Chiunque segua la nostra ultima pazzia che riporta il nome di The Lady ben saprà che, in certi contesti e precise “poetiche”, semplicemente evitiamo di sparare a zero sul soggetto delle nostre analisi, lì dove i difetti e le cadute di stile sono chiare come il sole, conservando l’approccio opposto a serie di successo (leggasi The Walking Dead e The Big Bang Theory) più meritevoli di accurate riflessioni. Arrivati alla fine di questa stagione d’esordio, quindi, non ci serve più capire cosa la serie rappresenti o voglia raccontare, se le “Regine Urlanti” di Murphy “ci sono o ci fanno”, perché fatti ormai assodati e più che assimilati dalle nostre, a questo punto, provate menti. No, quei tempi sono abbondantemente conclusi, facendosi largo, invece, quello della resa dei conti, che accompagna sia il nostro giudizio spettatoriale sia quello degli stessi personaggi, che si trovano a dover in qualche modo (molto vagamente, certo) riflettere sulle proprie vite, sconvolte dalle atrocità perpetrate dal serial killer.
Partiamo dal primo punto, quello che più ci riguarda: cos’ha dato Scream Queens a quest’ultima stagione televisiva? Pura e semplice follia, formata da tanto divertente non-sense, velata sì da una critica alla società odierna, dominata dalle vuote apparenze, e volendo al sistema elitario delle confraternite universitarie, ma che rimane comunque naturalmente sullo sfondo. Tutta questa delirante struttura è accompagnata, infatti, da un senso di incompiutezza perenne, che risalta il suo essere un mero esercizio stilistico, per quanto spiritoso e piacevole. Un esercizio purtroppo neanche così sfruttato a dovere, scaduto troppo spesso nella ridondanza, dai monologhi infiniti di Chanel alla riproposizione costante della Munch in veste di sospettata, vero leitmotiv dell’intera stagione e, visto il finale che mette una pietra sopra su una sua possibile complicità (mai davvero credibile), utile solo solo a non farci diffidare del reale assassino: in sintesi, l’episodio “Black Friday”.
Negli USA il cosiddetto “Venerdì Nero”, come molti sapranno, equivale al giorno successivo alla festività del “Thanksgiving“, in cui tradizionalmente gli americani si danno allo shopping selvaggio, grazie ai puntuali ribassi concessi per l’occasione dai negozianti, e che va inoltre fatto coincidere con l’apertura della stagione natalizia. Sorvolando sulla povertà della scelta dei titoli da parte di Ryan Murphy & co., si può facilmente intuire come “Black Friday” sia strettamente collegato all’episodio precedente, fungendo allo stesso tempo da ponte per i due successivi. L’unica grande utilità della puntata (minuti conclusivi a parte) è così riscontrabile nella sola scena dell’attacco del Red Devil alle Chanel (condita da una fantastica entrata in scena di Denise, che ci mancava da ormai troppo tempo), messa lì per eliminare da ogni sospetto le ragazze in pericolo. Ingegnosamente, come apprenderemo nella già citata ultima sequenza, dietro l’aggressione c’è Pete, colpo di scena dell’episodio, nonché raccordo diretto con il doppio season (series?) finale.
L'”i am a murderer” confessato da Pete, chiude infatti “Black Friday”, aprendo, allo stesso tempo, “Dorkus”, in una lunga e straniante sequenza di confronto con l’amata Grace. Straniante, sì, nel suo essere dopotutto un prologo, confondendo inverosimilmente lo spettatore, rendendo chiara ancora una volta l’entita della libertà espressiva di cui Ryan Murphy gode nel mettere in scena la sua creatura, possa essa piacere o meno, naturalmente.
L’infinito sproloquio di Pete possiede così una duplice valenza: quella psicologica, che lo vede cercare di redimere la sua immagine agli occhi dell’amata, adesso sconvolta; quella narrativa, che presenta, con la sua rivelazione in punto di morte, il tema su cui girerà tutto l’episodio, ovvero l’identità dell’ultimo killer rimasto. L’unica vera certezza, ed è forse il più grande pregio di Murphy, visti toni e stilemi che farebbero inizialmente propendere per il contrario, è data dal fatto che in fondo una certa, se non rilevante, curiosità sull’identità del serial killer in questione è ben presente. A testimonianza di ciò, presumiamo, si può leggere la crescita del rating nella corsa finale, messaggio che dopotutto lo spettatore si deve essere appassionato alla vicenda, da cui si evince così il successo dell’operazione, almeno su questo punto. Dalla paternità dei gemelli, alla complicità di Gigi e Boone, tutta la ricostruzione della “ragazza morta nella vasca”, centellinata episodio dopo episodio, è stata quindi abbastanza ben gestita e ben fatta, aspetto che, facendo paragoni con l’altra concorrente “slasher” dei tempi recenti, lo Scream di MTV, non è da considerarsi tanto banale.
