“Tata devi muoverti ora. Pablo ha perso la testa. Ciò che sta progettando avrà delle conseguenze.
[…] I Los Pepes agiscono con un’audacia mai vista. Le dichiarazioni, le dimostrazioni pubbliche… non si fermeranno finché non sarà morto.”
Il profetico Carlos, fratello di Tata, ammoniva così la sorella riguardo quello che sarebbe successo. E, come spesso accade nella finzione narrativa, quando un personaggio sembra l’unico ad avere del sale in zucca in mezzo ad una folla di esaltati e instabili, fa una brutta fine. Infatti al termine di “Los Pepes” ci troviamo con un re nudo: Escobar in trappola e costretto a fuggire insieme alla sua famiglia come topi, costretti a bruciare del vero denaro per riscaldarsi. Fa sorridere pensare al circolo vizioso: diventare narcotrafficanti per fare soldi e poi trovarsi, a causa della posizione raggiunta nel narcotraffico, a dover bruciare, letteralmente, quegli stessi soldi per sopravvivere.
Alla débacle si arriva dopo un’escalation di violenza che percorre la puntata ma che, televisivamente parlando non porta con sé il carico di adrenalina e suspense che dovrebbe.
Nel momento esatto in cui si paventa l’idea del matrimonio della figlia di Gilberto Rodriguez con il classico connubio di festa in grande, volti felici e buoni sentimenti – nonostante si stia sempre parlando di una famiglia di criminali – si intuisce già che il clima di festa sarà funestato dall’annunciata furia di Pablo, cui segue ovviamente la sete di vendetta dell’esponente di spicco del cartello di Calì, consumatasi con la sparatoria finale per mano del commando dei Los Pepes. Nella serie, l’attacco dei Los Pepes alla casa in cui Escobar, famiglia e soci si nascondevano, avviene grazie alla leggerezza della madre che sottovaluta la situazione di pericolo in cui si trovano attirando l’attenzione su di sé pur di andare a messa la notte di Natale. Si tralascia qui tutta una serie di riflessioni sul rapporto criminalità-religione, che balza alla mente spesso quando ci si trova di fronte a narrazioni del mondo della criminalità organizzata. Si fa notare, però, come l’enfasi data all’insistenza della donna nell’uscire di casa nonostante i ripetuti divieti fosse ben premonitrice di quello che poi è effettivamente accaduto. E’ vero che quando si tratta di un racconto storico riguardante fatti realmente accaduti l’aspetto della sorpresa e l’effetto spoiler vengono meno. Proprio la sorte del protagonista ne è esempio calzante: tutti sanno quando è morto Escobar nella realtà, per cui quando si giungerà a vederlo rappresentato in Narcos non sarà certo l’effetto sorpresa quello che gli autori avranno voluto cercare o accentuare.
Il “problema” però è che, in questa puntata in particolare, viene concentrata una serie di fatti non realmente accaduti (nella realtà l’unica sparatoria in cui anche la famiglia di Escobar rimane coinvolta avvenne diversi anni prima rispetto a quanto rappresentato nella serie, come ha recentemente affermato lo stesso figlio di Escobar). Fatti creati o comunque adattati proprio ai fini scenici o narrativi, che centrano magari l’obiettivo di far arrivare allo spettatore l’idea che la guerra contro Escobar stia giungendo al termine, con il cerchio che si stringe intorno al protagonista, ma, paradossalmente, peccano nel creare la giusta attesa sugli eventi che si susseguono. Si era già fatto presente questo problema nella recensione della quarta puntata “The Good, The Bad, and The Dead“.
La stessa deriva, quasi delirante, di Pablo che vuole far fuori tutti, sentendosi Dio in Terra da quando il grande nemico Carrillo è stato eliminato, ha un che di già visto (un Libanese in Romanzo Criminale, per dirne uno). Queste “critiche” non vogliono però togliere i dovuti meriti allo show che, anche in questa puntata, mantiene molte delle qualità per cui, recensione dopo recensione, abbiamo speso parole a profusione. La storia resta sempre ingaggiante, il livello recitativo alto (non ci si stancherà mai di lodare l’attenzione con cui Wagner Moura cura ogni aspetto dell’interpretazione di Pablo; forse un’interpretazione migliore anche di quella di Benicio del Toro nella recente versione cinematografica, anzi…leviamo il “forse”), i dialoghi attenti e studiati che si declinano nei vari linguaggi attinenti alle diverse situazioni e ai diversi personaggi.
Parlando di personaggi, concludiamo con un pensiero su due in particolare, particolarmente antitetici in questa puntata: l’agente Peña e il colonnello Hugo Martinez. Da un lato un poliziotto amareggiato, scoraggiato dalla piega triste che hanno preso tutti gli sforzi di combattere il criminale Escobar che si convince che l’unica soluzione sia allearsi con altri criminali non meno cruenti e non meno “schegge impazzite” ma si trova finalmente faccia a faccia con le conseguenze del suo tenere il piede in due scarpe. Dall’altro il nuovo comandante del Search Bloc, ben più ligio alle procedure rispetto al suo predecessore, Martinez manca sicuramente del fascino e del carisma di Carrillo ma compensa con la sua attinenza alla storicità degli eventi, visto che è il suo personaggio a essere realmente esistito, a differenza di quello di Carrillo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
The Enemies Of My Enemy 2×05 | ND milioni – ND rating |
Los Pepes 2×06 | ND milioni – ND rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora