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Quando si parla di serie tv, si è soliti dividerle in due gruppi: drama e comedy. Non bisogna commettere l’errore, però, di considerare queste due tipologie come monolitici, dato che al loro interno ci sono sottoinsiemi con caratteristiche ben precise. L’esempio che più interessa, nell’ottica di questa recensione, è quello relativo alla longevità del genere crime, soprattutto se paragonata al genere medical: sebbene sia veramente difficile proporre qualcosa di innovativo, realizzare un ottimo crime è possibile. Servono solo pochi elementi essenziali: una bella messa in scena, attori calati nella parte, ritmo e tensione. Ovviamente, questa formula è abbastanza vaga e non garantisce affatto la nascita di capolavori ma dovrebbe, in linea di massima, evitare prodotti indecenti.
Si prenda ad esempio il procedurale: raramente questo tipo di narrazione si associa a prodotti dalla spiccata qualità, ma può attrarre una certa fetta di pubblico e può risultare, in ultima istanza, assolutamente gradevole. Il genere crime, nel bene o nel male, riesce sempre a cavarsela, tanto che si è ulteriormente rinnovata, in questi ultimi anni, infatti, rinascendo nel genere “true crime”. Come accade sempre più spesso, il fenomeno si è originato sui canali via cavo di qualità, come FX e il suo “American Crime Story: The People v. OJ Simpson”. Al tipo di narrazione mostrata da ACS, si affianca, inoltre, quello della docu-series (“The Jinx”), nel quale vengono ricostruiti i fatti tramite le dichiarazioni e la partecipazione dei protagonisti originali. In ogni caso, il loro successo è stato così travolgente che le reti broadcast non potevano che cercare di emulare questo format. La prima a muoversi, in questo senso, è stata NBC.
Trattandosi di una scelta abbastanza ambiziosa, NBC ha deciso di inserire questa nuova serie all’interno del franchise più longevo attualmente in onda, quello di “Law & Order”. Questa scelta si può ritenere sensata per diverse ragioni: innanzitutto, L&O non è mai stato sinonimo di tv rivoluzionaria alla David Simon, ma ha sempre prodotto show solidi e molto duraturi; inoltre, rivitalizzare un franchise così longevo non può che fare bene.
Date queste premesse, nasce dunque Law & Order True Crime, la cui prima stagione sarà dedicata all’omicidio dei coniugi José e Kitty Menendez nella loro villa a Beverly Hills. Per questo crimine sono stati arrestati i loro due figli, Lyle (il maggiore) ed Eric (il minore) Ad un primo impatto, si potrebbe dire che si sia scelto un caso di livello non così alto; ciò è sicuramente vero per un pubblico italiano o, in generale, non prettamente statunitense, ma negli USA la vicenda ha avuto un seguito molto forte e ha scosso l’opinione pubblica, quindi la frase di cui sopra non può che essere considerata per la maggior parte errata (certo, non ha l’appeal del caso Simpson, ma in quel caso si parla di un qualcosa di fuori categoria, di un evento che per caratteristiche e risonanza mediatica ha ben pochi eguali nella storia). Sin dalle primissime scene, si può notare come ci sia una grande differenza rispetto alla tradizione di Law & Order: la sensazione, infatti, è che si punti ad un prodotto di maggior spessore, più ricercato. Del resto, avendo otto episodi a disposizione, non ci si può certo aspettare una narrazione uguale a quella del classico caso della puntata, con un approfondimento dei personaggi quasi nullo e un focus incentrato quasi esclusivamente sulle indagini vere e proprie (una scelta ormai abbandonata dai crime moderni che puntano ad un approccio a tutto tondo).
Tutte queste novità avrebbero potuto causare una sensazione di smarrimento nell’affezionato pubblico del franchise; per questo motivo, si è deciso di tracciare una sorta di continuità con il passato dal punto di vista grafico: prima di ogni scena sono presenti, infatti, le indicazioni relative alla data e il luogo nel quale si sta svolgendo l’azione. Non poteva mancare, inoltre, il tipico suono (diventato oramai uno dei simboli dello show) che accompagna la schermata nera contenente tali informazioni. Molto probabilmente non è voluto, ma l’abbinamento tra una storia ambientata negli anni ’90 e un font grafico originario di quegli anni è assai riuscito.