“Dorkus” è un intero episodio fondato così sul “depistaggio”, presentandosi fuorviante fin dal titolo. Murphy, per la penultima volta, “riflette” (forse il termine più esatto sarebbe “gigioneggia”) sul genere horror/crime e sui suoi tipici escamotage narrativi, atti ad ingannare lo spettatore fino all’ultimo. A partire dal più palese, ovvero l’ambiguo e per questo ben congegnato montaggio alternato tra Chanel n° 5 ed Hester, sospettate “finali”, arrivando alla geniale ripresa della stessa Dorkus, ragazza orrendamente sfigurata nel “Pilot” e quasi completamente dimenticata, sono tanti i meccanismi devianti che si susseguono per i quaranta minuti (fin dalla bomba fatta esplodere nella casa, con quasi tutte le consorelle presenti).
Il “metacinematografico” (più che televisivo, visti i riferimenti), domina pure il reparto “investigativo”, che coinvolge, ovviamente, Grace e Zayday, nonché il padre della prima, al solito in pieno stile “Scream Queens”. E con stile intendiamo l’assenza totale di alcun realismo narrativo. I personaggi si comportano con dell’insana sufficienza, quasi come se sapessero di essere all’interno di un racconto di finzione, seguendo semplicemente i canoni del genere, come nel dialogo tra Grace e suo padre, dove decidono come agire, con battute completamente prive di senso; o compiendo atti estremi o fuori dall’ordinario, che nella loro situazione appaiono però completamente normali, vedi l’intrusione nell’ufficio della Munch, o, ancor più palesemente, i tentativi di omicidio alla Preside in “Black Friday” che farebbero invidia ai Keating Five privi di scrupolo di How To Get Away With Murder (peccato che lì ci si prenda parecchio sul serio).
L’episodio potrebbe quindi sembrare nient’altro che un episodio preparatorio alla rivelazione finale, ma va invece inteso come un arguto e sorprendente gioco continuo con lo spettatore e con la cultura horror tutta, che trova il suo apice di “trollaggio” (perdonate il termine, ma rende al meglio l’idea) nella scena finale, con l’individuazione ultima del killer, poi sonoramente smentita nei primi istanti dell’episodio successivo.
La “Final Girl(s)” nel gergo del cinema horror o, ancor meglio, slasher, sta ad indicare la ragazza che, alla fine del film, sopravvive al massacro del killer di turno e in Scream Queens, malgrado le premesse, alla fine ce ne sono tante (a proposito, delizioso easter egg, non sappiamo se consapevole o meno: Abigal Breslin, l’attrice che interpreta Chanel n°5 ha recitato in un film, di quest’anno, dal titolo praticamente omonimo, nella parte proprio della cosiddetta “Final Girl”, per quanto ironicamente rovesciata).
Partiamo ovviamente da Hester, ovvero dal killer che questa volta la scampa, come informa lei stessa direttamente il pubblico, in un incredibile quanto ingegnoso soliloquio introduttivo (visto il citato finale dell’episodio precedente). Quell’Hester interpretata da Lea Michele, “musa” di Ryan Murphy (nel suo essere star di Glee, col tempo diventata sempre più indiscussa protagonista), che qui sembrava invece relegata ad un ruolo perlopiù macchiettistico e di contorno, almeno nei presupposti iniziali, in un cast che comprendeva pop star di fama mondiale del calibro di Ariana Grande e Nick Jonas e attrici navigate nonché “cinematografiche” come Emma Roberts, la stessa Abigail Breslin e ovviamente Jamie Lee Curtis. Eppure, proprio per questo, il suo ruolo marginale, col senno di poi, poteva in qualche modo rappresentare il primo vero segnale d’allarme, avvalorato, successivamente, dal crescere dello spessore del personaggio, puntata dopo puntata: la rivelazione, complice anche, come detto, la sua messa in scena anticlimatica, giunge quasi come un “anti-colpo di scena”, apparendo in qualche modo addirittura ovvia, malgrado non lo sia affatto stata.
