Buona notte a tutti. Torna anche questa settimana il Late Night Show, l’appuntamento bimensile più atteso dagli appassionati delle serie tv e dagli stessi recensori di Recenserie, finalmente chiamati a dire la loro con opinioni non richieste al di fuori delle “restrizioni” delle recensioni. Così come i famosi Late Night Show americani da cui traiamo apertamente ispirazione, anche questo appuntamento, previsto ogni due giovedì notte, è necessariamente costituito da alcuni “ospiti” che in quest’occasione portano il nome di Eros, Giulia e Marco.
Il tema di questo quinto appuntamento riguarda la sempre più numerosa concorrenza venutasi a creare nel mondo delle piattaforme streaming. La guerra è ufficialmente aperta, ne uscirà vincitore solo uno o ormai c’è spazio un po’ per tutti? La parola ai nostri esperti…
- In un’intervista Kevin Spacey ha detto che dallo sviluppo di Netflix & Co. è emerso che basta dare agli spettatori ciò che vogliono, quando lo vogliono e questi saranno disposti a pagare piuttosto che rubare. Pensi che le piattaforme si siano adagiate su questa convinzione, mettendo in secondo piano l’abbonato – che comunque non scappa e spostando la guerra tra loro sulla realizzazione di prodotti originali?
EROS: Non c’è dubbio che le piattaforme streaming abbiano completamente rivoluzionato il modo di approcciarsi ai prodotti seriali, e non solo: relativamente per pochi dollari si possono guardare gli show che si vogliono con la massima qualità e nei momenti desiderati, senza, per i “pirati”, dover avere a che fare con la ricerca e la qualità dei video, magari sentendosi anche a posto con la propria coscienza. Effettivamente si può parlare di una vera e propria guerra tra i prodotti originali delle varie piattaforme dato che ormai quasi ogni canale televisivo ha il proprio strumento di divulgazione on demand e quindi i vari prestiti e concessioni non potranno far altro che ridursi fino quasi a sparire. Di fatto chi ha i migliori prodotti originali, assieme ad un’ottima offerta economica, ha tutte le carte in regola per vincere se non la guerra, almeno una battaglia.GIULIA: Non credo si stia mettendo da parte l’abbonato. Credo che il punto sia cosa intenda per “servizio” chi paga: qualità e quantità di contenuti. La guerra tra “originals” credo sia una strategia di branding (una serie di produzione Netflix è – o era – garanzia di una certa qualità produttiva e ti differenzia dal competitor), e di marketing di fidelizzazione: assicura quell’eterogeneità di prodotto che da un lato cerca di parlare alla più ampia platea possibile, dall’altra crea quel rapporto di fedeltà che scoraggia dal disattivare il servizio.
MARCO: Per esperienza personale posso dire che una volta provata la comodità della piattaforma streaming legale è impossibile tornare a tutte le scomodità dei vecchi mezzi di fruizione delle serie (sia quelli legali, come il passaggio televisivo, sia i vari siti illegali). Sicuramente non tutti fanno questo mio ragionamento, ma sono dell’idea, come Spacey all’epoca, che la maggior parte della gente preferisca pagare, ovviamente a prezzi ragionevoli, per avere un servizio comodo e di qualità, piuttosto che tornare a piratare e combattere contro virus e moleste pubblicità pop up. Quindi sì, l’abbonato sta lì e non scappa. O meglio, non scappa finché l’offerta lo soddisfa più di quella delle altre piattaforme. E se fino a qualche anno fa Netflix non aveva rivali nel suo stesso settore, adesso la concorrenza si è fatta spietata, quindi la guerra è inevitabile. C’è da dire che questa situazione, se da un lato frammenta l’offerta e ci obbliga, se proprio non vogliamo spendere un capitale in dieci abbonamenti mensili, a privilegiare una piattaforma piuttosto che un’altra, dall’altro obbliga le stesse a dare il meglio di sé per creare prodotti originali che coniughino qualità e successo. Senza questa concorrenza, forse Amazon non avrebbe mai prodotto The Boys, oppure Hulu non avrebbe mai sfornato The Handmaid’s Tale. Viviamo in un’epoca d’oro per la serialità, in una bolla che potrebbe esplodere da un momento all’altro ma che per ora regge, e finché regge ce la godiamo.
