Qui si parla di Samaritan. L’episodio è Samaritan-centrico, Samaritan ha reclutato in maniera geniale menti, appunto, geniali in un episodio perfetto di qualche settimana fa; Samaritan manipola gli esecutivi. La direzione che la macchina antagonista – il super villain della stagione – prende durante “Prophets” è un rapido crescendo. Greer e la bionda letale appaiono come lontane comparse, Samaritan come il capo spietato che urla ordini di morte, di attacchi e di guerra. Agli occhi dello spettatore la scoperta del responsabile che muove i fili delle importanti elezioni truccate può risultare prevedibile, ma ugualmente sconvolgente. Elezioni svolte ingenuamente (in questo universo narrativo) tramite il solito sistema informatico targato USA. L’escalation è rapida: Simon prevede una vittoria, il risultato è inaspettato, seguono disordini in una sede di partito, ed è un attimo prima di arrivare a fughe e spari.
Ma c’è anche tempo per chiudere due introspettive e intime vicende umane. Tenuto un po’ da parte, Reese si trova a pagare penitenza per quello che forse è uno dei suoi più famosi vezzi. E anche qui: gag goliardiche di uno sparo in un ginocchio, gag da comedy con Fusco che rifila scartoffie d’ufficio a Reese, dialogo con una psicologa degli Affari Interni, storia modificata sulla Carter, ed infine storia vera sulla Carter. Il rifiuto di Reese di continuare con la sua segreta attività, dopo la terribile vicenda della scorsa stagione, nasceva da un malessere che non si era mai chiuso e che solo adesso, con uno sguardo prossimo alle lacrime (sue e forse dello spettatore), riesce a buttare fuori. Il malessere però vede coinvolto un altro membro storico del Team. Finch infatti ha l’onore di chiudere l’episodio con un clamoroso riavvicinamento. Era dai tempi dell’omicidio su commissione da parte di The Machine che l’occhialuto genio non rivolgeva più neanche un saluto alla sua creatura.
Creatura alla quale vediamo muovere i primi passi. E qui si scatenino pure i paragoni. Frankenstein, o comunque un qualsiasi tipo di scienziato pazzo la cui pericolosissima creazione sfugge al suo controllo; Ercole nella culla. Il personaggio mitologico, si narra, strangolò, ancora in fasce, due letali serpenti mandati dalla gelosa Giunone. Capiamo per la prima volta cosa, effettivamente e materialmente, compie la Macchina, qual è il suo modus operandi. Forse quelli bravi avevano già capito/intuito, però ciò che realmente ci viene esplicitata è la natura stessa dello show: una narrazione che cammina come un equilibrista su un filo, tra il thriller e la fantascienza più pura. Ed è questo equilibrio che rende il tutto così unicamente riuscito. Sappiamo benissimo che ciò che ci viene mostrato è una sorta di utopia/distopia riguardante l’evoluzione delle macchine. Questa – chi lo sa? – in futuro potrà spingersi sì tanto avanti, ma la purezza e il controllo divino, raggiunto nella finzione dalla vera protagonista (e antagonista) di PoI, rappresenta l’idealizzazione e la concretizzazione di un’astrattissima e fantasiosa paura. E’ uno spauracchio, l’uomo nero del ventunesimo secolo, o terzo millennio. Una figura orrorifica che sarebbe risultata incomprensibile anche solo un secolo fa (Orwell è stato grande profeta). Anche a noi, di contro, oggi, certe figure stereotipate dell’horror farebbero un po’ ridere. E per ogni essere sovrannaturale vi è uno o più scienziati/maghi/alchimisti dietro la sua creazione. Per questo i flashback (bentornati!) del 2001 hanno un ché di magnificamente inquietante e oscuro (anche se Michael Emerson poteva essere truccato un po’, per apparire 13 anni più giovane). La stanza appare stretta, claustrofobica, buia, circondata da fredde macchine: Finch tenta di far muovere i primi passi alla sua creazione.
E poi c’è Root. Personaggio “fumettistico”, ottima e funzionale macchietta che questa volta appare diversa, forse sofferente. La sua confessione rende uno scenario informatico e tecnologico come romantico, crepuscolare, quasi gotico.
“If she talks, Samaritan would see. I get whispers, new cover identities hidden in the static of a phone, a map and a message encrypted in an infomercial. She was supposed to remake the world. Now God’s on the run. I have to keep going.”
Come in qualsiasi narrazione supereroistica, anche la quasi invincibile Root si trova a fare i conti con una potentissima nemesi. Arriva infatti la conferma che la pericolosa biondona, presentata nella première, altri non è che la “Root di Samaritan”. Si palesa quindi un dualismo dei più classici: castana/bionda, dai modi eccentrici/fredda esecutrice, entrambe impugnano le pistole allo stesso modo, entrambe sono guidate da un’entità informatica. Sebbene l’intera sequenza della sparatoria assuma un ché di “robotico” con movenze da videogame, facendo perdere tutto il romanticismo dell’epicità di alcuni punti nodali degli episodi di PoI, il coinvolgimento è alto e la possibilità – sbattutaci in faccia – di una possibile dipartita del personaggio interpretato da Amy Acker, fa nettamente sbarrare gli occhi.
La guerra è iniziata, e il pensiero della gran quantità di episodi che ancora ci saranno. fa capire come tutto verrà narrato con le giuste tempistiche, tra esplosioni improvvise e lente rivelazioni. Con calma, tra il salvataggio di un numero e l’altro, nella lenta ma costante evoluzione che uno show di cui si parla così poco sa magistralmente portare avanti.
“…things are gonna get much darker.”
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Brotherhood 4×04 | 9.73 milioni – 1.5 rating |
Prophets 4×05 | 9.40 milioni – 1.5 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.