Il Buio Oltre La Serie #18 – Downton Abbey: Il FilmTEMPO DI LETTURA 11 min

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“We’ve been expecting you.” 

Un invito inaspettato. E’ così che si può definire questo ritorno a Downton Abbey a quattro anni dal series finale.
Dopo aver messo la parola fine ad uno dei gioielli seriali britannici di punta con lo speciale natalizio “The Finale“, andato in onda il 25 dicembre 2015, il produttore Julian Fellowes decide di riportare nuovamente in scena il suo historical period drama per il solo gusto di farlo e inaspettatamente riportare, ancora una volta, i telespettatori a Downton.
L’idea di dare vita ad un seguito della serie con protagonista la famiglia Crawley nasce subito dopo il finale, quando lo stesso Fellowes insieme al produttore Gareth Neame iniziano a considerare e poi buttare giù l’idea di uno script successivo. Con la benedizione della Focus Features e l’Universal Pictures International, ben disposti ad occuparsi della distribuzione, nonché la regia affidata a Michael Engler, a metà del 2018 parte ufficialmente la produzione di Downton Abbey: Il Film.

Il cast
Un progetto che non sarebbe mai stato possibile senza la disponibilità del cast originale. In questi casi risulta sempre estremamente complicato far fronte agli impegni degli attori coinvolti e studiare un piano che permetta la presenza di tutti, “imponendo” alla realizzazione soprattutto quella dei protagonisti principali. Il cast di Downton Abbey è sempre stato un’entità estremamente corale, per cui era fondamentale che all’appello rispondessero praticamente tutti: la sola presenza della famiglia Crawley, ad esempio, sarebbe stata inconcludente se fosse venuta a mancare anche solo metà della servitù o viceversa.
Fortunatamente, i produttori sono riusciti nell’impresa di riunire e riportare in scena in toto sia gli appartenenti al gruppo upstairs che downstairs di Downton, assicurandosi in questo modo buona parte della riuscita del film. Da Hugh Boneville a Elizabeth McGovern, da Michelle Dockery a Laura Carmichael, o ancora da Jim Carter ad Allen Leech, Phyllis Logan e Robert James-Collier, Brendan Coyle e Joanne Froggatt solo per citarne alcuni, tutti riprendono i ruoli che dal 2010 al 2015 e per ben 52 episodi, hanno dato vita al cuore pulsante di questa serie tv.
Non mancano di certo le difficoltà per assicurare la presenza di tutti ma, anche in questi casi, la produzione si dimostra capace nel presentare una trama che rende giustificabile almeno l’assenza di alcuni personaggi più essenziali: se infatti non ci sono accenni alla mancata partecipazione di character come Lady Rose e Lady Rosamund, spicca la ben costruita scusante ritagliata attorno al personaggio di Henry Talbot, presente solo per una parte ristretta del film a causa degli impegni lavorativi di Matthew Goode.
La ciliegina sulla torta, però, arriva con la presenza assicurata di Maggie Smith, da sempre colonna portante della serie con la sua forte presenza scenica e le sue battute ironiche e taglienti; la sua partecipazione non appariva affatto scontata, nonostante una sua eventuale assenza sarebbe stata tristemente e facilmente giustificabile all’interno della narrazione, tuttavia fare a meno di Lady Violet avrebbe senz’altro fatto perdere una delle parti più importanti della caratterizzazione tipica di Downton Abbey, gettando anche un’ombra più triste sull’intera reunion.
Come ogni nuovo capitolo che si rispetti, però, non mancano neanche le new entry all’interno del cast, indispensabili per creare nuova linfa e nuove dinamiche anche tra gli stessi personaggi storici. Con l’inserimento di re Giorgio e della regina Mary interpretati rispettivamente da Simon Jones e Geraldine James, la vera “bomba” risiede tutta nella presenza di Imelda Staunton, qui nei panni di Lady Bagshaw. Un casting abbastanza interno tra l’altro, dato che la Staunton è anche la moglie dell’interprete di Carson, Jim Carter, ma che tuttavia racchiude anche un significato ben più gradevole e profondo che va oltre il nome altisonante dell’attrice. Con la mente al suo ruolo come Dolores Umbridge in Harry Potter, è infatti impossibile non godere della rimpatriata avvenuta in scena tra la Staunton e la ex professoressa McGrannit Maggie Smith, dando vita ad interazioni cariche di ironia e battute taglienti che hanno reso affascinante qualsiasi loro scena.
Tra i nuovi arrivi, poi, spicca anche il personaggio interpretato dalla ex star di Sense8 Tuppence Middleton, nei panni di Lucy Smith. Un personaggio indubbiamente creato ad arte per Tom Branson e che si porta dietro le difficoltà della poca esplorazione concessa dal tempo limitato di un film, ma che per il resto si fa ben apprezzare, rendendo gradevoli entrambi i suoi ruoli, da “mistero familiare” a interesse amoroso per uno per protagonisti.

