“The time of great heroes is over, Bjorn. We lost Ragnar, we lost Lagertha, and we lost you. Perhaps… perhaps the Golden Age of the Vikings is gone. It’s over. Lesser men have taken your place. Harald, Erik, and others.”
Hanno un sapore metanarrativo le parole che Gunnhild rivolge alla statua del defunto Björn, perché riassumono magnificamente quello che è Vikings: l’epopea di un popolo, i Vichinghi, scandita dalle gesta di grandi eroi che però a un certo punto sono usciti di scena, lasciandosi dietro personaggi sempre meno carismatici. Forse più interessanti da un punto di vista psicologico, ma meno abili a bucare lo schermo e a conquistare il cuore dello spettatore. A meno che non ci sia qualcuno che ami Ivar più di Ragnar, Harald più di Rollo o Ubbe più di Lagherta.
Ma se c’è una cosa che la serie non ha mai perso è la sua ambizione di essere un racconto di ampio respiro, che non parla solo di questo o quel capo guerriero, ma dell’intero popolo norreno, delle sue guerre, delle sue conquiste e dei traguardi raggiunti. Compresa la fondazione della Russia e la scoperta del Nuovo Mondo con qualche secolo di anticipo rispetto a Colombo, a quanto pare.
KATTEGAT HA BISOGNO DI UN RE
Come al solito in questa stagione, “Lost Souls” ha una struttura tripartita incentrata sulle tre principali ambientazioni del racconto: Kattegat, la Russia e l’estremo Nord.
Nella città che fu di Ragnar, il nuovo re Harald deve consolidare il potere appena assunto cercando nuovi alleati, ma soprattutto nuovi modi di legittimarsi agli occhi di un popolo che dovrebbe vederlo come poco più che un invasore, nel migliore dei casi uno straniero indesiderato. Certo, Harald è re di Norvegia, ma non è del sangue dei Lothbrok e la tanto ostentata amicizia con Björn serve a poco in questi frangenti.
In questo senso, la decisione di sposare entrambe le vedove del suo precedecessore va letta come un’astuta mossa politica, oltre che come un esempio dell’avidità e della brama di possesso che caratterizzano da sempre Harald. Forse c’è anche una piccola rivincita nei confronti di Gunnhild, visti i loro trascorsi sentimentali, ma per una volta la sottotrama amorosa della serie ha ragione di esistere. Fosse stato così anche in passato, sarebbe stato meglio.
Molto più interessante, comunque, è la vicenda relativa a Erik, personaggio ambiguo ed enigmatico sulle cui intenzioni si capisce ancora ben poco. Se già era poco chiaro come mai avesse spronato entrambe le vedove di Björn a candidarsi come regine, è ancora meno comprensibile cosa lo leghi ad Harald al punto da salvargli la vita e accettare di essere il capo della sua guardia personale. Forse lo muove la semplice ambizione, forse c’è qualcos’altro dietro. Le poche informazioni sul suo passato da schiavista e assassino contribuiscono a infittire il mistero intorno alla sua figura e probabilmente non è esagerato dire che, tra i personaggi della sesta stagione, è uno di quelli che potrebbero riservare le maggiori sorprese al pubblico. O risultare uno spreco colossale, conoscendo Hirst e la sua capacità di liquidare in maniera indegna personaggi interessanti.
INTANTO, IN TERRA RUSSA…
Anche a est le cose si muovono e si prepara un grande rivolgimento di potere. Il piano di Ivar, Hvitserk e Katja per portare il principe Igor fuori da Kiev e permettergli di raggiungere le truppe fedeli di suo zio Dir riesce, dopo una sequenza abbastanza ben costruita in quanto a tensione, in cui il quartetto lascia la città nel bel mezzo della cerimonia del Venerdì Santo e per un attimo c’è il rischio che uno dei partecipanti, un corpulento cosplay di Gesù Cristo flagellato, faccia saltare tutto.
Inutile dire che ancora una volta la ricostruzione storica è impeccabile, con tanto di litanie pronunciate in greco (la lingua ufficiale della liturgia ortodossa all’epoca) e di flagellazioni corporali dei partecipanti alla cerimonia, per mettere in scena una riproposizione della Passione di Cristo. Ancora una volta spicca su tutti il personaggio di Oleg, capace di provare un inaspettato e angosciante sentimento religioso che lo porta a offrirsi in prima persona per la flagellazione rituale, quasi fosse un novello Messia. Non è chiaro se la parabola narrativa del personaggio sia agli sgoccioli o se la lotta per il trono dei Rus’ col fratello Dir e il nipote Igor durerà qualche puntata, ma una cosa è sicura: il personaggio interpretato da Danila Kozlovsky è stato un’ottima aggiunta per la serie e se ne sentirà la mancanza quando tutto sarà finito.
FINALMENTE LA GROENLANDIA… MA E’ DAVVERO UN BENE?
Ancora una volta, la storyline più debole è quella che ha a che fare con le esplorazioni oceaniche verso nord-ovest. Finalmente viene raggiunta la Groenlandia, e qui iniziano i problemi, perché le nuove vicende sembrano una stanca riproposizione di quanto successo in Islanda: la nuova terra è poco fertile, i coloni sono scontenti, la brama di potere e di ricchezze di Kjetill inizia a prendere il sopravvento. Questa volta non c’è nessuna faida familiare all’orizzonte, ma il possesso della carcassa di balena arenatasi sulla proprietà di Kjetill costituirà sicuramente la miccia che farà scoppiare un nuovo conflitto, e chissà, forse spingerà Ubbe ancora più a ovest, verso la mitica terra del Vinland.
Va rilevata anche l’ennesima comparsa in forma di visione del Veggente, uno di quei personaggi che anche dopo la propria morte continua a essere un pilastro fondamentale in Vikings: come nel discorso di Gunnhild citato a inizio recensione, anche la sua apparizione serve per rimarcare il fatto che l’era vichinga sta per finire. La sesta stagione, insomma, è un gigantesco canto del cigno che segna la fine della civiltà pagana e l’ingresso nel Basso Medioevo cristiano, in un certo senso più civilizzato ma anche meno “autentico”.
Piccola curiosità storica: nell’episodio viene detto chiaramente che il nome Groenlandia, che deriva dal norreno e vuol dire letteralmente “terra verde”, sia stato dato per convincere i coloni a raggiungere l’isola, illudendoli che sia una terra fertile e ricca. In realtà si tratta di un falso storico. Considerando che la Groenlandia all’epoca era molto più calda di oggi, è probabile che i navigatori norreni l’abbiano chiamata così semplicemente perché c’era molta più vegetazione di adesso.
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“Lost Souls” è il classico episodio di raccordo e di preparazione a qualcosa di più grande, ma funziona benissimo. Soprattutto, rimarca ancor di più l’atmosfera “da epilogo” della stagione, che chiuderà definitivamente le vicende dei figli di Ragnar, si spera, nel miglior modo possibile.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.