- Cosa pensi del tentativo – già fallito – di diversificarsi della piattaforma Quibi, con le sue serie da smartphone da dieci minuti ad episodio, che è durato appena 6 mesi? Esperimento perso in partenza? Perché?
EROS: Quibi è stato un esperimento audace, forse troppo avanguardista per la nostra epoca. Nonostante il suo fallimento, l’idea di base potrebbe essere il primo passo verso un nuovo modo di approcciarsi ai prodotti seriali. Personalmente credo sia troppo presto per trarre delle conclusioni in merito, forse ci vorrà qualche anno per vedere se qualcuno riuscirà a prendere l’eredità di Quibi e portarla al successo. Per quanto riguarda dal punto di vista finanziario non può che definirsi un vero e proprio buco nell’acqua.GIULIA: Sicuramente il lancio poco prima dell’ inizio della pandemia, quando l’utilizzo dei mezzi di trasporto – una delle sedi principali per un servizio streaming dedicato alla visione di contenuti da dieci minuti – è drasticamente calato, non avrà aiutato. Al netto di questo, probabilmente c’è stato un disallineamento tra il mezzo e il contenuto. Chi guarda contenuti brevi su smartphone è già soddisfatto e abbastanza stimolato da Instagram TV, TikTok e YouTube e Quibi non offriva il giusto intrattenimento in linea con la visione superficiale di contenuti che accompagna l’utilizzo di uno smartphone.
MARCO: L’idea alla base di Quibi non era male, perché anche se Netflix, Amazon Prime Video, Disney+ e compagnia cantante sono utilizzabili da cellulare, non sono servizi ideati primariamente per quello strumento. Il formato stesso delle serie e degli episodi poco si adatta alla visione quando si è fuori casa, che so, alla fermata dell’autobus o in viaggio in treno: sono prodotti da guardare al pc o meglio ancora in tv, non se sono di corsa e ho appena dieci minuti liberi. Quibi, quindi, andava a esplorare un terreno quasi completamente vergine, poteva fare la differenza. L’errore di Katzenberg e Whitman è stato imbarcarsi in questa impresa con un’offerta limitata, nonostante i tanti soldi spesi e i tanti grandi nomi coinvolti: i contenuti effettivamente offerti erano pochi e, a giudicare da quello che ho potuto visionare, nemmeno così memorabili. Certo, ha influito anche lo scoppio della pandemia da covid-19, che ha limitato gli spostamenti e quindi ha fatto venire meno il motivo per cui Quibi era stata pensata. Forse, senza coronavirus, Quibi sarebbe rimasta a galla ancora un po’ prima di sprofondare lo stesso, forse sarebbe riuscita a garantirsi una fetta di pubblico appassionato per andare avanti; ma la storia non si fa con i se, o sbaglio?
- Vista la mole di piattaforme attualmente disponibile e tutte quelle che arriveranno in futuro, a quali verosimilmente pensate di iscrivervi e, soprattutto, perché?
EROS: Oltre a Netflix e Prime Video, alle quali sono già iscritto, attualmente non ho intenzione di abbonarmi ad altre piattaforme. Con questo non è detto che non lo farò, se Disney+ dovesse ampliare i propri orizzonti e HBO Max riuscisse a produrre prodotti originali di elevata qualità queste potrebbero essere ottime candidate. Anche Apple+ non è tuttavia da escludere.GIULIA: In questo momento io penso di essere iscritta – da sola o in compagnia – a tutti i servizi di streaming presenti in Italia. Guardare contenuti “televisivi” è sia passione che lavoro per me quindi non credo che mi fermerò mai. Forse dovrò mettere un tetto alla spesa ma finché qualcuno racconterà una storia io pagherò per vederla.
MARCO: Io resto fedele a Netflix finché troverò nel suo catalogo roba da vedere, e ce n’è veramente tanta, ma mi intriga molto Apple Tv+. Fin dal suo lancio ha dimostrato di voler fare le cose in grande, esordendo contemporaneamente in tantissimi paesi e offrendo una certa varietà di contenuti per genere e per audience. Certamente il catalogo non è tra i più ricchi, ma ha tra le mani alcuni diritti interessanti, come quelli sul ciclo della Fondazione di Asimov (saga che idolatro a dir poco). Inoltre la Apple è un colosso e può investire tutti i soldi che vuole nella sua divisione streaming, quindi ne vedremo delle belle in futuro.