“The King and Queen are coming to stay.”

La trama
Il ritorno della serie, seppur presentato come un avvenimento a sé, del tutto autonomo e per niente subordinato alle trame principali ormai chiuse a fine sesta stagione, ha mostrato comunque l’abilità degli autori nel creare una storyline perfetta per il mero e semplice scopo del film.
Ancora una volta, Fellowes prende spunto dalla realtà e dalla storia realmente accaduta. Nel 1912, infatti, re Giorgio V e la regina Mary erano stati protagonisti di una visita reale nel sud dello Yorkshire, soggiornando per alcuni giorni a Wentworth Woodhouse (luogo utilizzato nello stesso film per alcune riprese proprio per sottolineare il legame storico), per dimostrare l’importanza della monarchia, dando anch’essi vita ad una quattro giorni di ricevimenti, balli e discorsi.
Reindirizzando la vera storia e adattandola alla trama del film (ambientato invece nel 1927, ossia un anno e mezzo dopo il finale di serie) la storyline che viene presentata racconta proprio della visita del re e della regina alla corte di Lord Grantham. Uno stratagemma ben distribuito proprio perché riesce a creare un’occasione speciale, da evento, che porta tutti i personaggi a ritrovarsi nuovamente insieme nella tenuta dei Crawleys.
La visita reale, poi, si presta bene nel presentarsi come una storyline nettamente corale, che serve a dare materiale sia alla famiglia che alla servitù. Mentre i primi si preoccupano di apparenze, organizzazioni, attentati sventati, balli e altro, il team downstairs si rende invece protagonista della parte più comica, mettendo insieme un giusto mix di elementi dove, a momenti più seriosi, può facilmente seguire la risata facile. Il tutto sempre in perfetto stile Downton Abbey.

Pro e contro di un ritorno sottostante le regole del grande schermo 
Trasportare sul grande schermo una serie tv, caratterizzata da innumerevoli episodi atti a creare e spiegare con calma eventi e situazioni, non è sicuramente cosa da poco. Il tempo limitato di un film rende necessariamente più “compressa” sia la trama che lo sviluppo dei personaggi, portando la narrazione a commettere errori e apparire a volte anche banale. Tra le situazioni per le quali, ad esempio, il film chiede agli spettatori di chiudere un occhio, c’è sicuramente la questione Carson. Il maggiordomo di Downton, ritiratosi nel finale di serie a causa di tremori alle mani che gli impedivano di continuare il suo lavoro, riappare adesso più in forma che mai, senza nessun accenno ai problemi che furono. Una omissione “necessaria” a livello di storia per far rientrare anche il personaggio di Jim Carter nella mischia della trama principale, ma che tuttavia pecca di una mancanza esplicativa.
Banale e poco consistente anche la storyline antagonistica, volta a creare un po’ di suspense e mantenere alta l’attenzione su una problematica apparentemente più corposa rispetto a cene e balli. Sfruttando la presenza dei reali, la scelta di un attentato contro il re risulta semplice e, proprio per questo, troppo ordinaria. Tuttavia, se a livello di trasporto non aggiunge granché, risulta non del tutto malvagia in considerazione del protagonista scelto. Tom Branson era forse l’unico personaggio ad essere rimasto in sospeso nel finale di serie e, soprattutto nelle ultime stagioni, mai propriamente approfondito. Dare più spazio proprio a lui, non solo nella creazione di una nuova love story ma anche nel contesto dell’attentato, si è comunque rivelato un piano funzionante. Al di là delle possibilità narrative dovute alle sue idee politiche in tale contesto, mettere al centro di più situazioni un personaggio “incompiuto” come Tom è valso da ampliamento per il personaggio di Allen Leech senza andare ad intaccare la stabilità ottenuta precedentemente.

Lady Violet & Lady Mary
Pur presentandosi come un’allegra e nostalgica rimpatriata, il film di Downton Abbey non risparmia anche una certa aura di tristezza. Viene ritagliato uno spazio apposito per un giusto commiato a Lady Violet, forse mettendo le mani avanti per un possibile seguito o semplicemente perché nell’ordine delle cose. La matriarca della famiglia racconta della sua malattia, preparando gli spettatori ad un suo addio, e lo fa ufficializzando il lascito della sua eredità morale alla nipote.
Lady Mary è sempre stata sin dall’inizio la protagonista principale non solo della serie, ma anche della stessa tenuta, anche più di Robert. Ancor prima che ne prendesse le redini e che con le sue scelte sentimentali ne definisse le sorti, Downton ha sempre girato prima di tutto intorno a lei. Adesso che Mary si è ufficialmente presa il suo ruolo nello sviluppo e nel mantenimento economico della tenuta, mostrando da tempo di sapersela assolutamente cavare, viene messo in scena il passaggio di consegne anche morale da parte di sua nonna. Lady Violet sarà impossibile da sostituire in scena, ma a livello di storia e nelle dinamiche interne della famiglia, la sua scelta non poteva che ricadere sulla nipote più simile a lei e in grado di replicarne al meglio le veci.
Un ottimo intermezzo utilizzato dagli autori per inserire anche nel film la possibilità di qualche lacrima e, al tempo stesso, omaggiare le due donne da sempre veri capisaldi dell’intera serie.

