Roar 1×01 – The Woman Who DisappearedTEMPO DI LETTURA 4 min

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Roar 1x01 Recensione PilotRoar è l’ultimo singolare esperimento prodotto da una sempre più intraprendente Apple Tv+. In particolare, Roar è una serie antologica formata da otto episodi, che sono stati rilasciati tutti insieme, tradendo le normali modalità di release del servizio streaming di Cupertino.
Ad azzardare un paragone, si potrebbe affiancare a serie come Black Mirror o Love, Death & Robots, show antologici che hanno fatto la fortuna della rivale Netflix. Tuttavia, la differenza con Roar sta nella tematica di fondo, con l’intento di voler raccontare come le donne navighino attraverso la percezione che gli altri hanno di loro stesse. Un insieme di otto storie, considerate dagli autori come “darkly comic feminist fables“. Inoltre, un cast di nutriti attori, anche di calibro, arricchiscono il valore produttivo di quello che sulla carta si presenta come un progetto coi fiocchi. Lo show di Liz Flahive e Carly Mensch (le menti dietro GLOW) saprà mantenere le aspettative? Sicuramente “The Woman Who Disappeared” no.

ESTETICA E STRANEZZE: APPLE®


Ci sono alcune caratteristiche che stanno sempre più delineando dei format che seguono i principali competitors dello streaming. Apple sta costruendo una propria nicchia, fatta di produzioni più o meno riuscite ma senz’altro curate a fondo. Proprio come se fosse un iPhone, ogni serie Apple ha un’estetica invidiabile, e Roar non fa affatto eccezione. Anzi, ancor di più si può ammirare una fotografia curata, a partire dalle scenografie minimaliste ma allo stesso tempo così piene di significato.
L’altro elemento molto presente è invece l’assurdo. Così come in Severance, per fare un paragone recente, anche in “The Woman Who Disapperead” il surrealismo la fa da padrone, sostituendosi a quella componente distopica presente invece in Black Mirror. Infatti, la trama narrata nel pilot subisce una brusca sterzata a metà puntata, quando da semplice racconto ordinario, non esente da critica sociale, diventa un qualcosa a metà tra il surreale e il paranormale, senza motivazione alcuna.

TEMATICHE INCORAGGIANTI


L’idea alla base di Roar è lodevole e apprezzabile. Il voler dare ancor di più voce alle donne, con una serie di storie che volutamente esagerano nel raccontare ancora disagi nell’esser donna oggi nel ventunesimo secolo, è un’operazione da ammirare. E infatti anche in “The Woman Who Disappeared” si evincono tutte queste tematiche. La feroce critica sociale parte banalmente dalla fotocamera automatica, incapace di scattare una foto alla protagonista Wanda Shepard (interpretata da Issa Rae) a causa del colore della sua pelle. Wanda viene così “marchiata” sul suo cartellino da visita con un N/A, simbolo di un razzismo malcelato.
Rae è impeccabile nonostante la breve durata (circa 30 minuti) dell’episodio. Lo spettatore riesce ad empatizzare con lei anche e soprattutto grazie al suo essere imperfetta. Solitamente i protagonisti appaiono sempre come modelli ideali di bellezza, con fisici marmorei e perfetti. La scelta alla base di Roar, però, è quella di voler raccontare storie possibilmente globali, includendo quante più donne possibili. Proprio per questo, la scena in cui Wanda si gode finalmente la sua fama meritata, ballando in costume senza un fisico da top-model ai piedi della sua piscina sullo skyline di Los Angeles, risulta un ottimo punto a favore.

SPARIZIONI INGIUSTIFICATE


Dall’altro canto, però, bisogna parlare dell’elefante nella stanza. “The Woman Who Disappeared” finisce praticamente sul più bello. Dopo che Wanda trascorre metà episodio inspiegabilmente invisibile per chiunque altro, si passa ai titoli di coda, senza fornire alcuna spiegazione. Certo, il tutto è una metafora di come le donne in alcuni contesti vengono deliberatamente estromesse, prendendo un’opera originale al femminile personalissima come un’autobiografia per trasformarla in qualcosa di totalmente diverso. Ed è infatti degno di nota tutto ciò, inclusa la composizione del team di sviluppo (tutti maschi bianchi) per quello che dovrebbe essere praticamente una specie di “being black (women) for dummies“.
Peccato, perché la puntata promette bene mettendo abbastanza carne al fuoco, ma alla fine risulta semplicemente monca. Come se mancasse un epilogo, un qualcosa che spieghi comunque la trama sviluppata fino a quel momento, che viene invece lasciata appesa ad un filo. Va benissimo la critica sociale, le tematiche affrontate e le metafore, ma calate nel contesto seriale necessitano comunque di rispondere ad un paradigma narrativo che in “The Woman Who Disappeared” viene semplicemente snobbato.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Fotografia e scenografie curate come al solito per un prodotto Apple Tv+
  • La critica sociale già presente prima di sfociare nell’assurdo
  • La scelta di una protagonista dal fisico “normale”
  • Tutto mandato all’aria da una trama senza spiegazioni, che accade semplicemente perché sì

 

Il voto assegnato è ovviamente da intendersi per “The Woman Who Disappeared” e non per l’intera serie. Essendo Roar un’opera antologica, potrebbe comunque alternare episodi come questo ad altri ben più riusciti; tuttavia è da condannare la scelta di presentare un progetto così potenzialmente utile dal punto di vista sociale con un episodio pilota senza capo né coda.

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Giovane musicista e cineasta famoso tra le pareti di casa sua. Si sta addestrando nell'uso della Forza, ma in realtà gli basterebbe spostare un vaso come Massimo Troisi. Se volete farlo contento regalategli dei Lego, se volete farlo arrabbiare toccategli Sergio Leone. Inizia a recensire per dare sfogo alla sua valvola di critico, anche se nessuno glielo aveva chiesto.

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