Come accennato in precedenza, la volontà è, ovviamente, quella di creare un prodotto di qualità più elevata. Per poter realizzare ciò, non si può prescindere da un’ottima caratterizzazione dei personaggi che, in show con questo formato, hanno un ruolo ancora più centrale del solito. I protagonisti originali della vicenda, da questo punto di vista, danno anche una grande mano a René Balcer, creatore dello show, sceneggiatore dei primi episodi e veterano dell’universo di L&O, nel quale lavora dal 1990, dato che i due figli delle vittime, Erik e Lyle, erano (e presumibilmente sono tutt’ora) dei personaggi assolutamente controversi e fuori dall’ordinario; all’apparenza, Lyle sembrerebbe il vanto della famiglia: serio, studente a Stanford e desideroso di rendere fiero suo padre. Dietro questa apparente situazione idilliaca si nasconde, però, un animo tormentato. Come definire altrimenti una persona che, il giorno dopo aver ucciso i suoi genitori, inizia a dilapidare il loro patrimonio in vestiti, orologi, gioielli e improbabili catene di fast food? Se a ciò si aggiunge il dover mantenere il segreto dell’omicidio, tenere a bada suo fratello e gestire anche la possibile espulsione da Stanford, beh, si capisce bene come sia gravoso il compito che dovrà essere svolto dall’attore che lo interpreta.
Stessa cosa si può dire per l’interprete di Erik: il più piccolo dei Menendez, infatti, si è da subito mostrato come psicologicamente molto fragile (del resto, è in terapia presso uno psicologo) e decisamente più sconvolto del fratello (perlomeno esteriormente) dalla morte dei loro genitori. Alla luce di tutto ciò, sorprende abbastanza la scelta di due attori pressoché sconosciuti, ossia Miles Gaston Villanueva (Lyle) e Gus Harper (Erik). Parlando di questo pilot, Gus Harper non ha sfigurato, mostrando bene la situazione emotiva tutt’altro che stabile nella quale è immerso il suo personaggio. La situazione di Villanueva, invece, è più complessa: sebbene sia vero, infatti, che Lyle sia, tra i due fratelli, quello fermo e razionale che non si fa sopraffare dalle emozioni, è altrettanto vero che la sua prova è stata mediocre, caratterizzata da una inespressività che fa temere molto per gli episodi futuri, quando il suo personaggio (e quello di Harper) sarà messo sempre più alla prova.
A risollevare il tenore della recitazione, come alcune volte accade (pensiamo a “The Bastard Executioner” e alle difficolta dello sconosciuto Lee Jones), ci pensa il cast di contorno, all’interno del quale figurano nomi di veterani della tv come quello di Edie Falco (Carmela Soprano ne “I Soprano” e protagonista delle 7 stagioni di “Nurse Jackie”) e Josh Charles (“The Good Wife”). Nonostante appaiano molto meno rispetto ai due fratelli (e al detective che si occupa delle indagini, interpretato da Sam Jaeger), i loro personaggi sono da subito ben caratterizzati, vivi, e riescono a cogliere l’attenzione dello spettatore. A spiccare è soprattutto l’attrice vincitrice di 4 Emmy Awards e 2 Golden Globes, che qui interpreta Leslie Abramson, l’avvocato difensore dei fratelli Menendez. La peculiarità di questo episodio risiede proprio nel character della Abramson, che è molto lontana dalla trama principale e, inoltre, ha già intuito chiaramente la colpevolezza dei fratelli. Sarà dunque interessante vedere come entrerà in contatto con i futuri imputati e come si svilupperanno le loro relazioni. Charles, invece, interpreta uno psicologo adultero che ha in cura Erik. Anche il suo personaggio, dunque, acquisirà rilevanza col passare degli episodi.
Volendo fare un piccolo riassunto finale, si può definire questo esperimento promosso con voti più che discreti: la sceneggiatura di Balcer, infatti, è all’altezza di un prodotto che vuole essere di spessore. A colpire soprattutto, però, è stata la regia, molto più incisiva di quanto si vede generalmente in un drama broadcast. Leggendo il nome della regista, tutto sembra più chiaro: si tratta, infatti, di Lesli Linka Glatter, la quale ha nel curriculum una nomination all’Oscar, episodi di “Mad Men” e di “Homeland”, tra cui “The Tradition Of Hospitality”, ritenuto da “The Atlantic” uno dei migliori episodi del 2015 televisivo.
