L’operazione nostalgia che da qualche anno ha preso piede nelle serie tv molto spesso non ha dato i risultati sperati. Con Twin Peaks il discorso, però, appare differente. Più di 25 anni di attesa, tra una stagione e un’altra, con tanto di motivazione interna alla trama, rende il tutto estremamente “giusto”.
I quattro lunghi episodi che finora si sono avvicendati forniscono allo spettatore una reazione duplice: da un lato la consapevolezza di star assistendo ad un lavoro di David Lynch (dopo tanti anni in cui ha avuto il tempo di pensarci su), con tutte le sue peculiarità – sequenze disturbanti, momenti apparentemente inutili, camera fissa su paesaggi spogli -, dall’altro tutto il fuoco del fan che si accende al ritorno di una delle serie più iconiche di sempre. Lo spettatore assiste trepidante a momenti stranianti, si aspetta di veder ricomparire volti noti e nel frattempo si gode tutto lo strano che questo nuovo ciclo di Twin Peaks fornisce. I tempi sono cambiati, le serie tv spadroneggiano ovunque, Showtime ha dimostrato di fornire carta bianca a fantasiosi autori: Twin Peaks non subirà più i dettami da parte di una rete, come fu a suo tempo.
“Hello-o-o-o!”
Nessuno avrebbe avuto niente da ridire se l’intero episodio fosse stato incentrato su uno spaesato Cooper in giro per il casinò a fare jackpot.
Facendo un passo indietro, all’epoca del finale di stagione (finale di serie) del Twin Peaks di 25 anni fa, era spontaneo pensare (almeno per chi scrive) che Cooper fosse solo stato posseduto da Bob, esattamente come Leland Palmer. La presenza del dopplegänger, all’interno della Loggia Nera, poteva essere interpretata come uno dei tanti sfasamenti temporali del luogo, in cui si mostrava un Cooper già in versione malvagia (esattamente come nel film “Fire Walk With Me” a Laura compariva in sogno Cooper all’interno della Loggia). In realtà, una stretta al cuore del fan accompagna ciò che accadde veramente (che forse altre persone avevano già compreso): Dale Cooper è stato per 25 anni intrappolato, con il suo dopplegänger malvagio in giro a fare sfaceli. Da chiarire la presenza del secondo doppio Dougie, personaggio che sembra evocare più il carattere di Mike, se non altro per un braccio inutilizzabile.
Fatto sta che lo spettatore è travolto da un moto di euforia e tenerezza nel vedere un invecchiato Cooper che rimette piede nel nostro mondo, in uno stato confusionale sublimato dall’interpretazione eccelsa di Kyle MacLachlan. Più di tutti i personaggi che compaiono sullo sfondo, il pubblico è in grado di comprendere a pieno lo stato psico-fisico del protagonista, soprattutto perché la regia di Lynch è riuscita a descrivere alla perfezione il livello traumatico del viaggio interdimensionale percorso.
Non manca poi l’aspetto tragicomico, accompagnato da una delle tematiche preferite dell’eccentrico regista. Cooper prende il posto di Dougie immergendosi (e immergendo gli spettatori) in una vita non conosciuta, con il classico gioco dello scambio di identità già osservabile in lavori come “Lost Highway” (“Strade Perdute”) o “Mulholland Drive”.
Per confermare poi quanto detto ad inizio recensione, il mantenimento dello stile del regista, in tutta la sua complessità, è accompagnato da un’inevitabile sequenza di segnali e occhiolini lanciati al fan, dall’apparizione del gufo, al pollice alzato, fino all’immancabile caffè.
Il passaggio continuo da momenti di narrazione attiva a brevi (fortunatamente) momenti di connessione con figure familiari lascia spazio anche allo straniamento più “quotidiano”, tipico di Twin Peaks. Il ritorno alle paradossali situazioni della stazione di polizia assumono una nuova forma, meravigliosa e irritante allo stesso tempo. Lucy e Andy continuano a confezionare siparietti assurdi (Lucy che non capisce i cellulari), con il culmine della presentazione di Wally Brando: un assurdo Michael Cera (l’eccezionale George Michael di Arrested Development) che regala un insieme di monologhi deliranti, il tutto con camera fissa a riprendere anche le stranianti e ripetitive mimiche facciali dei genitori. Scena che funge come momento “spiegone” sul diverso volto dello sceriffo Truman. Per quanto, 25 anni dopo, un recasting non sarebbe stato scandaloso visto il cambiamento di certi personaggi, viene fatto capire che lo sceriffo in carica è il fratello del conosciuto e malato Harry Truman. Particolare momento nostalgia al momento in cui un brizzolato Bobby ha una reazione in linea con quella dei bei tempi nel rivedere foto e fascicoli del caso Laura Palmer (con tanto di celebre tema sullo sfondo).
La trama riguardante l’F.B.I. getta una diversa luce su questa stagione. Pur con il particolare stile narrativo che contraddistingue Lynch, la direzione dei prossimi episodi sembra prendere una via più netta rispetto alla “dispersività” dei primi due. L’incontro tra Gordon Cole e Albert con Cooper/Bob mette subito in moto questo ramo della storia. Da notare la scalata al vertice di Dennis Denise, con un David Duchovny a riprendere uno dei ruoli più bizzarri della sua carriera.
Si crea quindi la particolare commistione tra la complessità scenica e la linearità della trama, o almeno della sua direzione. Lynch ha avuto 25 anni di tempo per penare a come proseguire la sua opera e il risultato, per ora, è quello di un prodotto seriale mozzafiato.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Return, Part 3 3×03 | 0.19 milioni – 0.1 rating |
The Return, Part 4 3×04 | 0.19 milioni – 0.1 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.