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Trainwreck è il titolo di un pessimo film del 2015 con protagonisti Amy Schumer e Bill Hader, in cui hanno recitato tra gli altri niente meno che LeBron James e John Cena. Il titolo prende il nome da un modo di dire classico americano utilizzato per definire un disastro ferroviario in senso letterale, ma è anche, nel caso che più ci interessa, il miglior modo per descrivere al meglio l’andamento della seconda stagione di The Terror, intitolata Infamy che ha chiuso ufficialmente la stagione a seguito del decimo episodio.
Per parlare con assoluta onestà intellettuale “Into The Afterlife” ha rappresentato probabilmente il miglior momento dell’intero arco narrativo dello show, incentrato per lo più su continui cambi di passo, errori grossolani di sceneggiatura e inserimenti in corso d’opera di nuove sottotrame. Per certi versi l’episodio finale ha lasciato un buon ricordo della stagione passata, restituendo l’aria di un’ambientazione eccezionale a livello storico e dando ai personaggi quel tocco di spirito e inquietudine che era rimasto ancorato alla memoria delle primissime puntate. Allo stesso tempo però un episodio tutto sommato più che buono soltanto nell’occasione finale rende il disastro delle puntate precedenti difficile da digerire e molto complicato da accettare per chi da casa ha perso quasi dieci ore di vita davanti al televisore, specialmente perché una serie ha il compito di costruire un ending che sia in linea con il resto del prodotto, non una stella in mezzo alla nebbia.
La sequenza iniziale con Yamato apre subito le porte al titolo indicativo dell’episodio e ai fatti realmente accaduti. L’uomo non capisce immediatamente per quale motivo il suo vecchio amico insieme alla sua intera famiglia siano arrivati nel posto in cui lui sta riposando, più facile per lo spettatore immaginare invece il motivo della “visita”. La sequenza restituisce la difficoltà nell’affrontare un’emozione del genere: la gioia di rivedere un amico spenta dalla tragedia, il contrasto tra chi festeggia e chi muore rasenta il livello della malinconia che lo show ha saputo esprimere nel migliori dei modi nella sua prima stagione e che non era mai uscita con questa carica narrativa in Infamy.
Anche il termine delle disavventure del protagonista Chester, che rappresentano il punto meno legato alla realtà storica dei fatti, risultano godibili e pieni di significati legati al suo passato e al legame con la sua famiglia.
La conclusione della vicenda dello Yuko che si decompone in un gesto fortemente simbolico in cui sembra quasi riavvicinarsi al suo spirito, e di Chester, che viaggia con la mente a giorni migliori, in cui lui ed Henry erano felici e spensierati all’interno di una barca, per quanto venute fuori al termine di uno showdown deludente, rielaborano l’idea iniziale del protagonista e ci consegnano una personalità profondamente mutata, che nel momento del viaggio mentale si ricollega con sé stesso dimenticando tutti i problemi e le difficoltà, un sentimento che non ha mai provato fuori da quel contesto, esclusi i momenti in cui ha tenuto in braccio il figlio.
Il messaggio finale richiama il ricordo dei fatti: è importante non lasciare andare chi ci ha amato, portarli sempre a mente non solo per non dimenticarli ma anche per ricordare chi siamo noi e da dove arriviamo. La serie di fotografie che immortala il cast con i cari persi e tornati a casa durante la seconda guerra mondiale chiude idealmente il cerchio, un gesto onorevole che mostra l’importanza di tutti i concetti espressi e della ricerca continua di chi ci ha preceduto.
Per parlare con assoluta onestà intellettuale “Into The Afterlife” ha rappresentato probabilmente il miglior momento dell’intero arco narrativo dello show, incentrato per lo più su continui cambi di passo, errori grossolani di sceneggiatura e inserimenti in corso d’opera di nuove sottotrame. Per certi versi l’episodio finale ha lasciato un buon ricordo della stagione passata, restituendo l’aria di un’ambientazione eccezionale a livello storico e dando ai personaggi quel tocco di spirito e inquietudine che era rimasto ancorato alla memoria delle primissime puntate. Allo stesso tempo però un episodio tutto sommato più che buono soltanto nell’occasione finale rende il disastro delle puntate precedenti difficile da digerire e molto complicato da accettare per chi da casa ha perso quasi dieci ore di vita davanti al televisore, specialmente perché una serie ha il compito di costruire un ending che sia in linea con il resto del prodotto, non una stella in mezzo alla nebbia.
La sequenza iniziale con Yamato apre subito le porte al titolo indicativo dell’episodio e ai fatti realmente accaduti. L’uomo non capisce immediatamente per quale motivo il suo vecchio amico insieme alla sua intera famiglia siano arrivati nel posto in cui lui sta riposando, più facile per lo spettatore immaginare invece il motivo della “visita”. La sequenza restituisce la difficoltà nell’affrontare un’emozione del genere: la gioia di rivedere un amico spenta dalla tragedia, il contrasto tra chi festeggia e chi muore rasenta il livello della malinconia che lo show ha saputo esprimere nel migliori dei modi nella sua prima stagione e che non era mai uscita con questa carica narrativa in Infamy.
Anche il termine delle disavventure del protagonista Chester, che rappresentano il punto meno legato alla realtà storica dei fatti, risultano godibili e pieni di significati legati al suo passato e al legame con la sua famiglia.
La conclusione della vicenda dello Yuko che si decompone in un gesto fortemente simbolico in cui sembra quasi riavvicinarsi al suo spirito, e di Chester, che viaggia con la mente a giorni migliori, in cui lui ed Henry erano felici e spensierati all’interno di una barca, per quanto venute fuori al termine di uno showdown deludente, rielaborano l’idea iniziale del protagonista e ci consegnano una personalità profondamente mutata, che nel momento del viaggio mentale si ricollega con sé stesso dimenticando tutti i problemi e le difficoltà, un sentimento che non ha mai provato fuori da quel contesto, esclusi i momenti in cui ha tenuto in braccio il figlio.
Il messaggio finale richiama il ricordo dei fatti: è importante non lasciare andare chi ci ha amato, portarli sempre a mente non solo per non dimenticarli ma anche per ricordare chi siamo noi e da dove arriviamo. La serie di fotografie che immortala il cast con i cari persi e tornati a casa durante la seconda guerra mondiale chiude idealmente il cerchio, un gesto onorevole che mostra l’importanza di tutti i concetti espressi e della ricerca continua di chi ci ha preceduto.
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Troppo tardi sono arrivati degli spunti interessanti, a tratti commoventi che hanno chiuso una pessima annata per uno show veramente sotto tono. L’episodio finale restituisce almeno un minimo di dignità ad Infamy, caduto in una girandola insensata di sottotrame e bug di scrittura, riconducendo lo show tra le braccia delle tematiche che per tanto tempo sono state trascurate.
Come And Get Me 2×09 | 0.38 milioni – 0.1 rating |
Into The Afterlife 2×10 | 0.36 milioni – 0.1 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.