Si prenda ad esempio il procedurale: raramente questo tipo di narrazione si associa a prodotti dalla spiccata qualità, ma può attrarre una certa fetta di pubblico e può risultare, in ultima istanza, assolutamente gradevole. Il genere crime, nel bene o nel male, riesce sempre a cavarsela, tanto che si è ulteriormente rinnovata, in questi ultimi anni, infatti, rinascendo nel genere “true crime”. Come accade sempre più spesso, il fenomeno si è originato sui canali via cavo di qualità, come FX e il suo “American Crime Story: The People v. OJ Simpson”. Al tipo di narrazione mostrata da ACS, si affianca, inoltre, quello della docu-series (“The Jinx”), nel quale vengono ricostruiti i fatti tramite le dichiarazioni e la partecipazione dei protagonisti originali. In ogni caso, il loro successo è stato così travolgente che le reti broadcast non potevano che cercare di emulare questo format. La prima a muoversi, in questo senso, è stata NBC.
Trattandosi di una scelta abbastanza ambiziosa, NBC ha deciso di inserire questa nuova serie all’interno del franchise più longevo attualmente in onda, quello di “Law & Order”. Questa scelta si può ritenere sensata per diverse ragioni: innanzitutto, L&O non è mai stato sinonimo di tv rivoluzionaria alla David Simon, ma ha sempre prodotto show solidi e molto duraturi; inoltre, rivitalizzare un franchise così longevo non può che fare bene.
Date queste premesse, nasce dunque Law & Order True Crime, la cui prima stagione sarà dedicata all’omicidio dei coniugi José e Kitty Menendez nella loro villa a Beverly Hills. Per questo crimine sono stati arrestati i loro due figli, Lyle (il maggiore) ed Eric (il minore) Ad un primo impatto, si potrebbe dire che si sia scelto un caso di livello non così alto; ciò è sicuramente vero per un pubblico italiano o, in generale, non prettamente statunitense, ma negli USA la vicenda ha avuto un seguito molto forte e ha scosso l’opinione pubblica, quindi la frase di cui sopra non può che essere considerata per la maggior parte errata (certo, non ha l’appeal del caso Simpson, ma in quel caso si parla di un qualcosa di fuori categoria, di un evento che per caratteristiche e risonanza mediatica ha ben pochi eguali nella storia). Sin dalle primissime scene, si può notare come ci sia una grande differenza rispetto alla tradizione di Law & Order: la sensazione, infatti, è che si punti ad un prodotto di maggior spessore, più ricercato. Del resto, avendo otto episodi a disposizione, non ci si può certo aspettare una narrazione uguale a quella del classico caso della puntata, con un approfondimento dei personaggi quasi nullo e un focus incentrato quasi esclusivamente sulle indagini vere e proprie (una scelta ormai abbandonata dai crime moderni che puntano ad un approccio a tutto tondo).
Tutte queste novità avrebbero potuto causare una sensazione di smarrimento nell’affezionato pubblico del franchise; per questo motivo, si è deciso di tracciare una sorta di continuità con il passato dal punto di vista grafico: prima di ogni scena sono presenti, infatti, le indicazioni relative alla data e il luogo nel quale si sta svolgendo l’azione. Non poteva mancare, inoltre, il tipico suono (diventato oramai uno dei simboli dello show) che accompagna la schermata nera contenente tali informazioni. Molto probabilmente non è voluto, ma l’abbinamento tra una storia ambientata negli anni ’90 e un font grafico originario di quegli anni è assai riuscito.
