4.3
(3)
Come universalmente riconosciuto dal mondo degli appassionati televisivi non casuali, HBO porta sullo schermo da quasi vent’anni ormai prodotti di altissimo spessore con stupefacente continuità, e si conferma puntualmente come una delle migliori, molto probabilmente la migliore, tra le case produttrici americane che si dedicano alla creazione di prodotti televisivi.
Quando viene presentato quindi uno show televisivo di HBO, le aspettative ad accompagnarlo non possono non essere enormi. Difficile, anzi impossibile però che tutte le produzioni di un’emittente escano per il verso giusto, spetta quindi a queste ultime nascondere abilmente gli scheletri nell’armadio, coprendoli con fiumi di grandissimo materiale.
Una delle produzioni che passerà con tutta probabilità nel dimenticatoio è quella più recente, ovvero il family drama Succession. Prima di analizzarla è opportuna un’ulteriore precisazione: cercando di cavalcare il successo planetario riscosso da This Is Us, molte case produttrici hanno battuto fortemente la strada del genere sopracitato, ottenendo ovviamente risultati alterni. Rimanendo però in casa Home Box Office, con la memoria ancora rivolta a quel grande pezzo di televisione che fu Six Feet Under, ad inizio anno c’era già stato un tentativo particolare di dare vita ad un family drama. Here & Now però ha deluso fortemente le aspettative, con un’impostazione da famiglia Benetton ed un plot confusionario, non particolarmente apprezzati da critica e pubblico.
A livello creativo Succession si presenta molto lontana dal family drama precedente, cancellato dopo soltanto una stagione visti gli scarsi riscontri, e si avvicina più a tre show che hanno dato all’alta società quel qualcosa in più che serviva per farla entrare nelle case degli appassionati, ovvero Dynasty, Trust e Billions.
A differenza degli ultimi due show, la serie di Jesse Armstrong presenta delle debolezze in più punti, al pari del primo. Spicca tra tutti la difficoltà per lo spettatore di interessarsi alle vicende della famiglia Roy, che vive di personaggi costruiti su degli odiosi cliché da famiglia altolocata. Il problema di scrittura ben più grave è però quello che si presenta al termine della puntata, quando il padre viene improvvisamente colpito da un infarto. La prevedibilità dell’evento e il fatto che sia accaduto in maniera così repentina portano a pensare che tutte le cartucce degli sceneggiatori fossero puntate direttamente sulla prima puntata e che non ci fosse un’idea di continuità particolare. Un espediente banale, considerando che l’episodio batte in maniera molto decisa quella via, e che potrebbe peggiorare se lo steso Logan Roy (interpretato da Brian Cox) dovesse abbandonare la compagnia.
Poco bene anche il comparto tecnico, dove regia e fotografia risultano a tratti snervanti. Il cambio continuo di piano, un meccanismo ripetuto così tante volte in una sola ora da stancare l’occhio alla lunga, vede l’inquadratura passare solitamente da quello medio, che copre una parte più ampia di figura, al primo e spesso anche al primissimo, un esercizio che appare completamente inutile e anzi controproducente, considerando quanto poco si entri veramente all’interno della psiche dei personaggi e quanto sia difficile immedesimarsi nella loro situazione.
Un peccato perché la scenografia si presenta in maniera suggestiva, con gli attori che sembrano a proprio agio nell’interpretare il proprio ruolo. Il fatto di rappresentare dei cliché, infatti, pur lasciando a desiderare dal punto di vista dell’approfondimento psicologico dei personaggi, esalta il ruolo degli interpreti, specialmente di Jeremy Strong, incredibilmente convincente nella parte di Kendall, il figlio inetto bersaglio preferito del padre e dei fratelli.
L’unica nota probabilmente del tutto positiva è la figura di Greg, un cugino dei quattro fratelli che conferisce ad un contesto molto lontano dal suo standard di “ragazzo in cerca di un’identità che si droga per risolvere i suoi problemi” un po’ di colore. La sua presenza non condiziona particolarmente gli eventi da subito, il suo ruolo sarà presumibilmente quello di scalare la gerarchia familiare e di ingraziarsi in qualche modo le simpatie dei padroni di casa. Non sarà una svolta narrativa eccezionale ma per il pubblico non c’erano molti rami a cui appaiarsi e una figura più vicina alla realtà delle persone più comuni fa sempre comodo, considerando la difficoltà di immedesimazione nel resto dei personaggi.
Quando viene presentato quindi uno show televisivo di HBO, le aspettative ad accompagnarlo non possono non essere enormi. Difficile, anzi impossibile però che tutte le produzioni di un’emittente escano per il verso giusto, spetta quindi a queste ultime nascondere abilmente gli scheletri nell’armadio, coprendoli con fiumi di grandissimo materiale.
