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Twin Peaks 3×11 – The Return, Part 11TEMPO DI LETTURA 4 min

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There’s fire where you are going.
 
Undici episodi alle spalle, molti interrogativi, poche risposte. Twin Peaks porta avanti la tradizione inaugurata nell’oramai lontano biennio 1990-1991 – e poi portata avanti da altri mostri sacri della serialità televisiva come Lost – che vuole la componente mistery al centro della narrazione, mettendo ancora una volta in evidenza il genio e l’estro dei suoi due creatori. Un’esperienza non soltanto visiva ma anche, anzi principalmente, emotiva, costruita su un perfetto equilibrio tra la componente grottesca sopracitata e tutti gli altri ingredienti buttati nel calderone dal team Lynch-Frost. Crudo, divertente, a tratti spaventoso, ma soprattutto focalizzato sull’esplorazione della natura umana e delle sue più perverse deviazioni, lo show targato Showtime giunge qui ad uno dei suoi punti più alti, toccato grazie all’equilibrio menzionato poc’anzi e ad una serie di sequenze apparentemente fondamentali dal punto di vista dell’avanzamento diegetico ma che, volgendo uno sguardo indietro alla carriera del regista, potrebbero in ultima analisi risultare soltanto delle piacevoli digressioni costruite al solo scopo di dilatare la narrazione e impreziosire il già iconico universo narrativo di Twin Peaks. In altre parole, Lynch potrebbe regalarci una delle narrazioni più geniali e complesse della storia televisiva, ma potrebbe anche limitarsi a prenderci tutti per il naso, arricchendo la già intricata trama del telefilm con parentesi slegate dal nucleo centrale della narrazione all’unico scopo di alimentare l’alone di mistero che fin dalla première ci avvolge completamente. O forse per puro e semplice divertimento personale, nulla di più facile.
Considerato lo storico declino successivo alla precoce scoperta dell’assassino di Laura nel corso della seconda stagione, era lecito nutrire dei dubbi in merito a questa particolare operazione revival. Giunti a questo punto, però, ogni possibile perplessità lascia posto ad un altro genere di considerazione, sicuramente di segno opposto: Twin Peaks supera Twin Peaks e riesce nella difficile impresa di cambiare nuovamente le regole del gioco. Non certo un’impresa facile entrare nella storia per ben due volte, per giunta con lo stesso show e a 25 anni di distanza, eppure, nonostante l’evoluzione del medium televisivo e dello spettatore medio, sempre più bombardato da un’offerta televisiva giunta ai massimi storici, la serie continua a dimostrare di saper parlare ad audience diverse a cui rimandano vari livelli di lettura, accontentando fasce e tipologie diverse di spettatori senza la necessità di piegarsi alle logiche commerciali, elemento che certamente finirebbe col tradire la natura stessa del telefilm e lo stile inconfondibile dei suoi creatori.
Il ritorno dell’agente Dale Cooper così come lo conosciamo viene ancora una volta posticipato, al suo posto il contenitore vuoto Dougie Jones continua a spazzare via ogni ostacolo sulla sua strada senza mai alzare un dito, a suon di scarabocchi, frasi ripetute a pappagallo e crostate nelle scatole. Una scelta che certamente si inserisce all’interno della componente grottesca che caratterizza lo show e che in qualche modo sottolinea l’assenza di centralità di un character rispetto agli altri, tasselli di un mosaico ben più grande che trasforma la città di Twin Peaks (e dintorni) nel vero protagonista della serie. Un po’ come fu l’isola per Lost.
Come accadde in altre opere di Lynch, una fra tutte Velluto Blu, i personaggi hanno il compito di traghettare lo spettatore in un’esperienza al limite tra realtà e sogno, in una dimensione onirica entro la quale il regista ci mostra il malessere generale dell’uomo, qui ammantato dietro alla cornice paradisiaca della cittadina di Twin Peaks, soltanto in apparenza una piccola oasi di quiete e felicità e in realtà una vera e propria porta d’ingresso per l’inferno. Miriam sanguinante che striscia fuori dai boschi, la reazione di Becky al tradimento di Steven, il caos provocato da un bambino che gioca con la pistola del padre, ragazzini inquietanti con sguardi malefici e che vomitano accanto a una signora che sbraita suonando compulsivamente il clacson della macchina nonostante i tentativi di Bobby per farla smettere: questi e molti altri sono tutti elementi che alimentano la mitologia della serie rivelando inoltre la vera malvagità che alberga all’interno di Twin Peaks, una malvagità che si aggira indisturbata per le vie della città e che per ora sembra essere a dir poco inarrestabile.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Puntata molto equilibrata
  • Dougie il risolutore silenzioso
  • La sequenza del portale
  • La crostata nella scatola
  • L’ending scene musicale fuori dal consueto locale
  • Nulla

 

Mesi fa, sul New Yorker, Ian Crouch ha scritto di temere per la terza stagione di Twin Peaks, spaventato dal fatto che questo revival potesse essere inferiore alla “serie madre”. Giunti a questo punto possiamo senza dubbio affermare che il rischio risulta del tutto scongiurato. A prescindere da come si evolverà la situazione è innegabile come Twin Peaks, grazie a questa terza stagione, si sia rivelato un prodotto innovativo esattamente come lo è stato l’originale. E certamente non si tratta di una casualità.

 

The Return, Part 10 3×10 0.27 milioni – 0.1 rating
The Return, Part 11 3×11 0.22 milioni – 0.1 rating

 

 

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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