Potrebbe essere l’ultimo pilot della stagione questo “Manhattan Love Story” targato ABC, che ha tutte le carte in regola per essere una buona romantic comedy serie.
I critici d’oltreoceano però non sembrano pensarla allo stesso modo considerando che è stata più o meno stroncata da tutti i lati. Questa recensione quindi verterà principalmente sul confutare le teorie per cui questa serie dovrebbe essere cestinata per affermare che invece, senza tante pretese, fa molto bene quello per cui è nata e per di più, con lo stratagemma del far sentire i pensieri dei personaggi allo spettatore, si discosta dalla comedy bella e fatta a cui siamo abituati.
Critica numero 1: i personaggi sono stereotipati.
Non è che stiamo parlando di Twin Peaks o Game of Thrones, ok? Già dal titolo si capisce che certamente l’obiettivo non era indagare l’animo umano alla ricerca delle passioni e dei sentimenti più perversi e profondi. No. E’ la storia d’amore da commedia americana per eccellenza con tre personaggi: un ragazzo carino e sicuro di sé, una ragazza carina e un po’ imbranata, la città di New York. Sì, perché la Grande Mela, complice la bucket list di Dana, sarà sicuramente protagonista della serie, un po’ come lo era stato ai tempi di Sex and the City. E con questo non si stanno mettendo le due serie sullo stesso livello. Sex and the City era una cosa che aveva ragion d’essere in un tempo e in una società, a cavallo tra anni ’90 e 2000, e qualsiasi intento di replica sarebbe ridicolo e fuori contesto. Questo non impedisce però di usare la città non solo come sfondo (Friends, Will&Grace, How I Met Your mother sono tutte ambientate a New York ma in nessuna di queste la città aveva un ruolo particolarmente importante) ma come personaggio. New York, dopo anni e anni, non smette di regalare emozioni a chi cerca in un “filmetto” o in una serie di poche pretese un po’ di svago e perché no, un’occasione per sognare una vita nella città che gli Americani stessi ci hanno venduto come la città “where dreams are made of”. New York è ancora la gallina dalle uova d’oro per gli sceneggiatori senza idee estreme o particolarmente brillanti. Quindi facendo attenzione a non scadere nella becera comedy senz’arte né parte con dialoghi scontati e banali, e questo non è il caso, che male c’è ad approfittarne?
E se anche gli stessi personaggi di Dana e Peter partono come stereotipi della donna ossessionata dalle borse e dell’uomo ossessionato dalle tette (tra l’altro già nel corso di questa prima puntata si fa notare come in realtà né lei è un’oca stupida e frivola – nella bucket list c’è “dormire nella stessa stanza d’albergo dello scrittore Thomas Wolfe”- né lui il classico tipo senza cervello interessato solo all’aspetto fisico – trova infatti interessante la sopracitata idea) perché questo deve essere necessariamente un difetto? The Big Bang Theory ha costruito 8 stagioni sui personaggi stereotipati dei nerd sfigati negli sport e con le ragazze. Ha questo reso lo show meno divertente e interessante? Chiedetelo ai suoi 18 milioni di spettatori! I dialoghi dei personaggi di Manhattan Love Story sono spiritosi al punto giusto, ironici e per niente banali e quel po’ di romanticismo, chiamiamolo scontato, che c’è è rifilato alla scena finale in cui guardano al tramonto la Statua della Libertà, che poi comunque è sdrammatizzato dalle lacrime di lui e dall’inner thought di lei su se sia gay o no.
Critica numero 2: battute di cattivo gusto come quella sui gay.
Appunto. Se superare problemi sociali come l’omofobia significa che non si può più ridere e scherzare su uno stereotipo non offensivo come la sensibilità dei gay, che nel 2014 deve considerarsi anacronistico o da antiquati infilare una battuta innocente sugli omosessuali in una serie comica, lo si sta facendo nel modo sbagliato.
