White Collar 4×12 – Brass TacksTEMPO DI LETTURA 4 min

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Un cocktail ben riuscito. Ecco in poche parole quello che rappresenta White Collar. Certo, dobbiamo riconoscere che spesso non brilla per la sua originalità, le storie ruotano spesso attorno al tema della corruzione, anche se nel corso delle stagioni ci sono state regalate sempre storie coinvolgenti sotto molti punti di vista. Annoverare questa serie tv nella categoria drammatica, poliziesca o dire

semplicemente che è una commedia non è possibile, poiché Jeff Eastin e gli autori hanno creato e dato vita, puntata dopo puntata, ad un mix fatto di tutte queste cose. White Collar possiede le storie e i casi di violazione della legge, come un buon poliziesco, ci sono le vicende umane dei personaggi che ci coinvolgono facendoci anche a volte commuovere, caratteristica tipica di un serie drammatica. Infine, l’aria della commedia gli viene data dal tocco di leggerezza e dalle battute spontanee e mai forzate che si ripetono in un susseguirsi di attimi seri e di situazioni critiche, ed è così che i furfanti e i truffatori di New York non hanno scampo se c’è di mezzo l’efficientissima squadra Burke – Caffrey. Il tutto è sicuramente più gradevole se ci infiliamo dentro un eccentrico Mozzie, senza dubbio un buon contributo ci viene offerto anche dalla signora Burke (alias Tiffany Thiessen, per chi non la ricordasse l’abbiamo già vista in Beverly Hills 90210 e Bayside School). Una donna che al momento giusto si è dimostrata fondamentale, come già accennato nella scorsa recensione, una donna forte in un mondo fatto di grandi personaggi soprattutto maschili.

Passando all’episodio settimanale, dopo che la scorsa settimana avevamo versato qualche lacrimuccia sul finale commuovente tra Neal e il suo papà, ora ritroviamo un clima dei più classici di White Collar. Ed è così che proseguono le indagini che tentano di portare alla luce le losche attività di un senatore corrotto, e chissà chi o cosa ci possa essere ancora dietro. Purtroppo questa volta le indagini, più o meno ufficiali, mettono a rischio la vita di Peter e mandano in pensione il buon vecchio Reese Hughes, il capo del Bureau di New York. Rischi o no, furbizia o meno, gli efficienti Peter e Neal non riescono ancora ad inchiodare il corrotto senatore, in compenso mettono fine alla libertà di un costruttore edile che agisce in modo poco lecito.
Passando alla famosa chiave, quella che però non è una chiave, rappresenta l’enigma per Neal e Peter da risolvere, e come ai tempi accadde per il carillon i due lavorano separatamente, questa volta il motivo però ha un nome: Elizabeth. Infatti, la donna fa questa richiesta a Neal per proteggere il marito, ma come sappiamo Peter Burke è per la giustizia e quindi niente lo farà desistere dal ricercare la verità.
Graziosi e sempre divertenti sono i siparietti che coinvolgono Mozzie, l’agente Jones e una sottospecie di cappellaio matto moderno. Alla fine l’indovinello si risolve e Mozzie sacrifica il suo bambolotto stile “bambola assassina”, assolutamente raccapricciante l’idea di associare quella bambola a quella del famoso film horror anni ottanta. Ad ogni modo, il solito giochetto fatto di piccoli imbrogli porta tutti ad avere una chiave e una parte della soluzione dell’enigma.
Per quanto riguarda Neal, si trova ad affrontare il fantasma che ha distrutto la sua famiglia, e per quanto in principio non sopportasse l’idea di lavorare per il Bureau e per Peter, ora quell’uomo è diventato la sua famiglia, anche se cercano sempre di imbrogliarsi, Neal cerca solo di proteggerlo. Una lode particolare va fatta alle persone che effettuano casting e quant’altro per trovare i giusti attori perché i panni di Neal Caffrey e di Peter Burke vengono vestiti in modo perfetto dall’affascinante Matthew Bomer e da Tim DeKay (è un Peter Burke assolutamente perfetto).
In conclusione, la puntata non ha portato a delle novità per i personaggi però ha rappresentato in se lo stile White Collar: un cattivo messo dietro alle sbarre, gli astuti piani congeniati da Burke e la sua squadra, qualche grazioso siparietto e il lato umano dei personaggi.
PRO:
  • Mozzie, Jones e lo pseudo cappellaio matto. Decisamente adorabile il bambolotto (detto il “primogenito”) di Mozzie.
  • Diana che fa la barbiera.
  • Neal che cerca di proteggere Peter dai pericoli: rappresenta l’evoluzione di un rapporto che piano piano si è consolidato.
  • Caffrey ed i suoi mille volti. Questa volta Neal veste i panni di un architetto.
  • Peter col suo tutore incluso di braccio finto.
CONTRO:
  • Proprio per volerne trovare: è possibile che a New York ci sia tutta questa corruzione e che nessuno si accorga di nulla?
  • Elizabeth che chiede a Neal di mentire a Peter, sono sicuramente motivazioni nobili, però dimostra di non conoscere il marito. Una bugia di Neal non può fermare Peter Burke, un uomo dedito alla giustizia.

Una dodicesima puntata alla White Collar, impegnativa ma leggera allo stesso tempo. Come anticipato all’inizio della recensione, ciò che fa apprezzare questa serie tv è che sa dosare l’umanità dei personaggi con le vicende quotidiane di un Federal Bureau. Senza violenza o volgarità. Tutto questo rende i colletti bianchi di New York una scelta adatta per passare tre quarti d’ora in piacevole compagnia.

VOTO EMMY

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