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Se un merito va riconosciuto alle scorse due puntate di Vikings, è di aver introdotto una narrazione che pur essendo diretta continuazione della precedente stagione ha già presentato tante novità e tanta carne al fuoco: l’inedito scenario slavo-variago, la carismatica figura di Oleg, la detronizzazione di re Harald ad opera di Olaf. E questi spunti vengono tutti ampiamente sviluppati nel terzo episodio, che fa ben sperare per la stagione conclusiva dopo la cocente delusione degli ultimi venti episodi.
Sia chiaro, non è tutto rose e fiori: l’ennesima conquista sessuale/sentimentale di Björn potrà anche portare a dei risvolti interessanti (sì, siamo ottimisti), ma è un copione visto e rivisto nell’arco di cinque stagioni, durante le quali si è ormai perso il conto di quante donne gli siano andate dietro. Anche la gestione del personaggio di Hvitserk lascia l’amaro in bocca: proprio quando sembrava che il figlio di Ragnar potesse ritagliarsi un’identità propria lontano dagli ingombranti fratelli, eccolo piombare in uno stato di delirio e di depressione che se da un lato ripropone la solita sudditanza psicologica al Senza-ossa, dall’altro è incentrato su una figura femminile così poco presente sullo schermo nella passata stagione (un episodio o due) da rendere impossibile qualsiasi empatia o immedesimazione nel dramma di Hvitserk.
Ben più lodevole è la volontà di rappresentare Lagertha sotto una luce inedita, come eroina ormai sazia di gloria e desiderosa solo di trascorrere gli ultimi anni di vita nella pace bucolica della vita agreste, eppure costretta suo malgrado a impugnare nuovamente la spada per proteggere la propria gente. Del resto nessuno poteva credere che l’ex-regina di Kattegat e di Hedeby si fosse ritirata per sempre a vita privata, come una vecchietta in pensionamento; e poi c’è quella famosa profezia sul figlio di Ragnar che le darà la morte che aspetta solo di compiersi. Magari si poteva aspettare un altro episodio prima di farle dissotterrare la spada, ma meglio questa repentinità alle lungaggini di tante insulse storylines delle scorse stagioni.
Tuttavia è indubbio che i riflettori siano tutti puntati su altri personaggi e altri scenari geopolitici. Oleg, a differenza di un certo Heahmund malamente sfruttato nella quinta stagione, si conferma la new entry di cui la serie aveva bisogno e la perfetta spalla per Ivarr: crudele, sadico, ambizioso, in eterno conflitto con i fratelli, visionario, mosso da una lucida follia che non ha nulla di anarchico ma si muove secondo schemi logici e coerenti.
Tuttavia è indubbio che i riflettori siano tutti puntati su altri personaggi e altri scenari geopolitici. Oleg, a differenza di un certo Heahmund malamente sfruttato nella quinta stagione, si conferma la new entry di cui la serie aveva bisogno e la perfetta spalla per Ivarr: crudele, sadico, ambizioso, in eterno conflitto con i fratelli, visionario, mosso da una lucida follia che non ha nulla di anarchico ma si muove secondo schemi logici e coerenti.
L’esatto opposto di re Olaf, che da improvvisato alleato di Hvitserk e Björn nella guerra contro Ivarr si è trasformato in un nemico e che agisce secondo ragioni imperscrutabili per chiunque, lasciando in vita prigionieri che potrebbe togliere di mezzo in un solo istante e risparmiando avversari che potrebbe schiacciare con un singolo ordine.
Eppure nemmeno la pazzia apparentemente disordinata di Olaf risulta fastidiosa: infiorettata com’è da discorsi sugli dei e sul destino, da fosche previsioni sul Ragnarǫk e sulla futura vittoria del Dio cristiano sul paganesimo norreno, essa ha tutto il sapore dell’ultimo delirio di un mondo destinato a scomparire sotto i colpi della cristianizzazione, la stessa che ha già avuto la meglio sui variaghi riempiendo le loro regge di croci ortodosse e icone sacre. Ma sarà un canto del cigno a dir poco spettacolare, se le premesse gettate in questo inizio di stagione saranno rispettate.
Risulta piuttosto convincente anche il ritorno in scena di Harald, alle prese con un carceriere nano che non può non ricordare, a parti invertite, una certa storyline della prima stagione di Game of Thrones; e per rimanere in tema, anche il piano con cui Olaf mette nel sacco gli assalitori che vorrebbero liberare il Bellachioma ricorda fin quasi ai limiti del plagio la strategia dell’altofuoco impiegata nella battaglia di Blackwater della seconda stagione. Ciò non toglie che Vikings continui a mantenere la propria personale impronta, dosando sapientemente spettacolarità e momenti di approfondimento antropologico attraverso la messa in scena (nei limiti di tempo di un prodotto che non vuole essere un docudrama, sia chiaro) di riti pagani o l’attenzione maniacale al dettaglio storico, quantomeno sul piano estetico.
Risulta piuttosto convincente anche il ritorno in scena di Harald, alle prese con un carceriere nano che non può non ricordare, a parti invertite, una certa storyline della prima stagione di Game of Thrones; e per rimanere in tema, anche il piano con cui Olaf mette nel sacco gli assalitori che vorrebbero liberare il Bellachioma ricorda fin quasi ai limiti del plagio la strategia dell’altofuoco impiegata nella battaglia di Blackwater della seconda stagione. Ciò non toglie che Vikings continui a mantenere la propria personale impronta, dosando sapientemente spettacolarità e momenti di approfondimento antropologico attraverso la messa in scena (nei limiti di tempo di un prodotto che non vuole essere un docudrama, sia chiaro) di riti pagani o l’attenzione maniacale al dettaglio storico, quantomeno sul piano estetico.
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Vikings ha finalmente trovato la retta via? Ci piace pensare di sì, anche se non si può mai dire mai. Di sicuro si sono messe in moto dinamiche intriganti e personaggi come Olaf e Oleg possono dare tanto, così come vecchie glorie del calibro di Ivarr e di Harald hanno ancora qualcosa da dire: sta a Hirst dimostrare di non aver esaurito tutto il proprio talento e riscattarsi da una quinta stagione particolarmente deludente.
The Prophet 6×02 | ND milioni – ND rating |
Ghosts, Gods And Running Dogs 6×03 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.