- Sarebbe facile dire che al momento c’è un solo vincitore – Netflix – ma nei prossimi anni secondo voi chi e per quale motivo prevarrà? E soprattutto, in tutto ciò, che fine faranno i canali generalisti?
EROS: Partiamo dal secondo quesito, io credo che i canali generalisti continueranno in ogni caso ad esistere, nel bene o nel male, anche in seguito al boom delle piattaforme on-demand questi stanno sopravvivendo per diversi motivi: gli adulti ed anziani sono sicuramente più affezionati a questo mezzo e lo trovano più semplice ed intuitivo, inoltre è in questo mezzo che prevalgono i reality show, gli sport, i tg ed altri tipi di programmi. Per quanto riguarda la prima domanda Netflix è attualmente l’indiscussa regina delle piattaforme streaming legale, ma i tempi del Covid-19 ci stanno insegnando che tutto può cambiare, anche in un istante. La piattaforma californiana accresce ogni anno i propri introiti ma anche i propri debiti, bastano un paio di investimenti pesanti sbagliati per far crollare il castello di carte messo in piedi magistralmente fino ad ora.GIULIA: Sul tema “canali generalisti/Netflix & Co.” credo che dovremmo distinguere tra tipo di contenuto e tipo di servizio. Per quanto riguarda quest’ultimo, anche i cosiddetti canali generalisti si sono adeguati al consumo on demand creando piattaforme di streaming dei loro contenuti perché se non ti adatti soccombi. Per quanto riguarda il contenuto… beh, anche se a noi divoratori di serie TV sembra impossibile, non soltanto di scripted in stile “Netflix” vive l’uomo… ma anche di quiz, fiction all’italiana, intrattenimento live, ecc. Gli addetti ai lavori lo dicono da anni combattendo strenuamente il luogo comune che vuole la TV morta e sepolta: LA TV RESTA CENTRALE, almeno ancora per qualche anno, dai! Che magari quando avremo settant’anni anche noi avremo bisogno delle certezze che ti dà un Bonolis che scavicchia ma non apre o una Maria che apre la busta.
MARCO: Fare delle previsioni è difficile. Netflix ha un catalogo vastissimo, ma nei prossimi anni rischia di annaspare di fronte ai colossi Amazon, Disney ed Apple. Disney, dal canto suo, possiede decine e decine di licenze, potrebbe tirar fuori centinaia di prodotti audiovisivi e almeno la metà sarebbero successi assicurati; ma è concentrata su un pubblico di giovani e giovanissimi (il che non esclude che le sue produzioni siano godibilissime anche per uno spettatore più smaliziato, ci mancherebbe). Prime Video, invece, dopo anni e anni in cui ha sempre fatto la figura della cugina sfigata e meno popolare di Netflix, ha fatto il colpaccio con The Boys che è forse la serie più chiacchierata dell’ultimo biennio, e con il progetto sul Signore degli Anelli potrebbe dar vita a un altro fenomeno mediatico; di sicuro ha la voglia di osare e i soldi non mancano. Anche Apple Tv+ non è da sottovalutare, come già detto. Quanto alle piattaforme nate come “costola” di network già preesistenti, come HBO Max, Starz Play, CBS All Access o Peacock, temo che non riusciranno mai a imporsi davvero come seri concorrenti, ma potrebbero ritagliarsi la loro fetta di pubblico.
Anche il futuro dei canali generalisti non è facile da prevedere. Sono sopravvissuti alla concorrenza dei canali via cavo, che dalla fine degli anni ’90 in poi si sono sempre più imposti con prodotti originali, innovativi e di grande successo: ma in quel caso si trattava comunque dello stesso medium, la televisione, mentre le piattaforme streaming sono qualcosa di ben diverso. Di sicuro c’è chi ha capito che bisogna giocare sul nuovo terreno, la nascita dei già citati CBS All Access e Peacock lo dimostrano; ma come già detto, dubito saranno mai concorrenti degni di nota per i grandi colossi dello streaming.
Grazie e buona notte a tutti.
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