, ma anche una lode verso quelle persone che, molto di più che non le alte cariche dello Stato, avevano capito l’essenza di appartenere a quel mondo; in particolare, viene celebrato un uomo ordinario, Geist (realmente esistito), che, dal 1933 al 1939, aiutò migliaia di ebrei ad ottenere il visto.
L’ultima questione da risolvere era quella relativa alla visita al figlio Eduard. Questo incontro, realmente accaduto, è la prima e unica volta in cui Einstein incontrò il figlio dopo aver divorziato da Mileva Maric. Per molti, Eduard rappresenta l’unico problema che egli non sia mai riuscito a risolvere. Come tutti gli incontri sentiti ma che hanno alle spalle molte conflittualità, non ci sono stati grandi dialoghi, ma sguardi, poche parole, qualche dolce ricordo, la scusa di un padre che si è reso conto di essere stato tanto geniale nel lavoro quanto insufficiente nella vita familiare. Il finale, con Albert che suona ad Eduard la canzone, esattamente come quando era piccolo, è stata realizzata ottimamente e raggiunge l’obiettivo, condiviso da un po’ tutte le scene di questa puntata, di far riacquisire del tutto la simpatia del pubblico nei confronti di un personaggio che non era stato estremamente popolare a causa del modo in cui ha gestito la relazione con Mileva.
Menzione finale per l’apparizione di J.Edgar Hoover, interpretato da T.R. Knight, e di Adolf Hitler, che appare in modo sfocato, quasi sullo sfondo, quando Lenard entra nel suo ufficio.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Parte politica
  • Presenza di personaggi storici
  • Controversie dell’America
  • Incontro con Eduard
  • Rush bene, ma non eccellente
  • Gestione dell’invecchiamento pessima

 

“Chapter Eight” è un episodio di ottima fattura che, purtroppo per lui, risente di alcuni errori commessi nella puntata precedente e qui protratti. Nonostante ciò, ci sentiamo di ringraziare tiepidamente.

 

Chapter Seven 1×07 1.06 milioni – 0.14 rating
Chapter Eight 1×08  1.05 milioni – 0.16 rating

 

Quanto ti è piaciuta la puntata?

0

Nessun voto per ora

Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.

Precedente

Outcast 2×10 – To The Sea

Prossima

Il Buio Oltre La Serie #14 – Preacher: Easter Egg & Curiosità (Stagione 1)