Una delle produzioni che passerà con tutta probabilità nel dimenticatoio è quella più recente, ovvero il family drama Succession. Prima di analizzarla è opportuna un’ulteriore precisazione: cercando di cavalcare il successo planetario riscosso da This Is Us, molte case produttrici hanno battuto fortemente la strada del genere sopracitato, ottenendo ovviamente risultati alterni. Rimanendo però in casa Home Box Office, con la memoria ancora rivolta a quel grande pezzo di televisione che fu Six Feet Under, ad inizio anno c’era già stato un tentativo particolare di dare vita ad un family drama. Here & Now però ha deluso fortemente le aspettative, con un’impostazione da famiglia Benetton ed un plot confusionario, non particolarmente apprezzati da critica e pubblico.
A livello creativo Succession si presenta molto lontana dal family drama precedente, cancellato dopo soltanto una stagione visti gli scarsi riscontri, e si avvicina più a tre show che hanno dato all’alta società quel qualcosa in più che serviva per farla entrare nelle case degli appassionati, ovvero Dynasty, Trust e Billions.
A differenza degli ultimi due show, la serie di Jesse Armstrong presenta delle debolezze in più punti, al pari del primo. Spicca tra tutti la difficoltà per lo spettatore di interessarsi alle vicende della famiglia Roy, che vive di personaggi costruiti su degli odiosi cliché da famiglia altolocata. Il problema di scrittura ben più grave è però quello che si presenta al termine della puntata, quando il padre viene improvvisamente colpito da un infarto. La prevedibilità dell’evento e il fatto che sia accaduto in maniera così repentina portano a pensare che tutte le cartucce degli sceneggiatori fossero puntate direttamente sulla prima puntata e che non ci fosse un’idea di continuità particolare. Un espediente banale, considerando che l’episodio batte in maniera molto decisa quella via, e che potrebbe peggiorare se lo steso Logan Roy (interpretato da Brian Cox) dovesse abbandonare la compagnia.
Poco bene anche il comparto tecnico, dove regia e fotografia risultano a tratti snervanti. Il cambio continuo di piano, un meccanismo ripetuto così tante volte in una sola ora da stancare l’occhio alla lunga, vede l’inquadratura passare solitamente da quello medio, che copre una parte più ampia di figura, al primo e spesso anche al primissimo, un esercizio che appare completamente inutile e anzi controproducente, considerando quanto poco si entri veramente all’interno della psiche dei personaggi e quanto sia difficile immedesimarsi nella loro situazione.
Un peccato perché la scenografia si presenta in maniera suggestiva, con gli attori che sembrano a proprio agio nell’interpretare il proprio ruolo. Il fatto di rappresentare dei cliché, infatti, pur lasciando a desiderare dal punto di vista dell’approfondimento psicologico dei personaggi, esalta il ruolo degli interpreti, specialmente di Jeremy Strong, incredibilmente convincente nella parte di Kendall, il figlio inetto bersaglio preferito del padre e dei fratelli.
L’unica nota probabilmente del tutto positiva è la figura di Greg, un cugino dei quattro fratelli che conferisce ad un contesto molto lontano dal suo standard di “ragazzo in cerca di un’identità che si droga per risolvere i suoi problemi” un po’ di colore. La sua presenza non condiziona particolarmente gli eventi da subito, il suo ruolo sarà presumibilmente quello di scalare la gerarchia familiare e di ingraziarsi in qualche modo le simpatie dei padroni di casa. Non sarà una svolta narrativa eccezionale ma per il pubblico non c’erano molti rami a cui appaiarsi e una figura più vicina alla realtà delle persone più comuni fa sempre comodo, considerando la difficoltà di immedesimazione nel resto dei personaggi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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La prima puntata di Succession purtroppo non è stata in linea di massima un grandissimo successo: una scrittura basica, una regia rudimentale e snervante unita a problematiche legate ad un tentativo, probabilmente sperimentale, di HBO di mettere in scena un family drama di alto rango (narrativa complicata quanto attuale) hanno compromesso il successo del primo episodio. Dopo il fallimento di Here & Now ad inizio anno il tempo di improvvisare per la compagnia Newyorkese è sempre meno, tirare fuori un Six Feet Under 2.0 non è impresa da poco, certo per ora il risultato sperato sembra lontanissimo.
Celebration 1×01 | 0.58 milioni – 0.15 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.
Ho iniziato la serie dopo che ho visto che ha vinto l’emmy! Beh datemi 84 numeri che gioco gli altri 6