Sidney: “I think you’re quite strange.”
Jean/Diane: “I actually think I’m quite normal.”
Sidney: “People who say they’re normal never are. They’re always secretly the dysfunctional ones.”
Ci sono serie che toccano il lato più perverso della mente. Ci sono show che non cullano lo spettatore ma anzi lo accompagnano assieme al/alla protagonista in una caduta libera nel vuoto. Gypsy è proprio questo, un thriller psicologico che offre un posto in prima fila per assistere al disfacimento di Jean, una psicoterapeuta in carriera. Jean vuole risolvere i problemi dei suoi paziente, usando anche metodi poco ortodossi, scivola nelle loro vite, entra in contatto con chi non dovrebbe, ha fame di avventura, trasgressione, ombre. Per fare ciò ha costruito un’altra sé, Diane, sensuale, misteriosa e disinibita. Se Jean è metodica, razionale, madre e moglie presente, l’altra lei è lussuriosa, spavalda, e con lei si reinventa o forse si scopre.
Naomi Watts interpreta un personaggio complesso, affascinante e immaturo, un’antieroina sociopatica di cui a poco a poco si conoscono le perversioni, una donna che si dibatte tra ciò che deve e ciò che vorrebbe essere – o che forse è in realtà. Dopo la lite dello scorso episodio con il coniuge, Michael, Jean è ancora più in bilico tra la vita perfetta che vive (con un marito, una figlia, un lavoro appagante) e quella da lei creata (Diane). È chiara la dissociazione che la abita nell’incipit di “309”, il quarto episodio della serie ideata da Lisa Rubin: mentre è in salotto con il coniuge e la figlia, la sua mente corre a Sidney, ripensa alle mani che si sfiorano, al film che hanno visto assieme. In quel salotto, mentre la sua famiglia continua a vivere “normalmente”, lei è di nuovo, ancora per un secondo, Diane, con un profumo diverso, attraente e maledetta, lontana da sé: si tocca e si accoccola tra i ricordi di quella serata passata con Sidney.
È inquietante assistere – ed è sicuramente questo il punto di forza dello show – al mutamento e al disequilibrio che muovono la protagonista: mentre tutto crolla intorno a lei (il matrimonio, il rapporto di coppia, lei), l’altra se stessa prende piede, acquisendo potere. A letto con il marito è triste, quasi incompleta, con Sidney sorride, ma è come se con entrambi la sua identità fosse qualcosa di non definito. Quando è Jean, Diane scalcia come un cavallo imbizzarrito, quando è Diane, Jean si fa prima inondare dal fascino della sua nuova “amica” ma poi tira il freno a mano perché ha tanto da perdere (la figlia è un pensiero indelebile).
In “309” Jean/Diane tenta di fuggire dalla routine quotidiana e scopre assieme a Sidney il suo potere seduttivo, vivendo senza regole (si specchia nella parole di Rebecca, la figlia di una sua paziente: “I was pretty miserable before. […] I was living according to rules that I didn’t necessarily agree with. I’m very really happy”).
“You don’t lie when you’re not doing something wrong.”
Gypsy è una serie sulla menzogna e per comprendere meglio tale tema basta riflettere sui rapporti che Jean/Diane crea, legami non legami perché si fondano sul niente: sia con il marito che con Sidney mente, non dice, indossa maschere. Lei è come quell’indaco che indossa sulle unghie e che Sidney tanto ama perché è un colore che, come Diane, non esiste in natura (“They call it the sixth color of the rainbow, but really it’s just kind of a fantasy”).
È proprio nel dialogo con l’altro che la patologia di Jean emerge, fondamentale è quello con Michael in cui si parla del mentire. Lei insegna al marito a scoprire se qualcuno dice il falso mentre è lei stessa a mentire offrendogli tutti gli strumenti per capire che lei gli sta raccontando bugie su bugie. Come Michael non comprende che quello non è un gioco ma la realtà, nella stessa maniera Jean non comprende di essere in trappola tra le spire di Sidney. Una trappola che si fa sempre più pericolosa, una sorta di enorme labirinto.
Emerge sempre più chiaramente che Jean è proprio come Sam, il suo paziente che ha avuto una relazione con Sidney. Durante le sedute la terapista analizza lui, ma è come se analizzasse anche se stessa, riconosce ciò che prova lei in ciò che sente lui; ancora una volta trasgredisce la deontologia professionale usando il paziente per scoprire nuovi lati di Sidney, insomma Jean è veramente un’antieroina.
A dar corpo alla teoria della menzogna c’è il dialogo con Sidney al bar. Se da una parte Jean/Diane tenta di pungolare la sua giovane “amica” dall’altra ne è sedotta, se da una parte gioca con lei dall’altra “è giocata” da lei. Non è chiaro chi sia vittima e chi carnefice. Emerge dalle poche battute che nella donna convivono due nature da una parte quella che mostra al lavoro, agli amici e alla famiglia, dall’altra quella che mostra a Rebecca e a Sidney con tutto il suo mondo. Le due sembrano creare un angolo a parte penetrabile da coloro che stanno fuori e che rompono quel particolare legame conturbante e pericoloso. Il punto di massima tensione sono la telefonata e l’arrivo di Sam che potrebbero far crollare il castello di sabbia.
Pur essendoci momenti intensi in cui l’episodio e la serie risultano molto riusciti, c’è qualcosa che non torna. La narrazione è certamente perfetta quando si tratta di raccontare le ombre dentro Jean, anche grazie all’interpretazione della Watts, o le pulsioni di Diane, lo è meno quando si accartoccia a causa anche di un ritmo fin troppo lento su lungaggini che appesantiscono un intreccio di per sé accattivante.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Driftwood Lane 1×03 | ND milioni – ND rating |
309 1×04 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.