Per il resto di cattivo gusto c’è ben poco. Nemmeno le fantasie lesbo del marito di Amy, e fratello di Peter, possono rientrare tra queste. Se volete qualcosa di cattivo gusto Recenserie (s)consiglia Selfie, sempre ABC, e paradossalmente considerato da molti di pari livello se non più accettabile di MLS.
Critica numero 3: far sentire i pensieri per mostrare le emozioni non serve, meglio mostrarle con la recitazione.
Certo, tutto il mondo delle comedy, in cui non si lascia molto spazio all’immaginazione dello spettatore o all’introspezione dei personaggi, ci ha abituati a mostrarci con uno sguardo o un’espressione che cosa questi provano veramente o comunque a capire quando mentono o nascondo qualcosa. Ed è vero che, con due attori dal background comedy quali Jake McDorman (Greek) e Analeigh Tipton (Crazy Stupid Love) si poteva saltare la storia dei pensieri espressi e affidare tutto a loro. Invece lo stratagemma è molto carino, anche perché le battute migliori sono contenute proprio nei “monologhi” (finora a dire la verità semplici frasi ad effetto che in genere contrastano quello che il personaggio dice) interiori. Inoltre il sentire i pensieri dei personaggi permette di sapere cosa si scrivono negli sms, saltando la solfa della segreteria telefonica. Il che ci porta all’ultima parte.
Critica numero 4: eccessivo utilizzo del social network.
Non prendiamoci in giro. Già meriterebbe un premio solo per utilizzare messaggi e chat invece della solita segreteria telefonica delle serie americane, tanto utile a mostrare cosa si dicono i personaggi telefonicamente quanto fastidiosa nel suo irrealismo. Per dire, ai tempi di O.C. a me venne anche in mente che forse in America non si usavano proprio gli sms, ma solo i messaggi in segreteria. Detto ciò il tema social network, comparso più e più volte, e in particolare nella scena del finale divertentissima in cui Dana cambia in tutti i modi possibili lo stato sentimentale su facebook (“vedova“), è quanto di più realistico e apprezzabile lo show offra. Se la storia d’amore si prefigura vista e rivista (cene romantiche, fiori per farsi perdonare, regali simpatici e dolci allo stesso tempo) il modo in cui viene mostrata è molto più vicino alla realtà di quanto la maggior parte di film e telefilm non mostri: stalkerare il profilo facebook del/la ragazzo/a con cui si deve uscire è una pratica comune quanto annusarsi le ascelle (scommetto ci sia una legge di Murphy che dice che se ti stai annusando le ascelle l’unica persona a vederti è l’unica da cui non vorresti esser vista); pensare di cambiare lo status in single per non dare l’impressione all’altro che si è troppo presi è stato se non fatto, almeno pensato, da tutti; se si è particolarmente sbadati e imbranati come la nostra Dana si può anche digitare il nome di chi si sta cercando nella barra dello status invece che in quella di ricerca.
Infine, riguardo al “realismo” una piccola nota sul fatto che qualcuno potrebbe puntualizzare come sia impossibile che un’azienda che produce statue e trofei a Manhattan abbia questo gran business come vogliono farci credere. Perché che Carrie Bradshaw vivesse tenendo una rubrica settimanale su un giornale era credibile? Per quanto sia intrigante pensare a perché tra tanti lavori si sia scelto di inventarsi questo per il protagonista, l’idea è che non solo sia funzionale alla storia (trofeo-regalo) ma anche che, seppur ironicamente, si metta in risalto l’americanissimo bisogno di approvazione e apprezzamento, come ben spiega Peter a cena con Dana, rappresentato da inutili trofei senza reale valore. “I’ve been awarded for my mediocrity.” “Then you’re an American.” E una critica, seppure accennata e velata, alla società americana, è anche più di quanto si possa chiedere a una comedy romantica made in USA.
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Con un avvertimento: astenersi pedanti haters wannabe col pallino del cinema d’autore, impegnato e profondo. Questo è uno show che non si prende troppo sul serio per spettatori a cui ogni tanto, o sempre, piace non prendersi troppo sul serio.
Manhattan Love Story 1×01 | 4.28 milioni – 1.3 rating |
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