Ancora una volta la serie creata da Christian Spurrier insieme a Luke Franklin e scritta dallo stesso Spurrier con Sofie Forsman e Tove Forsman riesce a cogliere tutti impreparati. Vuoi per un approccio piuttosto diverso rispetto alle prime quattro puntate, vuoi per un deciso cambio di strategia nell’affrontare la conclusione di questa miniserie, va riconosciuto a Spurrier e ai Forsman un certo pelo sullo stomaco che non si vede molto spesso.
Bisogna infatti ammettere che questi ultimi due episodi della miniserie su Spotify non sono stati esattamente come ce li si sarebbe potuti immaginare, e questo, pur non essendo necessariamente un male, non è allo stesso tempo nemmeno un complimento indiretto visto il risultato che porterà il pubblico a dividersi tra critici e sostenitori. E va bene così visto che il viaggio di Daniel Ek e della sua piattaforma non è ancora terminato.
REALTÀ VS CRITICA
Partire dall’episodio finale è obbligatorio perché si pone in netta contraddizione con il resto della miniserie per via di quel salto inaspettato da passato a futuro, ovvero dalla riproposizione di fatti realmente accaduti a supposizioni sugli eventi che potrebbero aspettare Daniel Ek nel 2024 e 2025. Una scelta audace che potrà giustamente non soddisfare tutti i palati e che, sempre giustamente, può essere disprezzata per il brusco ed inatteso cambio.
Christian Spurrier, che firma la sceneggiatura di “L’Artista”, si era non a caso riservato il cambio di prospettiva con il focus sull’artista per il gran finale ma invece che mostrare il cambiamento dall’epoca pre-Spotify a quella con-Spotify, opta per focalizzarsi solo su quest’ultima volutamente ignorando tutto il discorso riguardante la pirateria ed il file sharing che è stato invece parte integrante della miniserie. È quindi palese la critica, anche piuttosto aspra e poco velata, verso il fondatore di Spotify e anche verso l’assenza di una soluzione che possa dare il giusto ritorno economico a chi, effettivamente, tiene in vita la piattaforma.
Da questo punto di vista ora ha anche senso la creazione del character fittizio di Bobby T, cantante che in realtà non esiste ma che serve lo scopo di Spurrier alimentando il lato fiction della storyline. La difficoltà ad arrivare a fine mese, la mancata trasparenza negli introiti, un monopolio che esiste con il benestare di tutte le major musicali: tutti elementi che emergono prepotentemente nel series finale e a cui viene data una possibile soluzione a cui nella realtà non si è ancora arrivati.
Che piaccia o meno, è apprezzabile il tentativo (un po’ fazioso) di portare alla luce una problematica di cui non si parla molto ma di cui invece si dovrebbe parlare.
Senator Madison Landy: “So, the musicians are on the labels, the labels own part of Spotify, Spotify decides which musicians get promoted, and then the income from the streams goes straight back to those labels. What part of that does not sound like a cartel?”
Daniel Ek: “We’re not a cartel.”
Senator Madison Landy: “You control the market. You’re in bed with your suppliers. And then, at every turn, you use your reach and your technology to drive down the share that you pay musicians, to pay the people that depend on you and your platform to make a living wage. Can you seriously sit there and tell me that in any other part of the world, this would be considered acceptable?“
MARTIN “BIG COCK” LORENTZON
Procedendo come dei gamberi, sulla falsa riga del finale c’è anche la puntata che lo precede, quel “Il Partner” che, pur non osando addentrarsi in futuri possibili, propone un approccio comunque diverso rispetto agli episodi che l’hanno preceduto.
Partendo dalla registrazione di un podcast, è infatti lo stesso Martin Lorentzon a raccontare gli eventi salienti che hanno portato dalla nascita di Spotify al 2018, anno in cui ha fatto un passo indietro all’interno dell’azienda. Un approccio molto soggettivo anche qua e diverso rispetto alle aspettative maturate in “La Legge” e “Il Programmatore“, ma un approccio che risulta comunque estremamente funzionale alla narrazione e che può far leva su un’ottima recitazione bilingue di Christian Hillborg che regge benissimo la scena rispetto ad altri attori protagonisti.
Rispetto a “L’Artista”, l’episodio con protagonista Martin Lorentzon non soffre degli stessi difetti in quanto si è scelto di evitare l’ennesimo racconto dal suo punto di vista, che avrebbe potuto essere potenzialmente ripetitivo, e si è optato per farlo con alcuni salti temporali che hanno palesemente aiutato il ritmo e la narrazione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Giunti alla conclusione di questi sei episodi, The Playlist si conferma una gran bella sorpresa del catalogo Netflix grazie ad un approccio diverso dal solito e nonostante un episodio finale divisivo che devia dalla realtà basandosi completamente su possibili eventi futuri. Daniel Ek sicuramente non l’avrà presa bene ma una buona fetta di spettatori si.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.