Molte space operas immaginano la Terra del futuro come un pianeta derelitto, ai margini della grande espansione umana nella galassia, quando non addirittura abbandonato e dimenticato. Basti pensare a una saga titanica come Dune, in cui il pianeta blu è a malapena menzionato, o al ciclo della Fondazione di Isaac Asimov, in cui la patria dell’umanità è devastata dalle radiazioni e la memoria della sua stessa esistenza si è persa nei meandri dell’oblio. Questo discorso non è mai valso per Star Trek e non si applica nemmeno alla terza stagione di Discovery, in cui anzi il terzo pianeta dal Sole diventa l’ambientazione di una puntata dal sapore classico, incentrata sulla difficoltà della settimana da risolvere e impreziosita dalla regia di Jonathan Frakes, che solo qualche mese fa riprendeva i panni di William Riker in Star Trek: Picard.
Tuttavia, la Terra del 3189 non è la stessa vista finora nella saga. La Federazione non esiste più, e così il pianeta su cui la stessa fu fondata mille anni prima è diventato un mondo autonomo, isolato e autosufficiente, impegnato a sopravvivere piuttosto che a inseguire il sogno di ricostruire un’istituzione ormai defunta. Le avveniristiche tecnologie del lontano futuro non bastano a nascondere il senso di decadenza che traspare dall’intera ambientazione: il cinismo degli ufficiali terrestri, la scelta di isolarsi dal resto della galassia, la mancanza di comunicazioni con la colonia di Titano sono tutti segnali di una regressione dell’umanità. Nulla di irreversibile, come dimostra la risoluzione delle ostilità con i misteriosi predoni a caccia di dilitio, in seguito all’intervento della Discovery: ma questo è anche uno dei grossi difetti dell’episodio, perché è difficile sospendere l’incredulità di fronte a un conflitto che dura da anni e che si risolve in poche scene. Fosse così semplice risolvere le guerre nella realtà!
Il vero, grande problema di “People of Earth”, però, è la solita Michael Burnham. Da parte degli sceneggiatori c’è la volontà, pregevole a dirla tutta, di trasporre sullo schermo la tempesta di sentimenti che attanaglia il cuore della protagonista: da un lato ci sono la gioia di aver riabbracciato i compagni e il desiderio di tornare a essere parte della ciurma della Discovery, dall’altro non si possono cancellare le esperienze fatte nell’ultimo anno, trascorso in giro per la galassia a raccogliere informazioni e a improvvisarsi corriere, sperimentando una libertà e un’indipendenza mai provate fino a quel momento. Purtroppo, la squadra di Kurtzman non conosce la raffinatezza e l’eleganza, quindi rappresenta il tutto attraverso scene inutilmente melodrammatiche e caricate emotivamente, in cui Michael non fa che inumidirsi gli occhi e commuoversi mentre si fa prendere dalle paturnie di turno e frigna prima di accettare di essere il Numero Uno di Saru.
E a proposito di Saru, ci si poteva risparmiare la sua “consacrazione” a capitano della Discovery solo in seguito al riconoscimento di Michael: il Kelpiano ha dimostrato più volte le proprie qualità, non c’era bisogno che la protagonista più insopportabile di tutta la saga Trek avesse l’ultima parola, in nome di chissà quale autorità fittizia.
Va meglio sul fronte Stamets: messo da parte il rapporto complicato col dottor Culbert, l’astromicologo si trova a dover interagire con il genio adolescente Adira. Il personaggio era stato già annunciato come il primo non-binario di Star Trek, ma al di là della chiara mossa fatta in nome dell’inclusione, Adira rappresenta un’interessante new entry per la sua natura ibrida: è unita a un simbionte Trill, specie che effettivamente mancava da questa nuova serie. E non si tratta nemmeno di un simbionte qualsiasi, ma dello stesso precedentemente unito a Senna Tal, l’ammiraglio il cui messaggio ha condotto Michael e la Discovery sulla Terra. Il fatto che Adira sia una terrestre, poi, la rende ancora più interessante, perché finora nella saga i simbionti si sono uniti soltanto a un’altra specie umanoide, i Trill appunto, e mai a un essere umano. Insomma, questo nuovo personaggio si porta appresso una serie di potenzialità che, si spera, Discovery saprà cogliere a dovere.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.