Nell’universo di Star Trek, esiste una cosuccia chiamata “Prima Direttiva”. Il suo significato è molto semplice: è il divieto di interagire con qualsiasi specie intelligente sia a un livello pre-curvatura. È un’imposizione che nasce dalla consapevolezza che alterare il naturale sviluppo di una civiltà intelligente sia pericoloso, con buona pace di Kolosimo, Zitchin, Biglino e i tanti appassionati della teoria degli antichi astronauti (che, per chi non lo sapesse, è la teoria secondo cui la specie umana sia frutto di esperimenti di alieni venuti sul nostro pianeta migliaia o milioni di anni fa).
Tuttavia, nella saga di Star Trek c’è anche una costante: almeno una volta a serie, magari anche una volta a stagione, la Prima Direttiva dev’essere violata. Fin dai tempi della prima Enterprise comandata da James T. Kirk, abbiamo assistito a episodi in cui la missione richiedeva di interagire con specie meno avanzate. E immancabilmente il tentativo di mantenere la copertura e non rivelare di essere esponenti di una specie capace di viaggiare nello spazio finiva male, perché per un motivo o per un altro si rendeva necessario palesare la propria vera natura.
UNA STAGIONE-VIDEOGIOCO
Con “Whistlespeak“, quindi, siamo di fronte a un copione visto già molte volte. E non si può nemmeno dire che Michael Burnham faccia male a violare la direttiva, perché ne andava della sopravvivenza di un intero popolo (chissene di Tilly, sinceramente). La stessa partecipazione del capitano alla missione stavolta è ampiamente giustificata, perché essendo una xenoantropologa sa meglio di chiunque altro come interagire con le altre culture.
Il problema, semmai, ha a che fare con il modo in cui è stata costruita l’intera quinta stagione. Come già sottolineato in altre occasioni, a questo giro Star Trek: Discovery ha optato per una struttura narrativa da videogioco. Nel senso peggiore del termine. C’è una quest principale, trovare la tecnologia dei Progenitori, e ci sono tanti piccoli step da svolgere per arrivare all’obiettivo, andando dal punto A al punto B per raccogliere l’indizio numero 1 che indica il punto C dove si trova l’indizio numero 2 che rimanda al punto D dove si trova l’indizio numero 3 e così via… nemmeno quello scempio di L’Ascesa di Skywalker era arrivato a tanto, ma solo perché essendo un film non poteva protrarre questo giochino troppo a lungo.
In “Whistlespeak” tutti i limiti di questa impostazione narrativa si fanno evidenti. La storia poggia su una serie di coincidenze ai limiti dell’inverosimile: l’indizio di turno è stato nascosto in una torre meteorologica che guarda caso è diventata il centro di un culto di una specie meno evoluta. Perché uno scienziato Romulano avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Immaginate se fosse successo nella nostra realtà: Enrico Fermi scopre la reazione a catena ma la nasconde al mondo seminando tanti piccoli tasselli in giro per i cinque continenti. E magari ne nasconde uno tra gli indigeni di una sperduta tribù della Papua Nuova Guinea. Ce lo vedete Oppenheimer che si infiltra tra i papuani per scoprire l’indizio che lo condurrà al segreto della bomba atomica? No, certo! E allora perché dovrebbe essere più credibile in un contesto sci-fi, che sarà anche fantastico, ma deve seguire delle regole di coerenza e verosimiglianza (specialmente se parliamo di fantascienza abbastanza hard come quella di Star Trek)?
UN GIORNO TRA GLI HALEM’NIANI
La digressione narrativa tra gli Halem’niani non è comunque da buttare. Anzi, fa sempre piacere quando Star Trek introduce nuove specie o nuove culture e cerca, nei limiti di tempo offerti da un singolo episodio, di approfondirle.
Gli Halem’niani sono una specie ancora primitiva, ma con una serie di elementi interessanti. Innanzitutto, vivono su un pianeta che ha subito un processo di desertificazione al quale una specie più evoluta ha tentato di porre rimedio costruendo particolari torri per la pioggia. Finalmente si ricordano di inserire in questa serie un accenno, piccolo ma comunque apprezzabile, al problema del cambiamento climatico, che sta portando il nostro stesso pianeta a sperimentare, almeno in alcune aree, periodi di siccità sempre più lunghi.
I guai di Halem’no, uniti alla totale ignoranza in merito alla tecnologia, hanno portato i suoi abitanti a elaborare una particolare concezione religiosa. Il fulcro di essa risiede nel senso di colpa: si pensa che gli Halem’niani del passato si siano alienati le simpatie degli dei compiendo guerre e peccati indicibili e che la siccità sia una punizione per questo. E l’unico modo per ottenere nuovamente la pioggia sarebbe offrire in sacrificio delle vite umane, come modo estremo di riconquistare almeno parte del perduto favore divino.
Ovviamente entro la fine dell’episodio alcuni Halem’niani scoprono che le loro credenze sono errate, e qui sta il vero colpo di genio degli autori. In un’epoca come la nostra ci si aspetterebbe che Michael parta con un pippone monologo su quanto le religioni siano deleterie, un coacervo di superstizioni e oppressione. E invece la Burnham, per una volta, fa un discorso sensato: la religione è anche forza, è anche unione, è anche coesione. Certo, bisogna mettere da parte i sacrifici umani perché sono brutti e violano qualche decina di diritti umani fondamentali, ma a parte questo non è una cosa da demonizzare. E non è nemmeno detto che l’esistenza di specie aliene confuti l’esistenza delle divinità: ognuno crede a ciò che vuole e a ciò che sente. Sempre nel rispetto del prossimo e della vita altrui, s’intende.
A COSA SERVONO I COMPRIMARI?
Mai come in “Whistlespeak” la presenza di altri personaggi all’infuori di Michael Burnham e degli Halem’niani è apparsa superflua, se non addirittura fastidiosa. E’ evidente come gli autori vogliano ancora costruire una serie corale, ma non si rendono conto che è proprio il protagonismo di Burnham a uccidere le enormi potenzialità che l’equipaggio avrebbe. Ormai la struttura degli episodi è sempre la stessa: c’è una missione sul campo e la svolgono la solita, fissa Michael e un altro membro dell’equipaggio a turno; gli altri restano sulla nave e danno vita a scene riempitive che vorrebbero essere approfondimenti psicologici ma finiscono per risultare inutili.
A questo giro è ancora peggio, perché il comprimario che affianca Michael è Tilly. L’insopportabile Tilly. Una figura che ha smesso di avere qualcosa da dire nel terzo episodio della prima stagione e che forse continua a occupare spazio sullo schermo solo perché, essendo l’attrice un po’ in carne, permette di coprire la quota body positivity della serie. O forse perché, archiviata la storia d’amore con Book (che sicuramente tornerà a galla), era tempo di riportare Michael a interagire con la sua amichetta del cuore. E pensare che hanno fatto fuori dalla ciurma un personaggione come Saru.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Whistlespeak” è un episodio con spunti interessanti, annegati però nel solito mare di mediocrità (se non peggio) fatto di comprimari che non interessano più e di una narrazione scritta con i piedi. Non resta che vedere dove questo videogi… ehm, questa serie si spingerà nella ricerca dei prossimi indizi e sperare che questa fantomatica tecnologia dei Progenitori sia qualcosa di incredibile, perché se alla fine della fiera si rivelasse una delusione Discovery si confermerebbe non solo la peggiore serie Trek, ma anche una delle peggiori nel genere sci-fi degli ultimi anni.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.