Quello che ci importa maggiormente, però, e ci rincuora alla grande, è che soprattutto tale rivelazione si sia rivelata oltremodo coerente. Il timore che riguardava l’identità dell’assassino, a un certo punto, ci avrebbe visto di fronte ad un assassino privo di alcuna logica narrativa, invece, proprio nella sua naturalezza espositiva, tutto sembra filare alla perfezione (l’unico neo è quello della crescita di Hester e Boone nel Manicomio e, quindi, nell’assenza di un loro ritratto da parte della pazza pittrice). Il principale bersaglio di Murphy in “The Final Girl(s)”, come si è ben capito, sono gli “spiegoni” del genere di riferimento, qui, in un’estrema e irresistibile parodia, articolati fino allo sfinimento. L’ultimo e irriverente lascito della consistente presa in giro dell’autore, perciò, vede lo scontrarsi tra la coerenza interna della storia di Hester con la sua totale irrazionalità della messa in atto del suo piano di vendetta, tra inverosimili noncuranze degli enti pubblici e amministrativi (dalla stessa Preside a Denise), attori di basso calibro e circostanze improbabilmente favorevoli.
Le vere Final Girls, almeno seguendo l’accezione del termine, sono così le vittime scampate al serial killer, ossia Grace e Zayday, le tre Chanel (incolpate sì, ma comunque vive), la direttrice Munch e il nuovo astro nascente dell’FBI (!) Denise (Dio sia lodato). Dopotutto, lo show si è sempre chiamato Scream Queens, per cui la sua predilezione per il genere femminile vale come vera e propria dichiarazione d’intenti, fin dal principio. Il New New Feminism, per citare il libro della Munch, vede quindi vincere le donne contro gli uomini, non solo nella sopravvivenza (il conto dei morti vede una certa supremazia maschile, a partire dai killer Boone e Pete) quanto a livello sociale e morale (il padre di Grace sceglie la Munch alla figlia; il sessuomane cronico Chad cede il suo cuore a Denise, prima che lei glielo frantumi in mille pezzi). Eppure, alla fine della fiera, il motivo per cui queste donne non hanno condiviso il tragico destino di tante altre loro “colleghe” (nella sola eccezione, di trama, della famiglia Gardner ovviamente), non è poi così chiaro, almeno seguendo la concezione classica (e, probabilmente, sta qui l’errore) dello sviluppo narrativo del genere.
La Final Girl, infatti, non è solo colei che alla fine semplicemente “sopravvive”, ma lo fa perché spesso più intelligente di altri, più sveglia, più “pura” nell’animo e che, nel corso della vicenda, ha fatto tesoro delle terribili esperienze provate. E, invece, chi è la “Regina” delle sopravvissute in questo show (dimenticando per un attimo gli ultimi secondi di puntata)? Ovviamente Chanel Oberlin. Nell’ultima prova di una straordinaria, e forse fraintesa da tutti, Emma Roberts, ci troviamo di fronte all’emblema dell’ironia nera di Murphy. Colei che era sempre accusata di essere l’assassino, poi vittima in teoria n°1 del killer, costantemente al centro del ciclone dell’odio e del disgusto del proprio ambiente sociale, contenente più spiragli di crescita psicologica rispetto a tutte le altre (dato il suo protagonismo indiscusso, se non altro), ci chiarisce incondizionatamente che qui la “Final Girl”, almeno per come la intendiamo, non esiste affatto. Chanel, per quanto per un istante ce lo voglia far credere, non impara dai propri errori né si redime, ma anzi continua il suo operato dispotico ed egocentrico all’interno del manicomio. Così come non ci sono vincitori neanche nel restante gruppo protagonista: Grace e Zayday sorreggeranno la loro “nuova” e rivoluzionaria idea di confraternita non solo nella menzogna (non sapendo che in realtà l’artefice di tutto è proprio lì accanto a loro), ma perlopiù ignorate (come testimonia il numero verde che non riceve nessuna chiamata), dimostrando come l’intera esperienza alla fine non abbia trovato alcun riscontro morale, in un perfetto specchio della società dove, ancora e per l’ultima volta, non esiste memoria storica e conta solo il presente, in tutto il suo fugace e vuoto “apparire”.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Thanksgiving 1×10 | 1.98 milioni – 0.8 rating |
Black Friday 1×11 | 2.40 milioni – 0.9 rating |
Dorkus 1×12 | 2.53 milioni – 0.9 rating |
The Final Girl(s) 1×13 | 2.53 milioni – 0.9 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.