“This is not China. It’s Chinatown.”
Esistono serie televisive che generano hype e discussioni fin dal primo annuncio, vuoi per la fama dell’opera che vanno ad adattare, vuoi per il coinvolgimenti di attori, registi e sceneggiatori di chiara fama, vuoi per la materia narrata, soprattutto se di scottante attualità o moralmente delicata. E poi c’è Warrior, una serie che non ha nulla di tutto quello che abbiamo appena elencato e che, sulla carta, sembrerebbe anzi destinata a rimanere nell’anonimato: è trasmessa da un canale che potremmo definire “minore” quale Cinemax, non annovera interpreti importanti e tratta una tematica, la vita delle tong cinesi sul suolo americano, piuttosto originale ma anche tremendamente di nicchia. Eppure, l’opera in questione difficilmente poteva passare in sordina, almeno per gli appassionati di serialità anglo-americana, per un motivo ben preciso: il soggetto di base è stato ideato da Bruce Lee. E a meno che non si sia vissuto fino all’altro ieri in un remoto monastero tibetano o non si provenga da un altro pianeta, tutti sanno chi è Bruce Lee e non possono rimanere impassibili di fronte a un prodotto che vanta una tale leggenda del cinema e delle arti marziali come suo creatore.
Ovviamente, non ci dovrebbe essere nemmeno bisogno di dirlo, il fatto che Warrior si basi su un concept di Bruce Lee non significa che coincida esattamente con quello che Bruce Lee aveva in mente nel lontano 1971. Il progetto originale, infatti, si sarebbe dovuto ambientare nel selvaggio West, e non a caso, visto che si era negli anni della grande fioritura degli spaghetti western e in generale delle storie di cowboy e pellerossa. La serie del 2019, invece, punta su un’ambientazione assai diversa, ossia la San Francisco post-guerra di secessione. E’ una scelta che in qualche modo tinge di attualità l’opera, perché nella città californiana serpeggiano tensioni razziali e scontri etnici che rendono questo scenario ottocentesco assai più simile alla nostra epoca di quanto ci si aspetterebbe: così troviamo lavoratori anglosassoni che si lamentano degli immigrati che vengono a togliere loro il lavoro, ex-schiavi neri che nonostante la libertà acquisita continuano a essere discriminati e cinesi che attraversano un intero oceano alla ricerca di un lavoro e di una nuova vita solo per ritrovarsi a essere sfruttati con salari minimi e a vivere in condizioni impietose, ghettizzati in una Chinatown brulicante di malattie e pericoli. Ed è proprio per questo che nascono le tong, società di mutua protezione che sconfinano nella malavita e che solo in parte sono assimilabili alle ben più famose triadi. Ma la macchina narrativa non vuole rimanere confinata in questo mondo pur così affascinante e si allarga fin da subito anche ai municipi, alle alcove dei politici e alle centrali di polizia, dando un’idea dell’interconnessione tra le diverse parti di questo microcosmo cittadino ma anche delle ambizioni di un racconto che vuole farsi quanto più corale possibile.
Inevitabilmente, dunque, “The Itchy Onion” si rivela il classico pilot incaricato di introdurre tutti i personaggi, una presentazione lunga un’ora che tuttavia non annoia e non cala di ritmo, grazie soprattutto all’apporto dato dalle sequenze di azione e di lotta. Anzi, la presenza fin dai primi minuti delle arti marziali rappresenta la principale fonte di originalità di Warrior, che altrimenti rischierebbe di ridursi al solito period drama vagamente esotico o a una versione in salsa chink di Peaky Blinders o Copper: nel panorama televisivo anglo-americano show sull’argomento mancano e l’unica altra serie recente dedicata all’argomento, Into the Badlands, è destinata a concludersi con la stagione in corso. Non siamo già di fronte a scontri particolarmente avvincenti o a coreografie che facciano gridare al miracolo, ma trattandosi ancora del primo episodio è più che comprensibile che si sia avuto solo un assaggio.
Un diverso discorso va fatto a proposito delle scene di sesso. Fermo restando che Cinemax è la sorella minore di HBO, che il softcore fa parte integrante della sua programmazione quotidiana e che dietro Warrior c’è Jonathan Tropper, la stessa mente creatrice di Banshee che non era proprio una serie morigerata, buona parte delle nudità e degli amplessi visti in questo primo episodio sono inutili ai fini della trama, superflue. Sia chiaro, chi scrive non è un bacchettone, ma si domanda perché per far capire che il sindaco di San Francisco ha gusti particolari e un rapporto non proprio ottimale con la moglie bisogni mostrare necessariamente un nudo frontale di quest’ultima e poco dopo una visita al bordello cinese con una prostituta ignuda stravaccata sul letto, raggiunta immediatamente da un uomo anche lui con le chiappe al vento. Davvero non esistono modi più eleganti per far emergere allo stesso modo questi particolari?
In ogni caso, il vero difetto di “The Itchy Onion” sta nel protagonista Ah Sahm, un concentrato di luoghi comuni, stereotipi e prevedibilità: Ah è l’eroe in viaggio alla ricerca di una parente perduta che, in maniera a dir poco telefonata, si rivelerà essere la sorella; è il combattente che menando un paio di poliziotti si fa notare dal cinese giusto ed entra subito in una tong; è l’uomo tutto d’un pezzo che persino di fronte ai boss della malavita mostra un atteggiamento strafottente e di sfida (e quelli non lo mettono a morte!); infine, è il belloccio che nel giro di sessanta minuti di visione riesce a portarsi a letto l’apparentemente intoccabile proprietaria del bordello cinese. Personaggio, in definitiva, che poteva andare bene nel cinema degli anni ’70 ma che oggigiorno rischia di essere troppo monolitico e monodimensionale. Con il resto del cast e delle sottotrame le cose vanno già meglio: le macchinazioni politiche del sindaco Samuel Blake e del suo braccio destro Walter Buckley, la vita dei poliziotti Bill O’Hara e Richard Lee incaricati di tenere una ronda a Chinatown, il malcontento degli operai anglosassoni guidati da Dylan Leary, la ricerca di un fragile equilibrio fra le tong rivali sono tutti spunti decisamente più interessanti di quelli riguardanti il protagonista. C’è da sperare che la serie punti buona parte del suo tempo su questo materiale, sempre che Ah Sahm non riesca nel frattempo a rivelarsi un personaggio meno banale di quanto appare per ora.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.