Per la terza, e probabilmente ultima, volta, ci apprestiamo ad una piccolissima digressione sul fenomeno Netflix, con particolare lente di ingrandimento in questa estate 2016. Chi ha avuto modo di seguire le ultime uscite seriali ha potuto notare come siamo stati particolarmente attenti agli aspetti percettivi dello spettatore seriale, nel momento dell’approccio ad una serie della famosa piattaforma. Abbiamo avuto l’omaggio di genere nel celebratissimo Stranger Things, abbiamo avuto il romanzo storico-di costume, con una struttura che per la prima volta divide in due una stagione, quasi violando ciò che ha sempre contraddistinto Netflix (parliamo di The Get Down).
Queste due serie, oltre ad avere in comune con Narcos l’ambientazione di un più o meno recente passato (anche nello stile la prima, esclusivamente nella narrazione la seconda), hanno in comune il fatto di averci stimolato una particolare riflessione: vista la loro estrema velocità negli avvenimenti, aspetto che cattura non di poco l’attenzione dello spettatore e che risponde così all’esigenza binge watching, quanto potranno durare? Andando più sul contingente: la formula di serie-rivelazione si andrà attenuando con una seconda stagione? Possiamo iniziare ad abbozzare una risposta a quest’ultima domanda, almeno per quanto riguarda Narcos.
Rispondere a questa domanda è prematuro, soprattutto alla luce di una 2×01. Dobbiamo prima di tutto chiederci cosa ci è rimasto, un anno dopo, della serie Narcos. Si è detto infatti, sempre nelle già citate digressioni, di come un difetto del rapido consumo di una serie sia quello di tracce meno marcate della memoria. Non ricorderemo tutti i dettagli, semplicemente perché è passato un anno intero e non i pochi mesi estivi che separano due stagioni di una serie broadcast. La nostra mente deve fare un lento riavvio, ed in questo la 2×01 è più che mai funzionale.
Sta di fatto che Narcos ci colpì per la crudezza della narrazione, per il mix tra dettagliato reportage storico e romanzato ciclo epico. L’internazionalizzazione dei dialoghi, con una netta maggioranza di latino-americano in una produzione comunque statunitense, è stata la ciliegina sulla torta, offrendo così al pubblico una finestra verso un altro mondo, così diverso dal familiare Nord America, ma così ben tratteggiato dall’alta tecnica della produzione a stelle e strisce. La bravura del brasiliano Wagner Moura ha reso televisivamente iconica una delle figure più spietate dei passati decenni.
“Free At Last” sembra farci ri-piombare (no pun intended) in quella stessa atmosfera, proprio sfruttando il cliffhanger notturno della fuga di Pablo dalla sua prigione dorata. Allo stesso tempo, si iniziano a distribuire le carte per una nuova mano, creando così nuovi scenari narrativi utili a rendere autonoma la stagione due. La lente di ingrandimento su Limòn e Maritza potrebbe regalare un nuovo scorcio al proletariato colombiano, probabilmente il grande assente dai riflettori dello scorso anno. L’unico modo in cui questo aveva lasciato memoria, infatti, era esattamente come abbiamo visto in questo episodio i cittadini circondare un intenso Pablo: pieni di riverenza e devozione.
L’azione e la violenza sembrano ancora dover decollare del tutto. Il blando inseguimento di Peña dal bordello alla terrazza, l’esecuzione di Jaime e lo sbrocco in aeroporto di Murphy sono solo piccoli assaggi di quello che verosimilmente andremo a vedere nel resto della stagione. O, almeno, si spera.
Resto della stagione che speriamo vivamente non sia condizionato dal terzo cambio di showrunner in due sole stagioni. Adam Fierro (che aveva sostituito Chris Brancato) ha lasciato il posto, per questa seconda stagione, alla coppia Josè Padilha e Eric Newman. Speriamo di non avvertire troppo il cambio e di dire, a fine stagione: “ah già, erano pure cambiati gli showrunner”.
In ultimo, una considerazione su un argomento assai frequente nel nostro paese, soprattutto per le persone non abituate alla narrazione seriale: l’immedesimazione. Alzi la mano chi ha dovuto difendere la propria passione per serie come Romanzo Criminale, Gomorra, Sons Of Anarchy, forse anche Breaking Bad, da persone fermamente convinte che non si debba in nessun modo romanzare e narrare il male. Per quanto ci si sforzi di difendere la propria posizione e soprattutto il diritto di poter narrare ciò che si vuole facendo affidamento sul senso critico e sull’intelligenza degli spettatori, tuttavia difficilmente si riesce a trovare una ferma argomentazione che possa mettere a tacere un’opinione del genere. Probabilmente osservando Wagner Moura, la sua interpretazione fredda e appassionata, la sua totale immedesimazione con un uomo senza mezzi termini malvagio, ecco, noi possiamo sempre far notare di come ciò che è esaltato in forme narrative simili sia proprio l’interpretazione della malvagità. Noi non siamo e non saremo mai dei fan di Pablo Escobar solo perché abbiamo terminato una stagione di Narcos in uno-due giorni. Saremo invece fan sfegatati del finto Escobar di Moura, di questa figura che dalla storia è stata incollata nel piccolo schermo, tenendoci con il fiato sospeso per una decina di ore.
Semplicemente, spiegate questo alle persone: di quanto vi piaccia vedere un attore in grado di convertirsi totalmente a tutto ciò che di peggio l’umanità abbia saputo regalare e vedrete che piano piano scompariranno i talk show e gli inutili editoriali dove tutto ciò che esce dal senso morale comune deve essere spiegato, didattizzato e mitigato.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Despegue 1×10 | ND milioni – ND rating |
Free At Last 2×01 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.