Come accennato in precedenza, la volontà è, ovviamente, quella di creare un prodotto di qualità più elevata. Per poter realizzare ciò, non si può prescindere da un’ottima caratterizzazione dei personaggi che, in show con questo formato, hanno un ruolo ancora più centrale del solito. I protagonisti originali della vicenda, da questo punto di vista, danno anche una grande mano a René Balcer, creatore dello show, sceneggiatore dei primi episodi e veterano dell’universo di L&O, nel quale lavora dal 1990, dato che i due figli delle vittime, Erik e Lyle, erano (e presumibilmente sono tutt’ora) dei personaggi assolutamente controversi e fuori dall’ordinario; all’apparenza, Lyle sembrerebbe il vanto della famiglia: serio, studente a Stanford e desideroso di rendere fiero suo padre. Dietro questa apparente situazione idilliaca si nasconde, però, un animo tormentato. Come definire altrimenti una persona che, il giorno dopo aver ucciso i suoi genitori, inizia a dilapidare il loro patrimonio in vestiti, orologi, gioielli e improbabili catene di fast food? Se a ciò si aggiunge il dover mantenere il segreto dell’omicidio, tenere a bada suo fratello e gestire anche la possibile espulsione da Stanford, beh, si capisce bene come sia gravoso il compito che dovrà essere svolto dall’attore che lo interpreta.
Stessa cosa si può dire per l’interprete di Erik: il più piccolo dei Menendez, infatti, si è da subito mostrato come psicologicamente molto fragile (del resto, è in terapia presso uno psicologo) e decisamente più sconvolto del fratello (perlomeno esteriormente) dalla morte dei loro genitori. Alla luce di tutto ciò, sorprende abbastanza la scelta di due attori pressoché sconosciuti, ossia Miles Gaston Villanueva (Lyle) e Gus Harper (Erik). Parlando di questo pilot, Gus Harper non ha sfigurato, mostrando bene la situazione emotiva tutt’altro che stabile nella quale è immerso il suo personaggio. La situazione di Villanueva, invece, è più complessa: sebbene sia vero, infatti, che Lyle sia, tra i due fratelli, quello fermo e razionale che non si fa sopraffare dalle emozioni, è altrettanto vero che la sua prova è stata mediocre, caratterizzata da una inespressività che fa temere molto per gli episodi futuri, quando il suo personaggio (e quello di Harper) sarà messo sempre più alla prova.
A risollevare il tenore della recitazione, come alcune volte accade (pensiamo a “The Bastard Executioner” e alle difficolta dello sconosciuto Lee Jones), ci pensa il cast di contorno, all’interno del quale figurano nomi di veterani della tv come quello di Edie Falco (Carmela Soprano ne “I Soprano” e protagonista delle 7 stagioni di “Nurse Jackie”) e Josh Charles (“The Good Wife”). Nonostante appaiano molto meno rispetto ai due fratelli (e al detective che si occupa delle indagini, interpretato da Sam Jaeger), i loro personaggi sono da subito ben caratterizzati, vivi, e riescono a cogliere l’attenzione dello spettatore. A spiccare è soprattutto l’attrice vincitrice di 4 Emmy Awards e 2 Golden Globes, che qui interpreta Leslie Abramson, l’avvocato difensore dei fratelli Menendez. La peculiarità di questo episodio risiede proprio nel character della Abramson, che è molto lontana dalla trama principale e, inoltre, ha già intuito chiaramente la colpevolezza dei fratelli. Sarà dunque interessante vedere come entrerà in contatto con i futuri imputati e come si svilupperanno le loro relazioni. Charles, invece, interpreta uno psicologo adultero che ha in cura Erik. Anche il suo personaggio, dunque, acquisirà rilevanza col passare degli episodi.
Volendo fare un piccolo riassunto finale, si può definire questo esperimento promosso con voti più che discreti: la sceneggiatura di Balcer, infatti, è all’altezza di un prodotto che vuole essere di spessore. A colpire soprattutto, però, è stata la regia, molto più incisiva di quanto si vede generalmente in un drama broadcast. Leggendo il nome della regista, tutto sembra più chiaro: si tratta, infatti, di Lesli Linka Glatter, la quale ha nel curriculum una nomination all’Oscar, episodi di “Mad Men” e di “Homeland”, tra cui “The Tradition Of Hospitality”, ritenuto da “The Atlantic” uno dei migliori episodi del 2015 televisivo.
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Law & Order: True Crime parte decisamente con il piede giusto e dimostra che, lavorando con metodo e avendo le idee ben chiare, anche i network broadcast e, soprattutto, anche franchise ventennali possono rimanere al passo coi tempi (aka al passo con le cable). Per questo motivo, porgiamo i nostri ringraziamenti.
Episode One 1×01 | 6.06 milioni – 1.6 rating |
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Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.