Capitolo Thomas
Ad inizio recensione, si è accennato di quanto la presenza di tutta la servitù fosse importante ai fini della buona riuscita del film. Questo perché essa è sempre stata una colonna portante della serie, con i vari spazi, anche tra i più importanti, dedicati ad alcuni dei membri dello “staff” della tenuta.
La coralità dello show è sempre stata una delle caratteristiche migliori della serie britannica ma, in questo particolare caso, il team autoriale capitanato da Fellowes, pur facendo un ottimo lavoro in generale, non ha saputo rendere giustizia proprio a tutti i personaggi.
Tra questi, spicca senza dubbio Thomas Barrow, il quale potrebbe essere considerato una vera e propria miniera d’oro per più di un motivo. Specialmente nelle ultime stagioni il personaggio di Barrow è stato messo in ombra, non gli è mai stata data la giusta importanza, nonostante di materiale su cui lavorare ce ne fosse: dalla sua apparente stronzaggine, dietro la quale si nascondeva, fino alla sua omosessualità. Fellowes ha deciso, giustamente, di correre ai ripari, dedicando a Thomas una porzione del film che i fan non hanno potuto non apprezzare. Lo ha fatto mettendo al centro proprio l’omosessualità del personaggio, ma non solo. Ha riportato in scena altre caratteristiche del character, come la sua sempre nascosta insicurezza e quel senso di inferiorità nei confronti di Carson e di ciò che l’anziano maggiordomo rappresenta. I fedeli spettatori si sono ritrovati davanti il solito Barrow ma più maturo, seppur sempre molto “in-character”. Certo, sarebbe stato bello assistere alla sua evoluzione on screen, ma il film non poteva certo fare miracoli e servirebbe una stagione intera per rimediare totalmente. Ci si può certo ritenere sufficientemente soddisfatti della storyline, per una volta non tragica, dedicata a Barrow, anche se i fan più pignoli non potranno non aver storto il naso di fronte a una superficiale gestione della tematica omosessualità, dando forse troppo poco peso alla sua illegalità.

“Downton Abbey is the heart of this community.”

Un ritorno inaspettato dunque, ma non per questo passato in sordina. Il Film è stato altamente soddisfacente sotto tutti i punti di vista. A dicembre 2019, tre mesi dopo il suo primo rilascio ufficiale, i numeri parlano chiaro: 191.8 milioni di incassi ottenuti a livello mondiale, superando nelle prime settimane d’uscita anche film di maggiore risalto come Once Upon A Time In Hollywood di Tarantino.
Un riscontro eccezionale che ha permesso a Julian Fellowes e al suo team di iniziare addirittura a preventivare l’idea di un seguito se il progetto di una nuova allettante trama e la disponibilità del cast lo permettessero. Un pensiero che, tuttavia, potrebbe rivelarsi sia nuovamente positivamente nostalgico che pericoloso. Questo sbarco della serie tv al cinema era infatti indispensabile? Assolutamente no. Downton Abbey si è concluso dopo ben sei stagioni fermandosi al punto giusto, dopo aver dato vita, come accade spesso, ad alcune ultime stagioni sottotono rispetto all’inizio. Un viaggio che aveva trovato la sua giusta conclusione, ponendo le storyline e i personaggi (o almeno la maggior pare) al posto giusto per raccontarne l’addio.
Considerando tutto questo, perché allora il film può tranquillamente passare alla storia come un ritorno non forzato ma, al contrario, ampiamente apprezzato? Il tutto sta nel modo di concepire il prodotto. Downton Abbey: Il Film non era indispensabile perché non aggiunge niente di nuovo o di veramente importante a quanto mostrato dalla serie, allo stesso tempo, però, non cambia le carte in tavola, non sconvolge fatti e situazioni per il solo e semplice desiderio di creare drama da mandare in onda, elemento che sarebbe stato altamente controproducente.
Questo ritorno va dunque preso per quello che è: un puro e semplice regalo ai fan dove a farla da padrone è la nostalgia. Perché tornare a visitare quei luoghi, riascoltare la sempre perfetta colonna sonora, ritrovare quei personaggi che hanno accompagnato sei anni di episodi è stato come tornare indietro nel tempo, come se la serie non fosse mai finita, per ricordare e rendere nuovamente omaggio ad uno show che rimarrà nostalgicamente impresso nel cuore di tutti i suoi fan.

“One hundred years from now, Downton will still be standing, and the Crawleys will still be here.
And that is a promise.”

 

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Articolo scritto da Sara M. in collaborazione con Valentina Stella Marini

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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.

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