Dopo una attesa di quasi due anni e una dovuta preparazione lunga metà stagione, il duetto più problematico dell’FBI trova l’occasione per intervistare il non-assassino più temuto dagli Stati Uniti d’America, il famigerato Charles Manson.
L’espediente narrativo per inserire quest’incontro all’interno della fiction è principalmente costituito dall’intento del nuovo membro a capo della task force, Ted Gunn, di donare all’unità una rinnovata notorietà, effettuando una deviazione d’effetto dalle interviste ai pluri-assassini per incontrare il mandante più famoso della storia degli omicidi. L’intervista fu effettivamente compiuta dall’agente speciale John E. Douglas, il vero Holden Ford, ed è raccontata nel suo libro “Mindhunter: Into the FBI’s Elite Serial Crime Unit” (1995), dal quale hanno tratto ispirazione gli autori della serie tv. L’agente Douglas ebbe occasione di intervistare Manson nella prigione di stato di Los Angeles, dove era stato recluso nel 1971 a seguito della condanna a morte per la strage di Cielo Drive, pena successivamente diventata incostituzionale e tramutata quindi in ergastolo nel 1972.
Come raccontato fedelmente nell’episodio, Manson non uccise mai nessuno per mano propria ma istigò al massacro un gruppo di adolescenti che passeranno alla storia per la brutalità compiuta la notte del 9 agosto 1969 al numero 10050 di Cielo Drive, nel quartiere di Bel Air a Los Angeles. In meno di 12 ore quattro ragazzi della cosiddetta “Family”, Charles “Tex” Watson, Susan “Sadie” Atkins, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabia, attentarono al cuore della borghesia americana con il massacro di 7 persone. Tra tutti gli omicidi, quello di Sharon Tate fu destinato a rimanere tristemente impresso nella memoria americana per essere stata uccisa all’età di 26 anni incinta di 8 mesi. Fu proprio il suo sangue ad essere utilizzato per l’iconica scritta “Helter Skelter” ritrovata sullo specchio del bagno e “Pig” sull’anta del frigorifero.
La puntata narra del caso Manson con la sua solita freddezza analitica ma dando forse po’ troppo per scontato, impedendo ad uno spettatore profano di riuscire a star dietro ai numerosi riferimenti all’ideologia di Manson, elemento minimamente contestualizzato durante il brainstorming pre-intervista, in cui invece viene dato un background agli esecutori materiali degli omicidi. La scelta, fatta forse per non tediare lo spettatore con una digressione socio-politica sulla Summer of Love, sul movimento giovanile e gli scontri razziali negli USA è senz’altro funzionale per non allontanarsi troppo dalle brutalità di matrice freudiana che non hanno molto a che vedere con la famiglia Manson. Tuttavia, in questa stagione che sembra indirizzarsi verso pluriomicidi di matrice razziale ed in cui le dinamiche politiche intralciano il lavoro dell’FBI, il contesto operativo di Manson potrebbe essere un’efficace chiave di lettura da riprendere in un secondo momento, così come è stato fatto con Edmund Kemper nella stagione precedente.
Il momento dell’intervista ha comunque un duplice valore, sia estetico sia funzionale, che rende questo quinto episodio il migliore della seconda stagione fino ad adesso. Ad interpretare Charles Manson è l’attore australiano Damon Herriman, che si è aggiudicato il ruolo superando un casting di ben tre provini (alquanto inusuale per un personaggio secondario di una serie tv), e il cui lavoro sul personaggio gli ha fatto guadagnare una seconda interpretazione di Manson nell’ultima pellicola di Tarantino “C’era una volta ad… Hollywood”. L’estrosità che Harriman tira fuori per una resa assolutamente realistica dell’equilibrio tra genio e follia che ha raggelato il sangue di tutti quelli che si sono trovati a tu per tu con la mente criminale, è veramente impressionante. La sciorinata eloquenza da rockstar, con quel tirarsi i capelli all’indietro, e la dialettica profetica plasmano un’interpretazione che la fa da protagonista per 10 minuti di fila e che speriamo di rivedere ancora in futuro.
Il momento Manson non è stato solo bene interpretato, ma anche magistralmente scritto per tirare a galla le insicurezze dell’agente Bill Tench, che si trova in questo episodio più che mai a fare i conti con la tragedia che ha coinvolto suo figlio Brian tra la moglie, il tribunale e assistenti sociali. La rinomata abilità di Charles Manson di saper leggere nella mente delle persone sino a manipolarne le intenzioni arriva quasi a far credere che sia a conoscenza della situazione di Tench, o per lo meno di aver trovato una ferita nella quale rigirare il coltello per gioco, facendo crollare i nervi del suo interlocutore.
Charles Manson: “These children you call the ‘family’, they’re children you didn’t want. You threw ‘em out like trash. So I picked them up off the side of the road. […] Is my fault that your children do what they do? Your own children who you are neglecting?”
La puntata si rivela essere quindi anche un episodio di raccordo, in cui confluiscono i due principali elementi di questa nuova stagione: l’arrivo di Manson sullo schermo e il dramma di Bill Tench, personaggio destinato ad essere ulteriormente approfondito nei prossimi episodi.
Oltre a Tench, l’altro protagonista della stagione è la dottoressa Wendy Carr, la cui sto storia personale si sta arricchendo di dettagli che ci consento di conoscerla sempre meglio. In questo episodio la vediamo per la prima volta vivere la sua omosessualità in una dimensione più intima, e si delinea in maniera sempre più netta il confine sociale tra il lavoro che svolge e il proprio orientamento sessuale. Dopo essersi esposta durante l’intervista con Elmer Wayne Henley nel precedente episodio, qui sembra tornare indietro sui suoi passi assecondando l’interpretazione dei suoi colleghi sull’utilizzo di una presunta omosessualità come mezzo per entrare in confidenza col killer. La direzione presa dal personaggio è ormai chiara, e ci auguriamo che questo conflitto interiore continui a svilupparsi, possibilmente accompagnato da futuri incontri con Henley nei prossimi episodi.
Superata quindi metà della stagione, il personaggio che sembra essere stato lasciato indietro è Holden Ford, il cui capitolo sull’ansia e gli attacchi di panico sembra essere rimasto monco senza avere ancora svolto nessun ruolo all’interno della trama. Dopo che Charles Manson ha fatto da contraltare a Tench, si presume che Holden avrà dedicato più spazio nell’ambito degli omicidi di Atlanta, per i quali sembra essere l’unico a voler indagare sulla traccia del serial killer senza voler scendere a compromessi. Staremo quindi a vedere se le aspettative su questa seconda stagione, raggiunto il culmine in questo episodio, continueranno ad essere assecondate regalandoci magari anche qualche colpo di scena nei filoni narrativi dei singoli protagonisti.
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Episode 2×04 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.