Subito dopo la 77° edizione del Festival di Venezia, dove Luca Guadagnino ha presentato il suo ultimo lavoro (una biopic dedicata a Salvatore Ferragamo), il regista siciliano firma il suo debutto nel mondo delle serie tv con We Are Who We Are, miniserie televisiva prodotta in collaborazione con HBO e Sky Atlantic. Guadagnino è conosciuto nel mondo grazie ai suoi lavori degli ultimi anni, in particolare per Chiamami Col Tuo Nome. Ed il confronto tra le due opere, unite da alcune similitudini, è inevitabile: ambientato a Cremona, il film racconta la storia d’amore tra Oliver ed Elio, in We Are Who We Are, anch’essa una storia di formazione con protagonisti un gruppo di adolescenti, la tematica della ricerca di se stessi e l’accettazione del proprio orientamento sessuale torna e di nuovo in un’ambientazione italiana, meno affascinante della campagna cremasca.
Il pilot si presenta come la classica puntata iniziale di una serie per teenager: la famiglia americana Wilson si trasferisce a Chioggia in una base militare statunitense in seguito alla promozione di Sarah. Il punto di vista che collega tutte le tematiche che vengono toccate è affidato a Fraser Wilson (interpretato da Jack Dylan Grazer, già noto per IT e Shazam), ragazzo tanto eccentrico quanto problematico, figlio di due mamme – Sarah e Maggie – con le quali ha un rapporto d’amore e odio, è alle prese con la scoperta e l’accettazione della propria sessualità. L’unico con cui è sincero e sembra aver instaurato un rapporto d’amore e fiducia è Mark, un ragazzo che lo spettatore non vede e di cui non sente la voce, ma a cui Fraser dedica lunghe note vocali. Le emozioni di Fraser – introverso e chiuso in se stesso – non sono affidati alle sue parole o alle sue azioni, ma alla scelta registica della soggettiva. Se l’occhio della macchina da presa per quasi tutta la durata del pilot è neutro, il punto di vista di Fraser avviene in presenza di corpi maschili nudi. La ricerca della propria identità e dell’accettazione dell’essere quel che si è è affidata esclusivamente alle immagini. Se non per l’ultima frase “Quindi, come ti devo chiamare?” pronunciata a Caitlin, la protagonista della serie che in questa prima puntata ha solo un ruolo di contorno.
In We Are Who We Are si affrontano situazioni piuttosto classiche come il bullismo, l’insicurezza contro il proprio aspetto fisico e le critiche che quest’ultimo può scatenare, le prime storie romantiche e il legame genitore/figlio. Ma in un periodo di grandi cambiamenti sociali – dove la polemica contro il politically correct è sempre in agguato – è coraggioso proporre una serie tv, dedicata ad una fascia d’età delicata come solo l’adolescenza sa essere, dove vengono prese in esame tematiche toccate poco o niente da altri prodotti televisivi. Fraser non è solo in conflitto con la propria sessualità, ma anche con la madre biologica Sarah con la quale ha un rapporto frastagliato e complesso, diverso da quello che ha con Maggie, la sua madre adottiva. Tutto questo, infine, converge nel suo prematuro problema con l’alcol. Il personaggio di Caitlin – solo accennato, ma che sembra molto interessante – si ritrova a lottare contro la propria madre e con la sua identità di genere.
“Right Here, Right Now #1” si prende tutto il tempo per ingranare e, sebbene gli argomenti che sono stati affrontati siano tanti e complessi, il pilot procede lentamente ritagliando anche del tempo per scene fine a loro stesse. Lo stile di Guadagnino è presente soprattutto nel contenuto e un po’ meno nell’estetica; il suo tocco si nota specialmente quando Fraser si allontana dalla spiaggia e si imbatte in una coppia di sarti che lavorano nel loro giardino. Questa scena, così come tutta la puntata, è enfatizzata da una colonna sonora perfetta. Particolare è anche la scena di utilizzare solo musica diegetica, presente effettivamente nella scena, che accompagna Fraser – e non solo lo spettatore – in molti momenti.
Un piccolo appunto negativo va fatto alla realizzazione grafica dei sottotitoli in inglese quando un personaggio parla in italiano: anche se è dedicata ad un target adolescenziale è comunque una serie di alto livello prettamente autoriale, e quel font che vuole essere giovanile stona un po’.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Right Here, Right Now #1” è una puntata indubbiamente di alto livello che promette degli episodi successivi all’altezza dell’hype che si è diffuso attorno alla serie già dalla messa in onda del trailer. Peccato per la lentezza della narrazione, che però è perdonabile essendo un pilot che vuole – e serve per- presentare i personaggi e le loro dinamiche.
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.